L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
«Senza dubbio Tsugumi era una ragazza impossibile.
Ho lasciato il mio tranquillo paesino, in cui si vive di pesca e di turismo, e sono venuta a Tokyo per frequentare l’università. Anche le giornate che trascorro qui sono molto divertenti. Mi chiamo Shirakawa Maria. Maria, proprio come la Madonna.
Però non mi sento affatto una santa. Ma nonostante questo, chissà perché, quando i nuovi miei amici parlano di me, non ce n'è uno che non dica che sono "generosa", o "serena". Se proprio devo dire come mi vedo io, credo di essere una semplice ragazza in carne e ossa, per di più con poca pazienza. Comunque, mi sono accorta di un fatto abbastanza strano.
Le persone, qui a Tokyo, se per caso si mette a piovere, se salta una lezione all'università o se un cane fa la pipì, insomma qualsiasi cosa succeda, si arrabbiano subito. Io, invece, sono un po' diversa. Mi arrabbio, sì, ma un istante dopo un'onda mi travolge e la mia collera si disperde nella sabbia... Ormai ero quasi convinta di essere "una tranquilla ragazza di provincia", quando l'altro giorno, dopo che un odioso professore non mi aveva accettato una relazione per un ritardo di un minuto, sulla via del ritorno ero pazza dalla rabbia: fissavo il tramonto e all'improvviso me ne resi conto.»
«Fra i grandi della nostra storia politica universale, Hitler rappresenta un caso davvero unico. Fino ai trent’anni la sua fu un’esistenza assolutamente oscura, ma a partire da allora e per tutti i ventisei anni successivi il suo destino cambiò, ed egli finì col lasciare un marchio indelebile nella storia dell’umanità, come dittatore della Germania e istigatore di una guerra di sterminio che segnò la più drammatica eclisse dei valori della civiltà mai verificatesi nei tempi moderni, e che si concluse con la distruzione del suo Paese e di gran parte dell’Europa.
Nato nel 1889 da una modesta ma rispettabile famiglia piccolo–borghese nella cittadina austriaca di Braunau am Inn, posta al confine con la Germania, nella prima parte della sua via Adolf Hitler non fece nulla che potesse anche solo lontanamente far presentire il destino di tragica grandezza che a distanza di qualche decennio lo avrebbe reso quasi padrone del mondo. Tutto invece lasciava prevedere un futuro di mediocrità e grigiore.»
«Bravo chi sa spiegarle, le leggi. O come siano state cambiate dal tempo e dagli uomini. Per quasi ottant’anni, dalle nostre parti, l’unico modo per ottenere un divorzio era che uno dei coniugi finisse in galera per qualche reato o si facesse beccare in flagrante adulterio. La violenza fisica o la malattia mentale non contavano niente. E, nei dieci anni successivi alle mie dimissioni da vicesceriffo di contea, quelle antiquate leggi sul divorzio erano servite a riempirmi le tasche. Poi l’assemblea legislativa dello Stato, in un vortice di attivismo al termine di una seduta straordinaria, le aveva modificate lasciandomi in brache di tela. Adesso, da noi, i matrimoni possono terminare per divergenze inconciliabili. Entrambi gli schieramenti, favorevoli e contrari, erano rimasti più che spiazzati dall’imprevista iniziativa del legislatore, ma non tanto quanto il sottoscritto, che aveva passato i due giorni seguenti in ufficio, con un consistente malumore, a bere e godersi il panorama, soppesando un futuro che si presentava inaspettatamente buio. E il panorama aveva un’aria di gran lunga più piacevole delle mie prospettive.»
«La cittadina prende il nome dal fiume. La corrente, rapida e pericolosa, prorompe con allegria convulsa, trascinandosi dietro pezzi di legno e ciocchi di ghiaccio. Nei piccoli anfratti dove l'acqua rimane intrappolata le pietre, blu, nere e viola, risplendono dal letto del fiume lisciate e arrotondate a perfezione, e sembra di vedere una covata di grosse uova in un cesto d'acqua. Il rumore è assordante.
Dai ramoscelli più esili degli alberi di Folk Park sospesi sul fiume stilla con soffice sussurro il ghiaccio al disgelo, e la scultura di cerchi metallici, un pugno nell'occhio a detta di molti abitanti del luogo, è impreziosita da una collana di ghiaccioli scompigliati, bluastri nella notte gelata. Se si fosse addentrato di più, lo straniero avrebbe visto le bandiere di varie nazioni, a indicare quanto il posto sia diventato cosmopolita e, in ossequio alla nostalgia, ci sono un vecchio macchinario agricolo, una mietitrebbia, la ruota di un mulino e la copia di un cottage irlandese risalenti a quando i contadini abitavano nei tuguri e per sopravvivere mangiavano le ortiche.
Si sofferma sulla sponda del fiume, come ipnotizzato dall'acqua.»
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