1 ottobre 2017

La vetrina degli incipit - Settembre 2017

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...




«Nell'ora magica in cui il sole è svanito ma la luce perdura, eserciti di volpi volanti si staccano dal baniano del vecchio cimitero e si librano sulla città come fumo. Quando quei grandi pipistrelli se ne vanno, i corvi tornano a casa. Lo strepito del loro ritorno non riesce a riempire tutto il silenzio lasciato di passeri spariti e dai vecchi avvoltoi dorsobianco, custodi dei morti da più di cento milioni di anni, spazzati via dalla faccia della terra. Avvelenati dal diclofenac. Il diclofenac, l'aspirina delle vacche, somministrato al bestiame come rilassante muscolare, per alleviare il dolore e incrementare la produzione di latte, ha (aveva) lo stesso effetto del gas nervino sugli avvoltoi dorsobianco. Morendo, ogni vacca o bufala da latte rilassata chimicamente diventava un'esca velenosa per i rapaci. Mentre i capi di bestiame si trasformavano in macchine più efficienti per l'industria casearia, mentre la città mangiava più gelati, più crema al caramello croccante, più cornetti con le noccioline, più stracciatella, mentre beveva più frullati al mango, gli avvoltoi iniziarono a curvare il collo come se fossero stanchi e non riuscissero più a tenere gli occhi aperti. Argentee barbe di saliva colavano dai loro becchi, e uno per uno cadevano dai rami, morti.
Non molti hanno notato la scomparsa dei nostri vecchi amici uccelli. C'erano così tante altre cose da pregustare
»
Il ministero della suprema felicità, di Roy Arundhati - Sakura


«Era il primo giorno, e anche l’ultimo.
Il portone d’acciaio si richiuse alle sue spalle e lo scatto metallico restò sospeso per un momento nell’aria fresca del mattino. Avanzò di quattro passi, si fermò e appoggiò le valigie per terra. Chiuse gli occhi e li riaprì di nuovo.
Un velo di nebbia aleggiava nel parcheggio deserto, il sole stava giusto per spuntare sopra la città, e l’unico segno di vita percepibile erano gli stormi di uccelli sui campi che circondavano il gruppo di edifici. Rimase immobile qualche secondo e avvertì risvegliarsi tutti i sensi. Un profumo di campi di grano appena mietuti gli si insinuò nelle narici. La luce dardeggiava e vibrava sopra l’asfalto. Da lontano, qualche chilometro più a ovest, gli giungeva il brusio ostinato delle automobili sull’autostrada che penetrava l’aperto paesaggio. Per un istante, la percezione improvvisa delle reali dimensioni del mondo gli diede le vertigini. Non metteva piede fuori da quelle mura da dodici anni: la sua cella, là dentro, misurava due metri e mezzo per tre: capì che il tragitto verso la città e la stazione ferroviaria sarebbe stato lungo. Immensamente lungo, forse insormontabile in un giorno come quello.
»
L'uomo che visse un giorno, di Håkan Nesser - emerson

«Quasi certamente lasceremo ai nostri figli e ai figli dei nostri figli una terra peggiore della nostra. Quando penso a un mondo peggiore non penso alla caduta dell’Occidente in mano ai barbari, ma alla caduta degli ecosistemi terrestri come li abbiamo conosciuti fin qui. Per fare fronte al collasso, l’uomo svilupperà tecniche di sopravvivenza alimentare, ambientale e sociale, ma non è detto che sarà in grado di resistere veramente. Perché la tecnica non serve a niente senza una mente in grado di affrontare con coraggio e ispirazione le privazioni e le perdite che ci attendono.
Fanatismi religiosi o filosofie dello spirito non potranno funzionare a lungo. Invece, quando penso a qualcosa di veramente efficace, mi vengono in mente i cacciatori-raccoglitori degli ecosistemi artici e subartici di 40.000 anni fa. Certamente avevano sviluppato tecniche di sopravvivenza basate su strumenti e competenze ecologiche perfettamente adeguati al loro ambiente di vita, ma quello che li ha davvero salvati dalla glaciazione è stato la loro capacità di produrre immagini.'
»
Geoanarchia, di Matteo Meschiari - Polyfilo

«C'è un paesaggio interiore, una geografia dell'anima; ne cerchiamo gli elementi per tutta la vita. Chi è tanto fortunato da incontrarlo, scivola come l'acqua sopra un sasso, fino ai suoi fluidi contorni, ed è a casa. Alcuni lo trovano nel luogo di nascita; altri possono andarsene, bruciati, da una città di mare, e scoprirsi ristorati nel deserto. Ci sono quelli nati in campagne collinose che si sentono veramente a loro agio solo nell'intensa e indaffarata solitudine della città. Per qualcuno è la ricerca dell'impronta di un altro: un figlio o una madre, un nonno o un fratello, un innamorato, un marito, una moglie o un nemico. Possiamo vivere la nostra vita nella vita o nell'infelicità, baciati dal successo o insoddisfatti, amati o no, senza mai sentirci raggelare dalla sorpresa di un riconoscimento, senza patire mai lo strazio del ferro ritorto che si sfila dalla nostra anima, etrovare finalmente il nostro posto.»
Il danno, di Josephine Hart - Cattivissimaprof

«Alzai gli occhi per via delle risate, e continuai a guardare per via delle ragazze.
Notai prima di tutto i capelli, lunghi e spettinati. Poi i gioielli che brillavano al sole. Erano in tre, così lontane che vedevo solo la periferia dei loro lineamenti, ma non importava: capii subito che erano diverse da tutte le altre persone del parco. […] Le ragazze dai capelli lunghi sembravano scivolare su tutto quello che le circondava, figure tragiche e isolate. Come una famiglia reale in esilio...
»
Le ragazze, di Emma Cline - Valetta

«Prologo

In principio era il Caos, buio e informe. Ribolliva. Macerava. Unico in se stesso, fermentava come mosto nella giara, in fondo alla grotta più scura. E quel ribollire e quel fermentare era confuso, privo di ritmo, poiché il ritmo è dato dalla vita e la vita non esisteva. Il Caos non poteva diventare Cosmo. Per questo Gaia, la Madre Terra sul cui seno esistiamo, danzava quando emerse dal buio primordiale. Perché nel Caos che fermentava c’era la scintilla della vita, giacché ciò che fermenta può mutare e quindi esistere, ma finché l’esistenza è priva di forma, niente può cominciare, e la forma della vita è la danza. Danzano i pesci nel mare, danzano gli uccelli nel cielo. Danzano gli steli nel vento. Quando si accoppiano, gli animali tracciano complicate figure, danze più antiche dell’uomo, senza le quali non vi sarebbe copula e dunque procreazione. Danzano le Muse con i loro piedi delicati, in cima al monte Elicona, e così danzando insegnano soavi canti ai mortali. Per questo nel Labirinto si può scendere solo danzando. Perché il Labirinto è il Caos e immergersi nel Caos senza portare con sé il ritmo della vita significa perdersi senza possibilità di ritorno. Tanti hanno commesso questo errore. I loro teschi biancheggiano nel buio e segnano gli incroci e le strade, là sotto, per chi conosce i percorsi. Ma mostro, e quello lieve delle sue vittime. L’urlo nel buio, prima del silenzio. Poi, il caos. Con la mia danza ho portato la morte, ma nessuno è morto di tante morti quanto me. Sono uscita dal Labirinto seguendo il filo della sacra danza, e questo è tutto quello che si può dire sulla giustezza delle mie scelte. Quelle che feci prima, quando scesi nel buio informe, io luminosa che rischiaravo il cammino altrui, io nemica di chi mi era amico, io traditrice dei miei traditori, sono parte di quei vicoli ciechi, di quei passaggi ostruiti, di quei dislivelli letali che rendono folle danzare nel Labirinto. Ci sono abissi dai quali non può tornare, altri dai quali non si dovrebbe tornare. Ho commesso entrambi i crimini. Dopo aver pensato che sarebbe stato meglio non dare forma al Caos, né rischiararlo della luce di Gaia, rido.
»
Nati due volte, l’età del bronzo e del miele, di Laura MacLem - Il Gatto Zorba

«La mia decisione di fare l’avvocato diventò irrevocabile quando mi resi conto che mio padre odiava gli avvocati. Ero un adolescente goffo, imbarazzato dalla mia goffaggine, frustrato nei confronti della vita, terrorizzato dalla pubertà e in procinto di venire spedito da mio padre in una scuola militare per insubordinazione. Era un ex marine, convinto che i ragazzi andassero tirati su a frustate. Io avevo dimostrato di avere la lingua svelta e una certa avversione per la disciplina, e la sua soluzione fu mandarmi via. Passarono anni prima che lo perdonassi.»
L'uomo della pioggia, di John Grisham - Chiara A.

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