Il giornale sta al terzo piano di un palazzo storico. Non ci sono scritte sulla porta. Niente nome né testata, solo un manipolo di penne che comunicano fra loro in inglese. Fuori dall’ascensore qualcuno ha appeso un cartello: «Lasciate ogni speranza voi ch’uscite. Outside is Italy». Tre piani sotto c’è Roma, la cui bellezza, con quel misto di fascino e inquietudine, caos e dolce vita, appare eterna soprattutto a chi, all’inseguimento di sogni effi meri, vi arriva da un paese lontano.
Tutti i dipendenti del giornale – americani, inglesi, australiani, canadesi – sono suffi cientemente uomini di mondo per primeggiare nella qualità che governa il loro mondo: l’imperfezione. Lo stagista zelante interviene sempre a sproposito, la titolista non riesce a far entrare le parole nelle colonne, il correttore di bozze lascia errori grossolani, il redattore pedante dà letteralmente in escandescenze se qualcuno si azzarda a utilizzare l’avverbio «letteralmente», l’inviato al Cairo conosce quattro parole di arabo e non ha idea di dove si trovino le notizie. In redazione parlano il giornalese, lingua che fonde sintesi e desiderio di conformismo, ma fuori ognuno torna a indossare – drammaticamente – la propria inadeguata unicità. Undici ritratti di imperfezionisti – taglienti, ironici e fatalmente intrecciati con le traversie del giornale e con l’ultimo mezzo secolo di storia – formano il racconto perfetto del regno dell’approssimazione mediatica, dove l’arte della verità fluttua pericolosamente nella corrente delle passioni umane, tra cialtroneria e bassezze, cinismo e solitudine.
Recensione
E' sempre interessante sapere come il resto del mondo vede il nostro complicato paese, anche se i risultati non sono sempre di nostro gradimento. Per questo ho trovato particolarmente divertente leggere le avventure di un gruppo di giornalisti di una testata internazionale con base a Roma, uscite dalla penna di un autore inglese. Ossessionati dalla moda e dal nostro aspetto ma anche da cosa i giornali stranieri dicono di noi - cosa vi dicevo? -, caotici, mammoni, amanti della bella vita e con un primo ministro che non sfigurerebbe al circo come ciliegina sulla torta (erano ancora i "gloriosi" anni berlusconiani): così l'esordiente Tom Rachman vede noi italiani in questo suo romanzo corale incentrato sul mondo nel giornalismo.
Questa è però solo la cornice degli eventi, i cui protagonisti sono quasi tutti americani, giornalisti arrivati nella nostra capitale con il sogno di una carriera in una gloriosa e storica testata e destinati, più o meno colpevolmente, a contribuire alla lenta agonia del giornale. I loro punti di vista si alternano di capitolo in capitolo, collegati da piccoli dettagli e riferimenti secondari, uno stratagemma narrativo visto spesso in questo tipo di romanzo, ultimo famosissimo esempio il vincitore del Pulitzer Olive Kitteridge di Elizabeth Strout.
A separare ogni sezione sono brevi interludi che ripercorrono la storia del giornale dalla sua fondazione, subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, fino ai desolanti giorni finali, attraverso tre generazioni della famiglia Ott: il visionario fondatore, l'ottuso figlio e l'asociale nipote. Proprio come ne I Buddenbook di Thomas Mann, che torna costantemente alla memoria durante la lettura de Gli imperfezionisti, siamo di fronte al declino di una famiglia che alimenta e si alimenta del declino del giornale che ne rappresenta l'animo. La spinta creativa e il vigore del fondatore scemano nel passaggio alle generazioni successive, contraddistinte dalla mancanza di carattere e dall'incapacità di coniugare l'abilità di pensare in grande con il pragmatismo dei grandi affaristi.
Di pari passo va il destino della testata: se le nuove generazioni, viziate e impaurite, mancano della forza visionaria dei loro predecessori, la carta stampata appare troppo lenta e inadeguata per mantenere il passo con un mondo globalizzato in cui la rete rende ogni notizia vecchia un istante dopo che è avvenuta.
I paragoni illustri si sprecano quindi per questo romanzo d'esordio, che in ogni pagina porta traccia delle opere alle quali il giovane Rachman si è chiaramente ispirato. Per questo di primo impatto Gli imperfezionisti sembra non meritarsi troppo le generose lodi che gli sono piovute addosso. La vita nella redazione del giornale è quella tipica che siete abituati a vedere in film e telefilm ambientate nei templi della carta stampata: reperibilità a tutte le ore, assenza di una vita privata, antagonismo, finanze scarse. Lo stile di Rachman poi, per quanto curato e maturo, non si distingue certo per originalità o magniloquenza e i singoli personaggi appaiono leggermente stereotipati - la donna in carriera fredda e anaffettiva, la stramba zitella piena di idiosincrasie, il capo redattore troppo mite e il correttore di bozze burbero ma dal cuore tenero.
Ciò che salva il romanzo è la capacità di ognuno dei suoi protagonisti di uscire dallo stereotipo quel tanto che basta da accattivarsi le simpatie del pubblico; tutte le undici figure descritte arrivano al cuore, appassionano, fanno desiderare di sapere di più sul loro conto e, nonostante le loro evidenti imperfezioni, così in linea con lo spirito di un giornale in rovina, l'unico sentimento che riescono a generare nel lettore è l'empatia, la comprensione, addirittura l'affetto. Da questo punto di vista siamo di fronte a un lavoro veramente ben fatto.
Giudizio:
+3stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Gli imperfezionisti
- Titolo originale: The Imperfectionists
- Autore: Tom Rachman
- Traduttore: Sebastiano Pezzani
- Editore: Il Saggiatore
- Data di Pubblicazione: 2010
- Collana: Narrativa
- ISBN-13: 9788842815815
- Pagine: 386
- Formato - Prezzo: brossura - 18,00Euro
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