Recensione
Si apre con un artificio letterario, un racconto nel racconto, il romanzo del 1993 dello scrittore cinese Yu Hua: la voce narrante, che parla in prima persona e si potrebbe anche identificare con lo scrittore stesso, anche se non viene detto esplicitamente, è quella di un giovane che svolge una ricerca sulla cultura popolare andando alla ricerca di vecchie canzoni e ballate contadine nell’immensa campagna cinese. Durante l’estate di ricerca si imbatte in un vecchio contadino che bisticcia con un toro e ci parla quasi come fosse un umano e, attratto e divertito dalla situazione, finisce per ascoltare dalla sua voce una storia famigliare lunga e travagliata, che costituisce la trama della narrazione.
La cornice campestre diventa l’ambiente in cui si svolge un racconto che dura una giornata intera, scandito dalle pause del lavoro del contadino, durante le quali il giovane ascolta una specie di autobiografia che si allontana quasi subito dalle aspettative di giocosa spensieratezza con cui si apre il libro. Il contadino, sopravvissuto alla fatica e a una serie interminabile di traversie, dimostra, nello sgranare una litania di sventure, di alcune delle quali è responsabile, mentre per altre può solo dare la colpa al destino, quasi una gioia di vivere che il lettore fa fatica a distinguere dalla follia. Invece non è follia, quella di Xu Fugui – questo il nome del contadino –, come sembrerebbe quando il cronista ce lo esibisce nell’atto di parlare con il bufalo e di fingere la presenza di altri bufali, inesistenti, dai nomi umani; è, come si capisce man mano che il vecchio procede nella sua autobiografia, una sorta di equilibrio che deriva dall’accettazione di tutto quello che gli è capitato nella vita, anche al di là delle sue responsabilità.
Vivere, sembra insegnare Fugui, significa soprattutto non cedere mai alla disperazione, anche quando l’esistenza viene scandita da una sequenza ininterrotta di negatività. Vivere è più che semplicemente sopravvivere, restare come relitti abbandonati dalle onde sul bagnasciuga, è trovare o almeno cercare una consapevolezza dei fondamenti dell’uomo attraverso la sfortuna. La storia di Fugui e della sua famiglia costituisce un breve e densissimo riassunto di una parte della storia cinese degli ultimi sessant’anni vista da un punto di vista periferico, come periferico è il villaggio dove si svolge la vicenda narrata, come periferico è il ruolo del contadino ex riccone e della sua famiglia. Nei rivolgimenti che riguardano la vita di Fugui, che da ricco possidente si ritrova miserabile coltivatore, e la società cinese della rivoluzione maoista, la famiglia rimane unico perno attorno cui è possibile costruire se non la felicità almeno un suo simulacro, anche quando viene meno, anche quando le vicissitudini la rendono sempre più amara e insopportabile.
In questo Yu Hua pare voler indicare che gli orizzonti della tradizione confuciana, che vede nel rispetto della famiglia e dello Stato, garanti entrambi dell’ordine terreno, i valori supremi, non sono ancora superati, anzi sono destinati a rimanere ancora attuali. Come il vecchio contadino che non incrollabile pazienza, alle soglie del XXI secolo, trascina insieme al suo bufalo – sua unica famiglia – un aratro quasi medievale e la sua stanca, ma nonostante tutto, non inutile vita verso un futuro incerto.
Giudizio:
+2stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Vivere!
- Titolo originale: Hezhuo
- Autore: Yu Hua
- Traduttore: Nicoletta Pesaro
- Editore: Feltrinelli
- Data di Pubblicazione: 2009
- Collana: Universale Economica Feltrinelli
- ISBN-13: 9788897720758
- Pagine: 190
- Formato - Prezzo: paperback - Euro 8,00
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