L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
«FORMAN (Parla sempre molto velocemente): Scusate signora, ma una delle cameriere desidera parlarvi.
MADGE sta scorrendo ansiosamente il giornale e si siede pesantemente su uno sgabello vicino al piano.
MADGE (Senza alzare lo sguardo dal giornale) Non ho tempo, ora.
FORMAN Molto bene, signora. (Si gira per andar via)
MADGE (Sempre senza alzare lo sguardo dal giornale) Quale cameriera?
FORMAN (Girandosi di nuovo verso MADGE) Térèse, Signora.
MADGE (Alzando lo sguardo, con una certa sorpresa nella voce) Térèse! FORMAN Sì, signora.
MADGE Sai di che cosa voglia parlarmi?
FORMAN Non ne ho la più pallida idea, signora.
MADGE Deve dirlo a te. Sono molto occupata e non posso riceverla, a meno che io non sappia di cosa si tratta.
FORMAN Riferirò, signora. (Si gira ed esce dal centro del palco, chiudendo piano e con cura la porta, per poi rientrare immediatamente e osservare MADGE dal centro).
MADGE sfoglia il giornale; trovato ciò che cercava, inizia a leggere ansiosamente. Come se non vedesse bene, si avvicina alla luce e ricomincia a leggere con grande attenzione. FORMAN chiude la porta al centro e rimane in piedi a osservare MADGE mentre quest’ultima legge il giornale; l’azione si prolunga, in modo che sia chiaro che Forman non sta aspettando che lei finisca per pura educazione: la guarda in modo intenso e acuto, ma senza assumere altre espressioni. MADGE termina la lettura e si alza con rabbia, gettando con violenza il giornale sul pianoforte. Si gira e si dirige verso destra, vicino alla grande scrivania. Si ferma, poi va di nuovo verso sinistra, con rabbia. Vede FORMAN, riacquista immediatamente il contegno. Quando MADGE si gira, FORMAN sembra essere appena entrato e si sposta leggermente al centro.
FORMAN (Verso il centro) Non sono riuscito a farmi dire una parola, signora. Insiste che deve parlarne lei stessa con voi.
MADGE Dille di aspettare fino a domani. (Si gira e si dirige verso destra)
FORMAN È quello che ho fatto, signora, ma ha risposto che domani non sarà più qui...»
«Lapietà? Georges? Lo conosci, è il classico tipo che nelle confidenze ci sguazza, come i cani in campagna nella fossa del letame. (Quel movimento elicoidale che li attorciglia tutti, dal muso alla coda!) Lui, uguale. E poi ne spande ovunque. Allora tanto vale entrare subito nella sua testa. Non è un’indiscrezione, è stato lui stesso quel giorno a raccontare tutto ai ragazzi. A cominciare dall’accuratezza con cui si è preparato per andare a prendere l’assegno. E i buoni motivi che aveva per non arrivare puntuale: Ho tutte le carte in mano, arrivo all’ora che mi va, becco i soldi e ce ne andiamo in vacanza, questo voleva far capire al gentile comitato: Ménestrier, Ritzman, Vercel e Gonzalès. Settimane passate a scegliere con cura il travestimento.»
«Sogno azzurro.
Il merlo indiano era l'eredità di papà. Papà era morto da più o meno cinque anni e aveva lasciato in casa un buco con la sua sagoma, la sua forma e la sua profondità, parecchie mutande enormi ancora da collaudare, qualche pannolone e il merlo. Il merlo aveva la caratteristica di parlare a sproposito e gracchiava cose tipo "hasta siempre" o "la cena si fredda" o "sei la più bella della foresta pluviale". Aveva anche il vizio di cagare a intervalli regolari. Prima di cagare papà gli aveva insegnato a dire "alla salute". E il merlo diceva: «Alla salute.» E cagava. Anche tutto il resto del repertorio era merito di papà. Max puliva la gabbia dell'eredità di papà tre volte al giorno, dopo il caffè della colazione, dopo il caffè del pranzo e dopo il caffè della cena. Subito dopo puliva mamma.»
«Ancora una notte, ancora quel sogno, ancora quelle immagini. Sempre le stesse, da 3 anni. Ogni volta si aggiungeva un particolare che completava il quadro, ogni volta si svegliava con la stessa nostalgia e la voglia di tornare a casa. Anche se non sapeva dove fosse, ormai, la sua casa. Il sogno iniziava sempre allo stesso modo. Vedeva i suoi piedi decorati con bellissimi tatuaggi color argento. Camminava calpestando candida sabbia, morbida come velluto e fresca. Le minuscole pietre che si mescolavano la distesa sabbiosa riflettevano i bagliori notturni, allora alzava il capo a contemplare il cielo, sconfinato. Una stella cadente solcava la volta celeste, lasciando una scia luminosa che si dissolve vari assorbita dalla notte. All'orizzonte Le Tre Lune sorgevano allineate. Tornando ad abbassare lo sguardo, potevo osservare le vastità del deserto di Muna, volgendosi a Est, l'immenso bosco degli alberi neri e a nord in lontananza la sagoma scura del palazzo con le sue guglie e le torri. Una risata sgorgava argentina dal centro del suo cuore. Ecco la sua casa, ecco il regno cui apparteneva. Poi una scossa sotterranea la faceva trasalire è un brivido le percorreva la schiena. Guardando a terra vedeva con orrore che la sabbia aveva lasciato spazio a una voragine che correva lunga e profonda verso il palazzo. La crepa nera sembrava portare al centro stesso della terra. Lei e stava a guardare inorridita l'oscurità, mentre una voce tetra saliva dal nulla. Si svegliava proprio prima di cogliere ciò che la voce diceva. E fuoco il punto che si sveglio anche con la notte.»
«Ero stato malato per molto tempo. Il giorno in cui lasciai l’ospedale camminavo a fatica e quasi non ricordavo più chi avrei dovuto essere. Usi la volontà, mi disse il medico, e in tre o quattro mesi tornerà come prima. Non gli credetti, ma seguii lo stesso il suo consiglio. Mi avevano dato per morto, e ora che avevo smentito i pronostici evitando misteriosamente di morire, che scelta mi restava se non vivere come se mi aspettassi una vita futura?»
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