Sylvia Plath (Boston, 27 ottobre 1932 – Londra, 11 febbraio 1963), poetessa e scrittrice statunitense, conosciuta principalmente per le sue poesie, ha anche scritto il romanzo semi-autobiografico La campana di vetro sotto lo pseudonimo di Victoria Lucas.
Assieme ad Anne Sexton, Plath è stata l'autrice che più ha contribuito allo sviluppo del genere della poesia confessionale, iniziato da Robert Lowell e William De Witt Snodgrass. Autrice anche di vari racconti e di un unico dramma teatrale a tre voci, per lunghi periodi della sua vita ha tenuto un diario, di cui sono state pubblicate le numerose parti sopravvissute. Parti del diario sono invece state distrutte dall'ex-marito, il poeta laureato inglese Ted Hughes, da cui ebbe due figli, Frieda Rebecca e Nicholas. Morì suicida all'età di trent'anni. In un albergo di New York per sole donne, Esther, diciannovenne di provincia, studentessa brillante, vincitrice di un soggiorno offerto da una rivista di moda, incomincia a sentirsi "come un cavallo da corsa in un mondo senza piste". Intorno a lei, sopra di lei, l'America spietata, borghese e maccartista degli anni Cinquanta. Un mondo alienato, una vera e propria campana di vetro che schiaccia la protagonista sotto il peso della sua protezione, togliendole a poco a poco l'aria. L'alternativa sarà abbandonarsi al fascino soave della morte o lasciarsi invadere la mente dalle onde azzurre dell'elettroshock.Recensione
Immaginavo che La campana di vetro non fosse un romanzo facile, ma le difficoltà che ho incontrato nel leggerlo non sono quelle che mi sarei aspettata. Fortemente autobiografico, il libro ripercorre il dramma della depressione vissuto dalla protagonista/autrice, dalla sua genesi in una New York afosa e opprimente fino alle sue manifestazioni più tragiche, insonnia, apatia, autolesionismo e tentato suicidio. Descrive anche il percorso di guarigione, che passa attraverso l'elettroshock e l'insulinoterapia e che implica un lungo ricovero in una struttura di cura. Temevo fossero questi i punti dolenti della narrazione e mi spaventava la possibilità di immedesimarmi con la protagonista e di rivivere il suo stesso dolore. Mi sbagliavo.
Fin da subito ho provato una forte ostilità nei confronti di Esther, così saccente e arrogante da non riconoscere la propria fortuna. In possesso di una prestigiosa borsa di studio, vince una sorta di vacanza-lavoro a New York, presso una prestigiosa rivista femminile. Anziché essere entusiasta dell'esperienza che le viene offerta, non fa altro che criticare le compagne, provinciali e insensibili, e il suo capo, colpevole di essere una donna troppo forte; viene ricoperta di regali e di vestiti, che getterà letteralmente al vento. Le uscite mondane non la soddisfano, e come biasimarla, lei che è così superiore agli altri? Le sue aspettative nei confronti della vita sono eccessive e siccome, giustamente, le cose non vanno come lei vorrebbe, si risente e accusa sempre gli altri per quello che invece è lei stessa a distorcere. Come il povero Buddy, ragazzo di cui si era invaghita, perfetto fino al momento in cui hanno cominciato a frequentarsi: Esther si rompe una gamba, ma la colpa è di Buddy; lui si macchia di un ignobile tradimento (le tace di essere già stato con una donna, fingendosi meno esperto di quello che è - io la chiamo galanteria) e per questo merita di essere lasciato e pure tradito.
Le critiche parlano della campana di vetro come della metafora della depressione, che opprime la protagonista e la isola dalla realtà. A me è parsa piuttosto una auto-imposizione di Esther, un luogo in cui lei stessa si ritira e da cui guarda scorrere la vita senza parteciparvi, ma permettendosi di giudicarla in modo spietato. Questa campana si percepisce chiaramente nella parte centrale del romanzo, quella in cui la malattia prende il sopravvento: mi sarei aspettata di trovare pagine dense di dolore, invece questo periodo è raccontato con distacco e freddezza, come se scivolasse via sopra un impermeabile. Le terapie sembrano non scalfire la giovane, le compagne di istituto esistono accanto a lei ma non la toccano. Nemmeno la morte dell'amica sembra scuoterla da quella sorta di incredibile apatia che pervade queste pagine.
Non sono riuscita a provare compassione per Esther, a dispiacermi per il suo calvario. Non ho provato rabbia verso la superficialità della medicina di allora, che prescriveva terapie elettroconvulsivanti alla leggera. Non sono nemmeno riuscita a commuovermi in quegli slanci verso la vita di cui, raramente, l'autrice ci fa dono. Ho fatto fatica a non mettere il romanzo da una parte, come sarei stata tentata, invischiata in un'atmosfera pesante e afosa come doveva esserlo quell'estate newyorkese. Pure io mi sono sentita oppressa da una campana di vetro dall'atmosfera rarefatta, rimbombante delle parole di una giovane che non sono riuscita a sentire in alcun modo vicina e che, anche alla fine di tutto, non riesco che a descrivere come viziata e arrogante.
Il finale del romanzo resta aperto, con Esther sulla soglia della commissione di medici che valuterà se sia pronta o meno a fare ritorno nella vita fuori dall'istituto: potremmo leggervi un messaggio di speranza, la luce in fondo al tunnel. Se non fosse che la biografia dell'autrice ci riporta bruscamente con i piedi per terra: non c'è salvezza, non c'è via d'uscita se non quella definitiva.
Giudizio:
+3stelle+Dettagli del libro
- Titolo:La Campana di Vetro
- Titolo originale:The Bell Jar
- Autore:Sylvia Plath
- Traduttore:A. Bottini,A. Ravano
- Editore: Mondadori
- Data di Pubblicazione: 2005
- Collana: Oscar Classici Moderni
- ISBN-13: 9788804545040
- Pagine: 238
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 8,50
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