Recensione
Le metafore che possono sorgere in mente quando ci si confronta con i personaggi del romanzo di Bonazzi possono essere molteplici. Passano per la descrizione del disagio, sulla cui natura non si indaga più di tanto e forse non ce n’è nemmeno bisogno per l’economia della storia, ma sappiamo che c’è. Si intervallano con le loro speranze vane, con i vissuti e i ricordi, portandoci all’attenzione delle vite interrotte, o ancora spezzate. Problematiche. Di sicuro il pregio della storia risiede proprio sulla capacità, a tratti onirica, di riportare il conflitto interiore che scaturisce dalle righe e che si posiziona impietoso dinanzi agli occhi di chi legge. Non importa se trattiamo di un’epoca passata, di recente, sì, ma completamente lontana dalla modernità dei giovani di oggi, che solo noi degli anni ottanta possiamo ricordare. La voce narrante è fondamentalmente quella di Davide, che si rivolge a Oscar, il giovane per cui si è preso una cotta e con cui è andato a convivere, ma nel suo racconto, più che il loro rapporto, prevale la loro amica Sofia, e successivamente i comportamenti bizzarri dell’adolescente Diamante che, anni dopo, irrompe nelle loro vite per metterle in discussione una volta per tutte e consentire, a Davide, forse di sciogliere i nodi, magari di accettare più che altro quanto è accaduto per affrancarsi e andare avanti. Giovane che è figlio di Sofia, la stessa amica che ha fatto perdere le sue tracce prima della sua nascita. E che poi va incontro al suo tragico epilogo. Tanti i contenuti del romanzo, che balzano agli occhi: parliamo in primo luogo di una generazione di nuovi adulti moderni che in qualche modo sembrano non avere gli strumenti adeguati per vivere, o che forse si sono inceppati nei modelli di crescita, in discontinuità con le epoche precedenti, magari quelle dei loro genitori. E più si va avanti, più questa mancanza di praticità del vivere viene declinata in modo non scontato ma comunque sapiente da parte dell’autore: scopriamo la difficoltà dell’essere gay e temere di non essere capaci di farsi accettare dalla propria famiglia, preferendo scappare; iniziamo a conoscere il mal di vivere che si esplica attraverso le reazioni psicosomatiche e, soprattutto, psicopatologiche, mediante la descrizione puntuale di attacchi di panico, sullo sfondo di terapie che agiscono e che diventano abuso e dipendenza perché da sole incapaci di cancellare il malessere senza accompagnarsi a un adeguato percorso psicoterapico sulle problematiche profonde che ci portiamo dentro. Arriviamo anche al dramma dell’affetto per se stessi, che vacilla a tal punto da dipendere dal contesto pur di sopravvivere o ancora alle ripercussioni che l’abbandono del genitore può provocare in chi resta: coniuge o figlio che sia. Nell’avanzare della trama, i tre personaggi a proprio modo cercano di rimanere a galla, dedicandosi all’arte e alle loro aspirazioni di quasi bordeline, del vivere comune: Davide cerca di coniugare la sua vita sentimentale con la fotografia, Sofia si dedica alla pirografia come fuga dalla sua insoddisfazione che rimane senza voce mentre Oscar continua a seguire i suoi ideali musicali, ma prima o poi ognuno di loro sarà obbligato a fare i conti con la realtà. In questo senso viene descritta in maniera approfondita l’eterna guerra che intercorre, a volte, tra la prospettiva futura di chi persegue un obiettivo, specie in campo artistico, e la quotidianità che a volte dalle proprie aspirazioni allontana, conflitti che di solito sono capaci di scuoterci dentro lasciando dei marchi indelebili. E ancora, un altro aspetto da non trascurare, è la dipendenza da droghe, con una panoramica che si barcamena tra la speranza di chi hai accanto, che vorrebbe che il miracolo di uscire fuori dal tunnel accadesse, e l’inadeguatezza di fondo dei rimedi e i servizi che ancora oggi esistono per la lotta all’abuso degli stupefacenti. Come pertanto riportavo all’inizio del mio commento al libro, l’opera rimanda continui messaggi sui problemi della vita che non sempre hanno una soluzione. Lo sfondo ambientale della storia è una Bologna tutta italiana, che consta in primo luogo non degli itinerari turistici, ma dei suoi luoghi più suggestivi, che spesso rimangono nascosti, se non li conosci. Ritroviamo una narrazione fatta di odori, visioni, posti nascosti che diventano angoli di rifugio per scappare dalla realtà. Il romanzo è strutturato in seconda persona, con interazioni continue e interlocutorie tra Davide e un Oscar a cui si rivolge, per quanto poi gran parte del raccontato sveli Davide e Sofia, e soprattutto descriva il loro rapporto intenso, a tratti elitario. La delineazione dei personaggi è coerente, forse per mio gusto personale in alcune fasi ho faticato a star dietro alla dovizia di particolari con cui Davide, nel corso della storia, racconta a Oscar passaggi tra lui e Sofia, come se in realtà parlasse al suo amato ma vorrebbe entrare in contatto con lei o perlomeno comprenderla, sebbene a distanza di tempo. In alcune fasi vengono riportati episodi che riguardano l’intimo della giovane, il suo vissuto che a nessuno avrebbe voluto raccontare e ci si chiede come possa Davide esporlo. Lo stile di Bonazzi è pulito, tendente al lirismo ma avvolgente nella sua pregnanza narrativa: il rimando continuo, dosando racconto a emotività, rimane leggero e sconvolge per la sua delicatezza. Ecco perché alla fine L’abbandonatrice rimane una lettura particolare: un romanzo che si pone tra il disagio personale e la formazione di una generazione, capace di mostrarci il lato oscuro della vita che ci circonda a cui a volte prestiamo poca attenzione. Un’esperienza da dedicare soprattutto a chi, nella vita, non deve mai lasciarsi trascinare dalle avversità per non andare alla deriva.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: L'abbandonatrice
- Autore: Stefano Bonazzi
- Editore Fernandel
- Data di Pubblicazione: 2017
- ISBN-13: 9788898605675
- Pagine: 208
- Formato - Prezzo: e-book € 6,49
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