È il 1967. La Cina è nel pieno della rivoluzione culturale. Gruppi di studenti vengono inviati in Mongolia per lavorare. Tra questi c'è anche Jiang Rong, il quale, dopo 10 anni passati a stretto contatto con una popolazione di pastori nomadi, rientra in patria per completare i suoi studi e tornare alla sua vita. Tornare sì, ma cambiato nel profondo dell'anima. Decide così di scrivere un libro che parli della sua esperienza, della sua vita nella gelida prateria mongola, dei suoi 10 anni passati a difendere il gregge e se stesso dai lupi, della sua scelta di allevare un cucciolo di questo nobile animale per poterne studiare il comportamento da vicino.
Il risultato è Il totem del lupo, pubblicato nel 2004 in Cina e divenuto in breve tempo un bestseller, portato sui nostri scaffali da Mondadori tre anni più tardi. Un libro che ha destato molte polemiche alla sua uscita, soprattutto nel paese d'origine, dove il governo desiderava inizialmente vietarlo per l'aperta condanna espressa dall'autore, nel corso della storia, verso un sistema chiuso e dittatoriale e verso i fondamenti stessi del regime nazista e la sua politica ambientale. Il racconto si conclude, inoltre, con un'aspra critica nei confronti di un popolo - il suo popolo -, che Jiang Rong definisce "gregge di pecore", in contrasto con il valore e il coraggio del popolo della steppa. Il totem del lupo ha ricominciato a far parlare di sé qualche mese fa, quando, anche nelle sale italiane, è uscita l'ultima pellicola firmata da Jean Jacques Annoud, già regista di Sette anni in Tibet, dal titolo L'ultimo lupo, apparso in anteprima in Cina il 19 febbraio 2015 con un cast quasi interamente cinese e che vede tra gli interpreti principali Shaofeng Feng e il cino-canadese Shawn Dou.
Bello? In maniera semplicistica si può dire di sì. Un film che scorre lento, come il libro da cui è tratto, senza per questo annoiare. Tuttavia, come spesso accade, pur essendo ben fatto nella sua rappresentazione, pur presentando alla vista meravigliosi panorami di una terra che poco conosciamo, pur lasciandoci a bocca aperta davanti a riprese mozzafiato, la pellicola non può essere paragonata al romanzo da cui è stata tratta.
È difficile, infatti, trasporre in un tempo limitato un libro che ha così tanto da dire e insegnare. Oltre a essere una preziosa testimonianza, Il totem del lupo è un romanzo storico, sociologico, documentaristico. Molti degli aspetti che lo rendono così prezioso non compaiono nel film e, pertanto, risultano di difficile comprensione molte scene che, invece, nell'opera di Jiang Rong compaiono farcite di dettagli tutt'altro che inutili.
Lo scopo stesso del romanzo, che presenta un finale totalmente differente da quello utilizzato per la pellicola, non risulta così evidente e chiaro in un film che ha girato il mondo per presentare una cultura, una realtà così distante da noi da essere giudicata spesso estrema. Valori importanti quali il rispetto per la natura e gli esseri viventi, l'importanza delle tradizioni, l'amicizia, il vivere in assenza di avidità, inoltre, non sono sottolineati con la dovuta attenzione nella trasposizione cinematografica e in definitiva si perdono un po'.
Se valga comunque la pena vederlo? Ovviamente sì, ma se avete intenzione di leggere anche il libro, gustatevi prima la pellicola. Tranquilli, non vi rovinerà la sorpresa di una storia che affascina e istruisce chi ha il coraggio di avventurarsi, anche solo con la fantasia, nelle terre estreme della Mongolia, attraversando rituali e tradizioni che, nonostante tutto, non muoiono.
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