Recensione
Come si scrive un thriller di successo? Secondo Donato Carrisi è sufficiente chiamare a raccolta ogni sorta di psicopatico visto in ogni possibile giallo scritto finora e fare un bel minestrone di tutte le possibili aberrazioni umane, al grido di "O la va, o la spacca". Alla fine, bisogna ammetterlo, è andata, e Il suggeritore è diventato uno dei gialli italiani di maggior successo anche all'estero, quanto meritato resta da vedere.
Dal punto di vista strettamente della trama, passando sopra alla sovrabbondanza di elementi, Il suggeritore è un buon giallo, sostenuto da un enigma ben congegnato, almeno fino a circa metà.
In mezzo a un bosco vengono rinvenute sei braccia sinistre appartenenti ad altrettante bambine scomparse. Uno a uno iniziano a comparire anche i cadaveri, secondo una modalità che di volta in volta porta allo scoperto un crimine e un criminale "secondario". Inizia così una giostra di pedofili, stupratori, violenti parassiti e chi più ne ha più ne metta, in un'escalation di orrori che ha l'evidente scopo di stordire il lettore moderno, ormai abituato a "banali" serial killer da telefilm.
Nell'ansia di stupire l'autore non si accorge che i conti non tornano sempre nel suo meccanismo (ad esempio il modo in cui dal secondo cadavere si risale al secondo omicidio non sta proprio in piedi) ma, soprattutto, Carrisi si fa prendere un po' troppo la mano e battere il record di crimini violenti in un giallo non gli basta più: vuole anche battere quello dei colpi di scena. Preso da questa frenesia e in barba a ogni logica, lo scrittore infarcisce la seconda parte del romanzo di improvvise e improbabili scoperte, al termine delle quali nemmeno il vecchio gatto asmatico di vostra nonna risulterà più innocente. Che poi non si capisce perché Carrisi si sia preso la briga di congegnare una trama così arzigogolata per poi risolvere uno dei nodi principali tirando fuori dal cappello una medium che ha tutte le rispose.
Il problema vero di questo romanzo, tuttavia, è che un thriller così cruento dovrebbe essere raccontato con una voce fredda, decisa, ammaliante. Dovrebbe essere raccontato da qualcuno personalità e non da qualcuno che scrive come una ragazzina delle superiori che ha fatto una scorpacciata di telefilm americani e tenta di ricrearne l'atmosfera traducendo letteralmente (e maldestramente) dialoghi, personaggi, ambientazioni.
Anche Carrisi, infatti, rientra nel gruppo di autori italiani che ritengono che scrivere un libro coincida con scrivere un tema, come si faceva al liceo. Un bel tema bisogna dire, sintatticamente curato e con una buona padronanza del linguaggio, ma pur sempre un elaborato didascalico, pieno di ingenuità, in cui l'autore tenta di riversare tutte le sue conoscenze sul tema senza offrire qualcosa di veramente nuovo, originale o credibile.
Già nella caratterizzazione dei personaggi si riversano luoghi comuni come la poliziotta protagonista, una dura abituata al lavoro solitario che naturalmente nasconde un suo dramma personale che la spinge a fare cose assurde come ustionarsi le mani involontariamente e senza motivi già alla sua prima apparizione. Naturalmente il trauma appena accennato scompare per buona parte del racconto, per poi essere riappiccicato sul finale, sempre per amore dei colpi di scena.
Inserita in una squadra che non è la sua, la protagonista incontra altri personaggi-tipo come il superiore incompetente, l'affascinante criminologo, l'esperta informatica, unica altra donna del gruppo, che prende in odio immediatamente e senza motivo la nuova arrivata e non perde occasione per denigrarla e sminuirla pubblicamente, con insulti degni di una tredicenne. In compenso il poliziotto giovane e rampante parte subito a fare il galletto allupato.
Ma ciò che ho trovato veramente irritante è il fatto che Carrisi collezioni una sequela di frasi e situazioni a effetto che però non coincidono veramente con i fatti.
Ad esempio la protagonista a parole è una grintosa esperta di rapimenti di bambini ma nei fatti la vediamo sempre compiere pasticci uno dietro l'altro. Il brillante criminologo le assegna un interrogatorio con la vedova di un sospettato confidando sulle sue capacità di intuizione e sull'esperienza: lei le dimostra chiedendo alla donna da quanto era sposata e come ha conosciuto il marito. Brillanti intuizioni che conquistano alla protagonista la stima imperitura del collega, ovviamente. Tra parentesi la vedova a questo punto racconta la storia del proprio matrimonio e alla fine arriva a rivelare che il marito aveva l'amante. L'investigatrice brillante intuisce che la donna li aveva ingannati e aveva manovrato la conversazione per arrivare a quella rivelazione. Ma siamo seri?
Oppure vogliamo parlare del principale sospettato che lascia in segreteria un messaggio poco chiaro ed evidentemente equivoco ma nessuno dei poliziotti ne coglie l'evidente significato fino a quando il brillante criminologo, 24 ore dopo, non nota genialmente "una discrepanza"? E non poteva mancare l'esperta informatica che dice assurdità come "ho collegato una memoria esterna così se il PC va in palla si scaricheranno i dati tutti qui in un lampo", mentre esibisce una tecnica investigativa astutissima che consiste nel vedere se le cartelle Documenti e Immagini contengono files, nemmeno fosse un corso di Windows per dummies.
E ancora la protagonista che, in quanto nuova arrivata, viene ignorata da tutti fino a che di punto in bianco se ne esce pronunciando ad alta voce una singola parola ad effetto che costringe tutti a voltarsi verso di lei meravigliati dalla improvvisa e geniale intuizione. Una scena ridicola e infantile, già vista in migliaia di film e telefilm in cui si vuole far passare uno dei personaggi per genio.
Purtroppo Carrisi non lo sa e il suo romanzo non riesce a superare il livello del temino ben scritto, con dialoghi che sembrano la traduzione letterale di quelli che sentiamo in un poliziesco americano qualsiasi, dinamiche fra i personaggi ridicole e infantili e un intento didascalico quasi imbarazzante. Si è mai visto un giallo in cui si interrompe il dialogo per spiegare al lettore cos'è il luminol? Anche fosse davvero necessario spiegarlo, si poteva avere l'accortezza di inserire la spiegazione all'interno di un dialogo, invece il narratore onnisciente scende in campo personalmente per tenere una lezioncina sull'argomento.
Similmente, tante, troppe volte, situazioni di per sé evidenti vengono inutilmente spiegate sminuendone il valore: quando, ad esempio, un sospettato dà una risposta evasiva, l'evasività è già esplicita nella risposta stessa e non c'è motivo per il narratore per inserirsi e sottolineare che si trattava di una risposta evasiva spiegando il perché.
In conclusione, Il Suggeritore è un giallo scenografico, scritto per piacere e stupire. In alcuni punti ci riesce effettivamente, anche se prestando un po' di attenzione parecchi risvolti della trama risultano inevitabili, e sicuramente la trama è di quelle che catturano ma il desiderio di scioccare porta a numerosi errori e diventa a tratti ridicolo e irritante anche se non quanto lo stile di scrittura, che è ciò che mi frena, al momento almeno, dal dare una seconda chance a Carrisi.
Giudizio:
+2stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Il suggeritore
- Autore: Donato Carrisi
- Editore: TEA
- Data di Pubblicazione: 2011
- Collana: collana
- ISBN-13: 9788850223039
- Pagine: 462
- Formato - Prezzo: Brossura - 5.00 Euro
D'accordissimo, che liberazione leggere la tua recensione dopo la fatica di finire sto libro.