Recensione
Un’Australia selvaggia e isolata dovrebbe fare da cornice a una storia complessa e ricca, che racchiude in sé diverse vite tenute insieme dall’invisibile filo del destino. Ma più che di Australia, in questo romanzo, troviamo il senso selvaggio e di “isolitudine” perché l’ambiente primario in cui si struttura la scena è proprio un isolotto abbandonato, dove sorgono le rovine di un vecchio villaggio di pescatori prima e un antico monastero di suore di clausura più in là. Un ambiente feroce, che nel corso del tempo si è impossessato di quanto lasciato dall’uomo riprendendosi il suo spazio e trasformando il luogo in modo inaccessibile o quasi. Il verde dei rami e dei rovi, il fango, la presenza delle foche sugli scogli, il mare che come per miracolo, scopriremo a lettura avanzata, si solleva e si dirada per creare un lembo di passaggio di sabbia con il resto del continente, sono tutti elementi forti e presenti all’interno della storia, che hanno un peso enorme sulle vicende. Una volta entrati dentro questa dimensione, è più facile per il lettore comprendere le dinamiche interattive tra i vari personaggi, e immaginarne la verosimiglianza: ci sono tre suore che si sono adattate a vivere nell’antico convento in rovina, che nel rispetto della clausura non hanno per decenni avuto più contatti con l’esterno e che dedicano le loro giornate alla fede, ai rituali che ricordano e che hanno nel tempo modificato perché nessuno in quel frangente, una volta decostruito il villaggio, si è posto il problema di renderle partecipi delle evoluzioni del tempo. Suore che allevano pecore le quali, a loro volta, altro non sono che la reincarnazione delle sorelle perdute, che rispettano la legge divina occupandosi della raccolta del cibo, dei sacrifici animali e delle preghiere, cardano la lana con cui intessere i loro vestiti sgangherati. La loro esistenza procede immutabile, sino all’avvento di un agente esterno, rappresentato da Ignazio, braccio destro del vescovo che, convinto di trovare un rudere disabitato, irrompe nelle loro vite con l’intento di riqualificare l’isola a centro turistico di lusso.
In questo aspetto ritroviamo uno dei temi cardine del romanzo: lo scontro tra presente e passato, che assume la forma del conflitto tra moderno e rurale, o anche tra natura e tecnologia. Le tre donne rimangono destabilizzate dall’intromissione, arrivando a compiere un vero e proprio rapimento dell’uomo per comprendere che cosa del mondo di fuori si stia intromettendo nella loro visione della vita. Margarita, Carla e Iphigenia sono diverse tra loro per storia, età e carattere. Il loro passato singolo riemerge nelle varie fasi del racconto, esplicandoci dei temi tosti, come l’aderenza alla fede, la scoperta del sesso primigenio e il senso di maternità, la violenza domestica e il rifugio. Tre donne diverse che arrivano al convento per trovare la propria pace o, nel caso di Carla, ci arrivano e basta perché così il fato ha voluto. Nessuna prevale sulle altre a livello ufficiale, per quanto sia Iphigenia che diventa suo malgrado la mente del trio, colei deputata a prendere le decisioni e a risolvere i problemi una volta che comprendono che, nel bene o nel male, l’eremo che vorrebbero salvare, e con esso le loro vite e quelle delle loro sorelle pecore, non può fare i conti con i concetti moderni e gli aggeggi tecnologici che per noi rimangono scontati. Ma possono tre persone rimanere scollegate dalla realtà e vivere in un’oasi tutta loro, senza interagire con l’esterno? A quanto pare sembrerebbe di sì, visto che Marele Day nel suo romanzo ci presenta proprio questa verità. E la scelta, una volta interrotta la quotidianità, deve attenere al bivio in cui si ritrovano le persone coinvolte: restare oppure andare via. E, credetemi, in questo senso il finale non è per nulla scontato. Anche Ignazio subisce un cambiamento nel corso della storia: lotta con il suo istinto sessuale, per portare a buon fine un compito ma alla fine lascia uno spiraglio di adesione alla vita naturalistica delle tre donne, comprendendo di trovarsi di fronte forse un ostacolo ben più grande di quello che aveva valutato. Non stiamo a svelare ogni singolo passaggio, perché altrimenti rovinerebbe il senso e il piacere di questa lettura a tratti illuminante, in altre parti tragicomica. Lo stile è netto, immediato, si disperde in descrizioni puntuali degli ambienti e delle scene, ma nel complesso non pesa la lettura, che continua a essere ammaliata dalle vicende e dal loro svolgersi, una pregevole cura del prodotto comunque va messa in risalto, con l’assenza di errori tali, sia dal profilo formale che della concezione di trama, da far apprezzare l’insieme del prodotto. Agnelli di Dio in sé è una storia molto particolare, che può essere amata oppure lasciare indifferenti, perché accosta diverse tematiche per ottenere una sinergia univoca, lasciando nel mezzo il sentore su ciò che sia bene e ciò che sia il male. Una lettura che si addentra nei temi mistici e religiosi, evidenziandone però la praticità e le differenze, e che ci ricorda comunque l’importanza del rispetto di tutti, a partire dall’autodeterminazione delle persone. Di sicuro è un libro che, se è ancora reperibile nel mercato, vale la pena di leggersi e gustarsi passo per passo.
Giudizio:
+4stelle+ e mezzoDettagli del libro
- Titolo: Agnelli di Dio
- Titolo originale: Lambs of God
- Autore: Marele Day
- Traduttore: Anna Maria Cossiga e Gabri Passalacqua
- Editore: Marco Tropea Editore
- Data di Pubblicazione: 2000
- Collana: Le Gaggie
- ISBN-13: 9788843802012
- Pagine: 320
- Formato - Prezzo: € 15,49
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