22 agosto 2015

Il seme del dubbio - Claudio Sara

Sullo sfondo di un Paese in ricostruzione, l’Italia degli anni Cinquanta, la routine dell’avvocato Renzo Vinsa viene scossa da un processo che lo coinvolge a livello professionale ed emotivo. La presunta violenza subita da una quattordicenne conduce il protagonista alla ricerca della verità tra turbamenti interiori, inquietudini e colpi di scena: un percorso umano e giudiziario i cui risvolti saranno imprevedibili.



Recensione

Rimaniamo sgomenti quando veniamo a sapere dai media che in alcuni paesi, specie del medioriente, vengono ancora concesse in sposa donne-bambine a uomini adulti, ma è addirittura inconcepibile pensare che i genitori della vittima di uno stupro possano far sposare la propria figlia al violentatore.
Eppure, dato che il matrimonio riparatore avveniva ancora in Italia appena nel secolo scorso, è significativo che la nostra mentalità in pochi anni sia cambiata enormemente, perché, adesso, a nessuno verrebbe da chiedersi se alla base della violenza sessuale possa esserci un complotto ordito dalla famiglia della vittima per ricattare il colpevole dello stupro. Da questa eventualità, peraltro, nasce il titolo del romanzo, Il seme del dubbio, che presenta interessanti aspetti sociologici oltre che psicologici.

Se lo stupro di una ragazza minore di diciotto anni da parte di un adulto avvenisse ai nostri giorni, il reato contro la persona sarebbe perseguito d’ufficio dalla Procura della Repubblica. Ma la vicenda raccontata da Claudio Sara si svolge negli anni Cinquanta, quando la violenza sessuale era considerata reato contro la morale e poteva essere perseguita d’ufficio solo fino al quattordicesimo anno d’età della vittima.
Ciò premesso, la vicenda si svolge ad Avellino e inizia esattamente nel 1951, quando un trentottenne tenente dell’esercito stupra una ragazzina di quattordici anni. La vittima si confida con la madre che, fatta accertare la violenza sessuale dal medico, si rivolge a un avvocato per ottenere giustizia. Il reo confesso si rende disponibile al matrimonio riparatore che la quattordicenne e la madre accettano, sia perché l’uomo può considerarsi un buon partito (pur se viene da chiedersi che buon partito sia un uomo che a trentotto anni era ancora tenente) e sia per non creare preoccupazioni al padre della vittima, persona particolarmente emotiva e apprensiva, che lavora a quel tempo nel nord Italia e che non viene pertanto subito avvertito del motivo principale di quelle nozze così precipitose.
Dopo il matrimonio riparatore, tuttavia, il marito induce la ragazzina a firmare un documento in cui attesta di non avere subito alcuna violenza sessuale e poi si rivolge al Tribunale Ecclesiastico e ottiene l’annullamento del matrimonio per “finzione del consenso”. È a questo punto della vicenda che il padre della vittima, tornato ad Avellino, assume l’avvocato Vinsa, noto principe del foro, per chiedergli di perseguire il colpevole.
Inizia pertanto il processo che è di fatto il nucleo centrale della storia.

I colpi di scena non mancano anche nel romanzo di Sara, ma non sono così eclatanti come nei legal-thriller americani. In questo caso non c’è la scoperta del vero colpevole durante il processo, come accade nei gialli con Perry Mason, ma c’è la schermaglia fra le parti per dimostrare la veridicità o meno delle affermazioni dei testimoni e a far risaltare l'innocenza o colpevolezza dell’imputato.
In genere, nei legal-thriller stranieri, le arringhe delle parti vengono usualmente riassunte, quando non addirittura saltate, per non rendere la lettura troppo pesante. Ciò non accade in questo romanzo. Gli avvocati di un tempo in Italia si comportavano come attori consumati e cercavano di far leva sull’emotività dei giurati e del pubblico. Si sa che alcuni principi del foro erano specializzati proprio nelle arringhe che declamavano in tono drammatico, arrivando a far spremere qualche lacrima al pubblico e ai giurati, dei veri e propri Mario Merola dei tribunali. L’autore, tuttavia, non ha voluto spingere la propria ironia fino a questo punto e le arringhe scritte, pur ampie, appaiono contenute rispetto a quelle di un tempo e sono, come dovrebbero essere, la parte più interessante del processo dal punto di vista legale. Tutti i fatti rilevanti, infatti, vengono analizzati ed esposti con logica, vengono inoltre fatte risaltare le eventuali incongruenze delle testimonianze e le conclusioni sono sostenute dall’indicazione degli articoli di legge appropriati.
Nei legal-thriller d’oltre oceano, poi, gli avvocati dispongono spesso dell’aiuto di abili investigatori privati, incaricati di rintracciare i testimoni e controllare i loro precedenti al fine di verificarne l'attendibilità, e i clienti pagano agli avvocati cospicui onorari. In questo giallo giudiziario italiano, più modestamente, per deferenza e captatio benevolentiae, il querelante dice al proprio legale:

«….le ho portato un pollo e un pezzo di formaggio.»
Le perplessità maggiori che sorgono leggendo il romanzo consistono però nella mancanza di preparazione dei testimoni alle deposizioni. Quando l’avvocato del querelante, Vinsa, asserisce che
«…Certo non sarò io a suggerirgli quanto dovrà riferire ai giudici. Un avvocato non deve mai fare una cosa del genere, anche a costo di avere brutte sorprese,...»
non si può non restare perplessi. Ma com'è possibile che l’avvocato Vinsa, che viene definito una persona d'esperienza e sa che la testimonianza del querelante può essere determinante, ma che l’uomo è estremamente emotivo, non lo prepari alla deposizione, rischiando di far annullare tutti i suoi sforzi per portare felicemente a conclusione il processo? Sembra un’assurdità che va contro ogni logica. Non si chiede di mentire al querelante, ma di prepararsi ad esporre i fatti con chiarezza.
In ogni caso non era intenzione dell’autore ricalcare i legal-thriller degli scrittori stranieri, ma ricostruire il tipo di società esistente in Italia nel secolo scorso, rifacendosi alla mentalità e al modo di agire e di pensare degli anni cinquanta. Anche la scrittura appare più ridondante ed il ritmo è più lento di quanto non si sia solitamente abituati a leggere nei gialli contemporanei, ancorché il racconto sia scorrevole.
Stante la minore età della vittima, che presentava indubbi segni della violenza subita, e l'ammissione di colpa, almeno iniziale, da parte dell'accusato, non sorgono incertezze al lettore odierno circa la colpevolezza del reato ascritto, nonostante i tentennamenti e le imprecisioni della testimonianza del querelante nel processo, sottolineata dal titolo del romanzo che vorrebbe suscitare qualche dubbio su come si siano veramente svolti i fatti. Ma il dubbio, piuttosto, verte sul fatto che la Giustizia di quel tempo fosse veramente propensa a punire lo stupratore, data la mentalità arretrata che ancora sussisteva nel meridione e stante che il giudizio del giudice poteva essere fuorviato dalle testimonianze a discarico.

Anche se il gusto odierno avrebbe fatto preferire una scrittura più asciutta ed essenziale, diamo merito all’autore di avere elaborato un racconto piacevolmente scorrevole e di essere riuscito a far ricostruire per il lettore quella mentalità dell'opinione pubblica, così diversa dall'attuale, che tanto penalizzava il sesso femminile.

Giudizio:

+4stelle+

Dettagli del libro

  • Titolo: Il seme del dubbio
  • Autore: Claudio Sara
  • Editore: Ensemble
  • Data di Pubblicazione: 2015
  • Collana: Echos
  • ISBN-13: 9788868810580
  • Pagine: 250
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 15,00

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