L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
«Il sole di luglio allagava l’atrio. Attirato dalle grandi finestre, dardeggiava impietoso il pavimento di mattoni, i muri a calce, le pale: e ne cuoceva le croste. I santi, abbacinati, sospiravano alla Vergine, che grondava sudore sotto il pesante manto turchino, mentre sulle sue ginocchia, nudo, il Bambinello si abbronzava.»
«Place ten dozen hungry orphan thieves in a dank burrow of vaults and tunnels beneath what used to be a graveyard, put them under the supervision of one partly crippled old man, and you will soon find that governing them becomes a delicate business.»
«Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d'inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.»
«'Là c'è una principessa' disse Tommaso. E nel momento in cui quelle parole gli uscirono dalla bocca, si prese uno schiaffo dalla zia.
La loro era una piccola cascina, in Italia, non lontano dalle pendici delle Alpi, senza dubbio un luogo poco ragionevole per ospitare una principessa. Tommaso però era convinto che lei fosse là, rinchiusa nella soffitta, sotto il comignolo e le tegole.
Lo schiaffo lo sorprese, facendolo vacillare, quasi cadere, e continuò a risuonargli nelle orecchie anche dopo che l'incendio rovente sulla sua guancia si fu placato.»
«He began his new life standing up, surrounded by cold darkness and stale, dusty air. Metal ground against metal; a lurching shudder shook the floor beneath him. He fell down at the sudden movement and shuffled backward on his hands and feet, drops of sweat beading on his forehead despite the cool air. His back struck a hard metal wall; he slid along it until he hit the corner of the room. Sinking to the floor, he pulled his legs up tight against his body, hoping his eyes would soon adjust to the darkness.
With another jolt, the room jerked upward like an old lift in a mine shaft.
Harsh sounds of chains and pulleys, like the workings of an ancient steel factory, echoed through the room, bouncing off the walls with a hollow, tinny whine. The lightless elevator swayed back and forth as it ascended, turning the boy’s stomach sour with nausea; a smell like burnt oil invaded his senses, making him feel worse. He wanted to cry, but no tears came; he could only sit there, alone, waiting.
My name is Thomas, he thought.
That … that was the only thing he could remember about his life.»
«Prrr. Che f-freddo.
Ci mancava solo questa pioggia. Non riesco nemmeno a guardarmi intorno: l'acqua cade così fitta e veloce che sembra formare un muro che mi separa da tutto il resto. E poi è già buio pesto. Di questo giorno ricorderò soltanto la mia pelliccia inzuppata. Dove mi trovo? Davanti a me vedo un grande platano, al centro di un piccolo cortile. E questa porta che ho alle spalle, vicino alla quale ho trovato un po' di riparo.
Brrr, sto g-gelando.
Oh no, è proprio vero che non c'è mai fine al peggio, la pioggia si sta trasformando in neve. Che cavolo ci faccio qui? E come ci sono arrivato?
Devo riflettere.
Mmmh... ok, ho riflettuto e... non ricordo nulla.
Sono seduto su questo zerbino pungente da tanto tempo.
Ahia, mi fa male la testa, devo aver preso una botta.»
« Diario di Jonathan Harker [Stenografato]
3 maggio, Bistrita. Ho lasciato Monaco il 1 maggio, alle 8.35 di sera, raggiungendo Vienna il giorno dopo, di prima mattina. Saremmo dovuti arrivare alle 6.46, ma il treno aveva un'ora di ritardo. Budapest mi sembra un luogo meraviglioso, almeno da quanto ho potuto vedere dal treno, e per quel poco che ho passeggiato per le strade. Non mi sono avventurato troppo lontano dalla stazione, poiché eravamo arrivati in ritardo e quindi il treno sarebbe ripartito appena possibile. Ne ho ricevuto l'impressione che ormai stessimo lasciando l'Occidente per entrare in Oriente. Il più occidentale tra gli splendidi porti sul Danubio, che qui è di nobile ampiezza e profondità, ci ha riportati alle tradizioni della dominazione turca.»
«I raggi del sole incalzavano il drappello, luce di sangue filtrava nel bosco.
L’uomo sulla barella strinse i denti, il fianco bruciava.
Guardò in basso, gocce scarlatte stillavano dalla ferita.
Hendrick era morto e con lui molti guerrieri.
Rivide il vecchio capo bloccato sotto la mole del cavallo, i Caughnawaga che si avventavano su di lui.
Gli indiani non combattevano mai a cavallo, ma Hendrick non poteva più correre né saltare.
Avevano dovuto issarlo sull’arcione. Quanti anni aveva? Gesù santo, aveva incontrato la regina Anna. Era Noè, Matusalemme.
Era morto combattendo il nemico. Una fine nobile, persino invidiabile, se solo si fosse trovato il cadavere per dargli sepoltura cristiana.
William Johnson lasciava andare i pensieri, un volare di rondini, mentre i portatori marciavano lungo il sentiero. Non voleva chiudere gli occhi, il dolore lo aiutava a stare sveglio.
Pensò a John, il primogenito, ancora troppo giovane per la guerra. Suo figlio avrebbe ereditato la pace.»
«Jill si fermò sulle scale ad ascoltare. Le sembrava di sentire chiamare da fuori il suo nome, ma già le era accaduto e sapeva di essersi sbagliata. Probabilmente era la pioggia che scrosciava o il vento che sferzava gli al- beri. Rimase tuttavia in attesa e in ascolto.
«Tesoro?». Sam si fermò sulle scale, con la mano poggiata alla ringhiera. Si voltò a guardarla: dietro le lenti, i suoi occhi azzurri erano perplessi. «Hai dimen- ticato il cellulare?».
«No, mi è sembrato di udire qualcosa». Jill non andò oltre. Aveva superato i quarant’anni ed era adul- ta e conscia del suo passato, oltre che abbastanza ac- corta da tenere i suoi pensieri per sé.
«Che cosa?», chiese Sam paziente. Era quasi mezzanotte e stavano andando a letto. Le luci erano spente, ad eccezione del lampadario di vetro sulla tromba delle scale che, con la sua luce fioca, faceva brillare i fili argentati tra i capelli folti e scuri dell’uomo. Beef, il loro florido Golden Retriever, era sul pianerottolo e li scrutava dall’alto con le sue pendule orecchie dorate.»
«Si sente un fragore da quella parte. Una bomba. Mina antiuomo. Deve essere la guerra che ritorna un’altra volta.
Penso a nascondermi. A fuggire. Il fragore spaventa gli uccelli che volano in alto per mettersi al sicuro. No. Non deve essere un proiettile. Forse è l’incidente tra due macchine per strada. Rivolgo un’occhiata curiosa verso la strada. Non vedo nulla. Solo silenzio. Sento un lieve tremore nel petto e resto immobile per alcuni istanti. Un gruppo di vicine cammina verso di me.
«Rami!»
«Che è successo?»
«La macchina.»
Le loro braccia si muovono come placide onde, pronte a calmare l’agitazione. C’è emozione in ogni gesto. C’è un tono di pietà, lieve e celato, in ogni sguardo, che accresce in me la preoccupazione.
«Macchina?»
«Sì. Il finestrino.»
«Finestrino?»
«Sì. Il finestrino della macchina.»
«Ah! Chi è stato?»
«Betinho.»
«Ah?»
Dall’alto dei cieli scivola nel mio petto un pugnale invisibile. Divento muta come le pietre, sono atterrita. Riesco solo a sospirare: ah, Betinho, il mio piccolino! Quella macchina è di un uomo ricco. Che ne sarà di me?
Entro in un delirio silenzioso, profondo. Raffiche di ansia mi spazzano i nervi come lame di vento. Questo incidente mi riempie di dolore e di nostalgia. Tony mio, dove sei? Perché mi lasci sola a risolvere i problemi quotidiani di una donna e di un uomo, mentre tu te ne vai in giro? Ci sono momenti nella vita in cui una donna si sente sperduta e indifesa come un granello di sabbia. Dove sei, Tony mio, che non ti vedo mai? Dove te ne vai, marito mio, invece di proteggermi, dove?»
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