Figlio di un contadino povero e orfano della madre, morta per le febbri maligne, il bambino viene ospitato per pietà nel convento e lì assiste ad alcune lezioni. L’occasione ne rileva una straordinaria memoria ed un’ intelligenza prodigiosa.
Accolto, dunque, nel convento e formato alla più rigorosa e ricca cultura di stampo religioso, il bambino cresce, sotto lo sguardo ambizioso e paterno del suo giovane mentore, Giacomo si trova esposto, come giovanissimo intellettuale, all’ammirazione e alle invidie più feroci di uomini di Chiesa che combattono una loro personalissima guerra, nel nome della Parola di Dio.
L’innocenza di una infanzia rubata dall’ambizione sfrenata di adulti in lotta, tra altare e soglio pontificio: un affresco che restituisce l’atmosfera di una Bologna della metà del 1600.
Recensione
Il narratore di questo romanzo breve è Alberto Carradori, il medico che, fin dall’inizio della vicenda, conosce, frequenta e segue i due protagonisti: padre Giovanni Battista Mezzetti e il piccolo Giacomo Modanesi.
Affidata ad un
narratore che è anche un personaggio con ruolo di spessore nei fatti
rievocati, la storia risuona con tre toni diversi e ben articolati: le lettere
che si scambiano i protagonisti; la narrazione vera e propria; le molteplici
voci che si articolano sulle cose che accadono, talvolta sotto forma di deliranti
pensieri, talvolta come chiacchiere frammentate.
Questo triplice canto è
un modo efficace di dare al romanzo profondità psicologica e spessore narrativo:
la scrittura, semplice e vigorosa, ha il sapore dell’epoca che fa da sfondo. Le
lettere, in apertura dei capitoli, scandiscono lo sviluppo della vicenda: si
presentano nitide, pulite, impeccabilmente offerte con un lessico adeguato al
lettore, che rimane affascinato dallo
splendore e dalla decadenza di una scrittura che evoca, abilmente, il Seicento.
Molto Reverendo Padre in Christo. Pax Christi.
Per quanto uso ormai a questa città e al suo teatro continuo, essa non finisce ancora di riempirmi l’animo di meraviglia, e specialmente in questi ultimi tempi, da quando gli Eminentissimi Signori Cardinali riuniti nel Conclave, dopo ventisette giorni di attesa e per virtù dello Spirito Santo […]
La scrittura della narrazione vera e propria fila via sicura, senza intoppi o incertezze, offrendo a chi legge un saldo corrimano per percorrere il lungo e impervio scalone della storia che si va svolgendo. Non manca di essere compiuta e rigorosa, senza però rinunciare a essere accogliente, come ogni libro che voglia invitare le persone a leggerlo, a entrare in lui: il lettore avanza senza timore, trova il proprio posto e si accomoda, pronto a lasciarsi stupire.
Nei giorni della Settimana Santa, il padre dedicò ogni momento libero dai riti alla preparazione del sermone suo e del bambino, trattenendosi in biblioteca fino a notte fonda, tanto che lo trovavo al mattino pallido e con profondi segni di stanchezza sul viso, seppure animato da quel fervore indomito che ben gli conoscevo.
Le voci, infine, trasmettono la parte emotiva, il dramma che incombe, affrontano le paure, le ansie, gli oscuri presagi, e trasmettono tutte le sensazioni che si possono raccogliere nel palmo di una mano. Sono fili che si spezzano, fili che si riannodano, che cambiano colore, che danno forma alla tela, che la distruggono, perdendosi tra due dita, che tirano, impertinenti.
“Vengono i soldati del Papa e della Spagna da Lago Scuro…cavalli grandi…ho paura mamma, che cos’è quella luce…niente dormi…vuotano i porcili…anche dall’acqua arrivano…ho sete…l’acqua è sempre troppa quando porta danno…le barche dei contrabbandieri passavano dalla Fossa, anche grano e legna…adesso i Veneziani tirano sulle barche… che cos’è mamma…niente, la guerra…”
Questo primo romanzo di
Angela Nanetti rivolto a un pubblico adulto rappresenta per me una conferma
ulteriore, semmai se ne fosse sentito il bisogno, del valore di una scrittrice
che possiede toni lievissimi e una sensibilità narrativa intensa nel narrare i
sentimenti e le vicende umane.
Dopo avere letto
Mistral, ne avevo apprezzato la sintassi delicata e la capacità di trattare con rispetto ed
educazione le situazioni umane. In una classe rumorosa e agitata, quella di
allora, mi ero ritrovata a leggere in un silenzio quasi irreale l’educazione
sentimentale di un ragazzino chiamato Mistral e della sua isola.
Di fronte a questo nuovo
libro, un altro ragazzino, anzi un bimbo, Giacomo, e, di nuovo, una scrittura
capace di essere sincera e corposa, pregnante anche per quanto concerne il mood
storico cupo e decadente dell’epoca, senza sbavature sentimentali e
imprecisioni.
Nel suo sito, l’autrice scrive:
“I bambini hanno perso la libertà. Chi nutre ormai i loro sogni? La grazia un domani sarà merce rara, forse estinta. Oggi la parola d'ordine è il più, il greve, il tanto. Tanti rumori, tanti suoni, tanti messaggi, tante cose, tanta carne, tante parole. I bambini sono travolti dal pieno, non conoscono il silenzio, ne hanno paura. E sono sempre più soli...”
Concordo in pieno con questa malinconica ma sincerissima riflessione: le parole diventano dunque un accordo costante nel narrare le vite dei ragazzi, un modo franco, leale e dichiarato di noi adulti, per una volta saggi; per una volta capaci di non deluderli come sempre; per una volta in grado di stare al loro fianco, senza lasciarli soli.
Giudizio:
+5stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Il bambino di Budrio
- Autore: Angela Nanetti
- Editore: Neri Pozza
- Data di Pubblicazione: 2014
- Collana: I narratori delle tavole
- ISBN-13: 978-88-545-0806-4
- Pagine: 299
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 17,50
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