Djuna Barnes nacque in una baita sulla Storm King Mountain, vicino New York, nel 1892. Fu da subito influenzata dal particolare clima familiare: la nonna paterna, Zadel Turner Barnes, era stata una suffragetta e, scrittrice lei stessa, aveva ospitato un influente salotto letterario; il padre, sostenitore della poligamia, aveva condotto l’amante Fanny Clark sotto lo stesso tetto della moglie Elizabeth, e con entrambe Djuna e i suoi sette fratelli crebbero, economicamente sostentati dalla nonna Zadel.
In quanto secondogenita, Djuna fu educata prevalentemente a casa, dal padre e dalla nonna, mentre si prendeva cura di fratelli e fratellastri minori. A soli sedici anni subì uno stupro, forse da un vicino di casa con la connivenza del padre, forse dal padre stesso: di tale terribile esperienza, e dei rapporti ambigui con la nonna Zadel (con cui condivideva il letto), scrisse esplicitamente nella sua ultima opera, The Antiphon.
Nel 1910 la famiglia la spinse a sposare Percy Faulkner, fratello di Fanny Clark, che aveva cinquantadue anni; il loro tiepido matrimonio non superò i due mesi. Due anni dopo, la famiglia fu costretta a dividersi a causa delle sempre crescenti difficoltà finanziarie: Djuna si trasferì a New York con il padre; qui ebbe finalmente l’opportunità di studiare arte e di frequentare una scuola, ma dopo soli sei mesi dovette abbandonare il Pratt Institute per mantenere se stessa e la famiglia. Per sbarcare il lunario intraprese la carriera di reporter nel Brooklyn Daily Eagle, iniziando anche a pubblicare qualche racconto sul New York Morning Telegraph e sulla rivista pulp All-Story Cavalier Weekly.
All’inizio degli anni ’20, la Barnes si trasferì a Parigi, centro nevralgico del movimento modernista, con una lettera di presentazione dell’amico James Joyce. Fu immediatamente assorbita dalla vita culturale della città, frequentando i salotti letterari e i ritrovi dadaisti. Nel 1928 pubblicò il suo primo romanzo, Ryder (Bompiani), dal sapore autobiografico, che catturò l’attenzione del pubblico e divenne un bestseller del New York Times. A Ryder seguì Ladies Almanack, anche questo permeato da tematiche omosessuali, e anche questo uscito sotto pseudonimo. Entrambi erano dedicati a Thelma Wood, l’artista sua amante con cui ormai da anni conviveva, e da cui si separò proprio nel 1928 perché la Wood non desiderava una relazione monogama.
Nei primi anni ‘30, in un cottage nel Devonshire, la Barnes lavorò alla sua opera più famosa, La foresta della notte (Nightwood, Adelphi). Il libro fu inizialmente rifiutato, ma successivamente l’amica scrittrice Emily Coleman riuscì a sottoporlo a T.S. Eliot, all’epoca editor della Faber&Faber, che lo fece pubblicare nel 1936. Nonostante la critica lo avesse lodato come un capolavoro, le vendite non andarono bene né in Inghilterra né negli USA, e la Barnes, che si era occupata poco di giornalismo negli ultimi anni, non riuscì più a vivere del suo mestiere; la sua salute si guastò, peggiorata dagli eccessi alcolici. Quando tentò il suicidio, nel 1939, la sua mecenate Peggy Guggenheim decise di rimandarla a New York dalla madre.
La famiglia la costrinse a ritirarsi in una casa di cura per disintossicarsi, gesto che causò una rottura definitiva. Quando la Barnes ne uscì, i familiari non vollero riaccoglierla e, dopo qualche mese di vagabondaggio, tornò al Greenwich Village, dove rimase per ben 42 anni vivendo di una piccola rendita inviata dalla Guggenheim e degli aiuti economici di Emily Coleman. Nel 1950, dopo quasi dieci anni di inattività letteraria, la Barnes comprese che l’alcolismo comprometteva irrimediabilmente il suo lavoro e decise di smettere di bere. Iniziò a lavorare a un’opera teatrale, The Antiphon, in cui raccontò con odio la sua storia familiare.
Trascorse gli ultimi anni della sua vita praticamente da reclusa, rifuggendo ogni contatto con gli artisti e gli scrittori che, ammirando i suoi lavori, cercavano di contattarla. Dopo la sua morte, avvenuta a New York nel 1982, vennero pubblicate postume molte opere, soprattutto antologie di componimenti poetici scritti durante l'ultimo soggiorno nel Greewich Village. Diversi autori a lei contemporanei o posteriori, quali Truman Capote, Karen Blixen, William Goyen, Anais Nin e John Hawkes Harris, confessarono l’influenza dei suoi lavori sulla loro attività artistica.
Al centro della Foresta della Notte dorme la Bella Schizofrenica, in un letto dell’Hotel Récamier. T.S. Eliot, accompagnando questo libro alla sua uscita, scrisse che vi trovava «una qualità di orrore e di fato strettamente imparentata con quella della tragedia elisabettiana». E presto il romanzo sarebbe diventato una leggenda.
La foresta della notte è del 1936.
Recensione
«Amore di donna per una donna... che insana smania di sofferenza non lenita e di maternità l'ha mai portato alla mente?»
Cos'è La foresta della notte? Un grande risultato di stile secondo T.S. Eliot, che si premurò di far pubblicare il romanzo dalla Faber&Faber e che ne curò le prefazioni a entrambe le edizioni. Uno dei capisaldi della letteratura LGBT, secondo molti critici. Una delle tre migliori opere in prosa scritte da una donna, secondo Dylan Thomas. Un compendio a quel nonsense che è l'amore, secondo me.
Scordatevi di leggere questo libro come un romanzo. È tutto fuorché una narrazione lineare e coerente volta a raccontare una storia. È più affine a un'opera teatrale i cui attori monologano interrompendosi senza ascoltarsi. È una successione gotica e inarrestabile di versi in prosa, di ritratti di personaggi caricati all’inverosimile, di siparietti teneri o grotteschi, malinconici o divertenti, in cui la trama si dissolve mentre vaga sperduta in una foresta di metafore.
E a vagare sperduta è anche Robin Vote, anima in pena costantemente alla ricerca della felicità, o forse del tormento. Creatura androgina incapace di trovare pace né nel matrimonio né nelle fugaci relazioni con donne completamente soggiogate dalla sua presenza, Robin, sotto le cui spoglie si cela probabilmente Thelma Wood, uno degli amori tormentati della Barnes, si aggira per la scena con aria distratta, calpestando il cuore e la dignità delle donne che si struggono di passione per lei.
Tra queste ritroviamo Nora Flood, incarnazione letteraria della stessa Djuna, incessantemente alla ricerca di un modo per legare a sé una donna più incostante del vento e altrettanto leggera. Al pari di Nora, consumano la propria vita rosi dal desiderio di riavere Robin il Barone Felix (in cui forse si può ravvedere Percy Faulkner, il cinquantaduenne che la famiglia impose a Djuna di sposare, appena diciottenne), rimasto a crescere da solo il figlio da lei partorito, e l'attempata Jenny, che dopo averla rubata a Nora se la vide sfuggire tra le mani come sabbia sottile. Con loro e tra loro, filo che unisce tutti i personaggi, monologa il dottore transessuale O'Connor, vera anima del romanzo, latore di magmatiche riflessioni filosofiche che tentano di dare un senso a tutto, o forse a niente.
Romanzo modernista in tutto e per tutto, La foresta della notte è il fluire inarrestabile delle ossessioni, dei desideri e dei traumi familiari di un'autrice che visse liberamente la propria sessualità. Arduo da leggere e da interpretare, si può solo intuirne la natura a mezza via tra sfogo articolato di dolori insanabili e rivendicazione disperata di libertà. Libertà di amare, una libertà senza speranza che promette e non mantiene.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: La foresta della notte
- Titolo originale: Nightwood
- Autore: Djuna Barnes
- Traduttore: Giulia Arborio Mella
- Editore: Adelphi
- Data di Pubblicazione: 1994
- Collana: Gli Adelphi
- ISBN-13: 9788845910791
- Pagine: 176
- Formato - Prezzo: Brossura - 11,00 Euro
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