30 settembre 2016

Gli affari del signor Giulio Cesare - Bertolt Brecht

Alla morte di Bertolt Brecht, nel 1956, l'inedito sul quale si polarizzò subito la curiosità e l'attesa di tutti gli appassionati del grande scrittore fu il romanzo che egli stava portando a termine: Gli affari del signor Giulio Cesare. Già una volta il drammaturgo tedesco si era cimentato nel romanzo, dando veste narrativa ad una sua famosa opera teatrale nel movimentatissimo Romanzo da tre soldi. Il nuovo romanzo trattava invece di un personaggio e di un periodo che Brecht non ha mai affrontato sulla scena: Giulio Cesare, un Giulio Cesare, naturalmente, visto alla Brecht, cioè ricostruendo con spirito moderno e fortemente polemico, tutti i retroscena, gli intrighi, gli interessi economici nascosti dietro la sua straordinaria "carriera". Non si creda però che la storia ufficiale ed eroica sia da Brecht messa in burletta o rivissuta secondo i procedimenti del romanzo storico: Brecht vuole soprattutto spiegarsi, alla luce della sua logica realistica, i perché dei fatti tramandatici dalla storia; e le sue spiegazioni, se pur spesso paradossali, non risultano perciò meno convincenti. Ma il romanzo -che figura essere il diario di Raro, segretario di Cesare- è mosso da una potenza di rappresentazione in cui la evidenza drammatica sempre presente (il Brecht romanziere non dimentica mai d'esser uomo di teatro) si trasforma in efficacia narrativa: come nei funerali della pescivendola uccisa dalla polizia, o nella scena notturna sul campo di battaglia, tra i morti dell'esercito di Catilina. Attraverso il declino di Roma repubblicana, il marasma sociale, le congiure, si configura un arroventato clima storico in cui possiamo riconoscere il sapore dei nostri tempi.

Recensione

Gli affari del signor Giulio Cesare fu pubblicato sessanta anni fa, qualche mese dopo la morte di Bertolt Brecht avvenuta nel 1956. Nel romanzo si immagina che un giovane storico, a venti anni dalla morte di Giulio Cesare, volendone scrivere un'apologia, si rechi dall'ex banchiere Spicro, avendo saputo che era in possesso dei diari di Raro, il segretario di Giulio Cesare. Ma dai diari apprende aspetti di Cesare inaspettati: l’uomo tanto osannato era un donnaiolo impenitente e viveva al di sopra dei propri mezzi, tanto che per ripianare i propri debiti non aveva altro mezzo che quello di passare, dietro compenso, da una parte all’altra degli schieramenti politici.

Bertolt Brecht ricostruisce la vita politica romana fatta di intrighi, inganni e tradimenti diretti a soddisfare gli interessi personali dei vari personaggi, e il romanzo, pur a distanza di oltre mezzo secolo, risulta sempre attuale, dato che i tempi cambiano ma l’animo delle persone no. Anche il fenomeno della globalizzazione, che esisteva già a quel tempo, creava notevoli problemi alle classi meno abbienti. I ricchi diventavano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri e, soprattutto, senza speranze per un futuro migliore.
Il discorso di Cesare che si legge nel diario di Raro inquadra bene la situazione di Roma:

La capitale del mondo è costituita da alcuni edifici governativi in mezzo a sobborghi. Qualche sala riunione, alcuni templi e qualche banca, circondati da un mare di case d’affitto decrepite, piene di miserabili. La guerra è stata un delitto. I vinti sono ventidue re asiatici e il popolo romano. La capitale del mondo ospita oltre a voi, signori miei, soltanto disoccupati. L’occupazione cui si dedicheranno un bel giorno, vi meraviglierà tutti. I capi della democrazia presto non saranno più in grado di far capire la ragione alle masse. In queste condizioni serrate pure col pugno i vostri sacchi di soldi! Domani ve li porteranno via, con tutto il pugno.

A questo proposito bisogna fare una precisazione: la "P" della sigla SPQR non sta a indicare il popolo inteso nel significato che gli diamo oggi, perché il “popolo” cui viene fatto riferimento durante il periodo della repubblica era composto da patrizi e cavalieri, con esclusione del popolino, ovvero dei piccoli artigiani e imprenditori, nonché la plebe disoccupata, che costituiva la maggior parte della popolazione di Roma. Di fatto esistevano due classi sociali che si contendevano il potere: i conservatori, patrizi discendenti dalle famiglie scelte da Romolo per aiutarlo ad edificare Roma, e i democratici, composti dai ricchi “cavalieri”, così chiamati in quanto costituivano la prima centuria dotata di cavalcature, secondo la divisione in classe fatta da Servio Tullio. Con l'avvento della Repubblica dopo la cacciata di Tarquinio il Superbo, la nobiltà pragmaticamente chiamò questi ricchi plebei a condividere i suoi privilegi, anche se venivano sempre un po’ snobbati come parvenu. Come dice Montanelli nella sua Storia di Roma, se la nobiltà francese avesse utilizzato la stessa politica del senato romano, elevando i borghesi più abbienti al proprio livello, probabilmente la rivoluzione francese non sarebbe mai scoppiata.
I cavalieri, proprietari delle banche che formavano la “city”, finanziavano le guerre della repubblica e ne ricavavano enormi profitti. La nobiltà, costituita dai latifondisti romani, otteneva dalle vittorie soprattutto moltitudini di schiavi, la manodopera da utilizzare nelle proprie piantagioni.

Per evitare di dare inutilmente nell'occhio, gli schiavi che Pompeo manda dall'Asia, vengono condotti di solito in città nelle prime ore del mattino per la vendita all'asta. Oggi ho visto una processione di questa gente. Circa 2000 scendevano zoccolando dalla Suburra, in uno stato pietoso, con calzature troppo leggere per il nostro pessimo selciato. Malgrado l'ora mattutina mi trovai circondato da piccoli bottegai e da disoccupati (i primi si mettono al lavoro molto presto per risparmiare la luce, i secondi vanno al mercato molto presto in cerca di rifiuti a buon prezzo). Tutti guardavano cupi la lunga processione: sapevano che ognuno di questi schiavi significava un posto di meno o un cliente di meno.

Ai soldati romani come compenso venivano distribuite terre coltivabili, ma non riuscivano a sostenersi con i prodotti dei campi. Erano infatti schiacciati dai prezzi concorrenziali delle derrate alimentari prodotte dai latifondi e/o importate dall’estero, per cui erano costretti dopo qualche tempo a svendere i loro poderi, andando poi ad aumentare la schiera dei disoccupati. Quando si temeva che la plebe potesse sollevarsi, il senato provvedeva a tacitarla con qualche distribuzione gratuita di grano.
Si può ben comprendere come Catilina, aiutato sottobanco da quei democratici che volevano ricattare il senato spaventandolo, riuscisse a monopolizzare intorno a sé i malcontenti e a minacciare la stabilità dello stato. Il suo errore, se così si può chiamare, fu quello di inserire nelle proprie schiere anche gli schiavi, temendo di non essere in grado di fronteggiare con i soli cittadini meno abbienti le ben addestrate milizie romane. Ma questa scelta creò il malcontento fra gli uomini liberi che si sentivano superiori agli schiavi e le controversie interne fomentarono una guerra fra poveri, dando buon gioco all’esercito nel disperdere i rivoluzionari nella battaglia che sarebbe scoppiata.

Già da due settimane avevo inteso parlare qua e là di Catilina, ma ora improvvisamente non si parla d'altro. Vengo a sapere che ha tenuto un comizio nel terzo distretto, dove pare abbia parlato tra applausi entusiastici, contro i profittatori e gli speculatori. Egli esige che non soltanto il Senato e la city, ma anche il più infimo cittadino romano abbia la sua parte del bottino fatto in Asia. (...)

La fuga di capitali assume proporzioni sempre maggiori. Il tasso d'interesse è salito dal 6 per cento al 10 per cento. Dunque nella city hanno già paura di Catilina! Pomponio Celere "pellami e cuoi", disse però qualcosa di molto notevole: "Forse la city fa sparire i capitali perché si abbia paura di Catilina".

Il ritratto di Giulio Cesare che scaturisce dal romanzo di Brecht è sotto molti aspetti quello di un simpatico mascalzone, dedito a circuire le donne di personaggi illustri come la moglie di Pompeo e la sorella di Catone, nonostante avesse già una moglie e qualche amante, nonché a gettarsi in sconsiderati investimenti che andavano ad aumentare i suoi debiti. Ma la sua forza derivava in parte proprio dai debiti contratti, dato che chi era disposto a finanziarlo sapeva che niente è più affidabile di un uomo la cui lealtà può essere comprata con il denaro.
Ciò premesso Giulio Cesare non è l’unico personaggio che viene dissacrato in una visione realistica della storia. Non migliore figura fanno ad esempio Pompeo, Crasso, Catilina, Cicerone e Catone.

Anche se Brecht non riuscì ad ultimare Gli affari del signor Giulio Cesare, l'opera risulta estremamente interessante e attuale. Molte delle problematiche che si dibattevano duemila anni fa si rivedono mutatis mutandis ai nostri giorni. Brecht riesce a descrivere una società romana molto più realistica di quella che viene fatta studiare a scuola e vengono inoltre spiegate molte situazioni su cui, salvo errore, i nostri insegnanti alle scuole superiori non si sono mai soffermati. Per quanto cruda, quella fatta da Brecht è una interpretazione interessante e realistica della storia, la cui lettura suggerisco a tutti, studenti compresi.

Giudizio:

+5stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Gli affari del signor Giulio Cesare
  • Titolo originale: Die Geschafte des Herrn Julius Caesar
  • Autore: Bertolt Brecht
  • Traduttore: Lorenzo Bassi
  • Editore: Einaudi
  • Data di Pubblicazione: 1975
  • Collana: Nuovi Coralli
  • ISBN-13:  9788806411459
  • Pagine: 204
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 16,00

2 Commenti a “Gli affari del signor Giulio Cesare - Bertolt Brecht”

  • 30 settembre 2016 alle ore 10:12
    Gaia Lps says:

    Sembra veramente interessante! Bellissima recensione ^_^

  • 2 ottobre 2016 alle ore 09:32
    emerson says:

    Thanks for reading

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