Dopo il matrimonio la coppia si trasferisce in Vermont dove Hyman inizia a insegnare e la Jackson intraprende l'attività di scrittrice a tempo pieno, affiancadola a quella di mamma visto che la coppia negli anni ha avuto 4 figli, destinati tutti ad una piccola fetta di celebrità perché l'autrice si divertiva a usarli come fonti di ispirazione per alcuni dei suoi racconti. Nonostante oggi sia nota soprattutto come modello letterario per autori del calibro di Stephen King e Richard Matheson la Jackson scrisse e pubblicò anche opere per bambini come Nine Magic Wishes e la commedia The Bad Children, ispirata alla favola di Hansel e Gretel. Ancora più famosa, fra questo tipo di produzione è però l'opera Vita fra i selvaggi (Life Among the Savages, 1963), dove raccontò romanzandola la storia del suo matrimonio e le sue esperienze nell'allevare quattro pargoli.
La celebrità, ad oggi, rimane però legata alle storie di paura e in particolare al racconto La Lotteria che suscitò enorme scalpore quando venne pubblicato nel 1948 per aver osato rispolverare un rito antico e violento ambientandolo in una piccola comunità dell'America benpensante. Nonostante in molti abbiano tentato di attribuire le ragioni delle tematiche violente e spaventose scelte dalla Jackson alle sue personali idiosincrasie e ad una sua presunta instabilità, la verità è che l'intenzione dell'autrice non era altro che quella di mostrare il lato barbaro e crudele della società a lei contemporanea che cercava di ignorare lo shock dei campi di concentramento e delle bombe atomiche.
Tra le opere successive spiccano Hangsaman (1951), La casa degli invasati (The Haunting of Hill House, 1959) oggi largamente riconosciuto come uno dei più importanti romanzi horror del ventesimo secolo, trasformato in un film nel 1963 da Robert Wise e Abbiamo sempre vissuto nel castello (We have always lived in the castle, 1962) di cui ci occuperemeo in questa recensione.
L'autrice morì di attacco cardiaco a soli 48 anni, la salute minata da problemi di peso e dall'abuso di farmaci prescritti per curare malattie prevalentemente piscosomatiche.
Con toni sommessi e deliziosamente sardonici la diciottenne Mary Katherine ci racconta della grande casa avita dove vive reclusa, in uno stato di idilliaca felicità, con la bellissima sorella Constance e uno zio invalido. Non ci sarebbe nulla di strano nella loro passione per i minuti riti quotidiani, la buona cucina e il giardinaggio, se non fosse che tutti gli altri membri della famiglia Blackwood sono morti avvelenati sei anni prima, seduti a tavola, proprio lì in sala da pranzo. E quando in tanta armonia irrompe l'Estraneo (nella persona del cugino Charles), si snoda sotto i nostri occhi, con piccoli tocchi stregoneschi, una storia sottilmente perturbante che ha le ingannevoli caratteristiche formali di una commedia. Ma il malessere che ci invade via via, disorientandoci, ricorda molto da vicino i "brividi silenziosi e cumulativi" che - per usare le parole di un'ammiratrice, Dorothy Parker abbiamo provato leggendo La lotteria. Perché anche in queste pagine Shirley Jackson si dimostra somma maestra del Male - un Male tanto più allarmante in quanto non circoscritto ai "cattivi", ma come sotteso alla vita stessa, e riscattato solo da piccoli miracoli di follia.
Recensione
Shirley Jackson è nota fra gli appassionati di horror nostrani come una delle ispiratrici di Stephen King, qualifica un po' riduttiva destinata ovviamente a creare aspettative sbagliate. Diciamolo chiaro: i libri della Jackson non sono come i libri di King. Entrambi condividono l'idea che le piccole tranquille cittadine di provincia sia spesso culla dei mali più terribili ma il loro concetto di terrore e il modo in cui lo esprimono è piuttosto diverso. La dedica di King in apertura de L'incendiaria dice tutto:
"A Shirley Jackson, che non ha mai avuto bisogno di alzare la voce"e Abbiamo sempre vissuto nel castello mostra perfettamente cosa abbia voluto dire.
L'opera è interamente giocata sulla tensione e su un'atmosfera allucinata trasmessa innanzitutto dalla narrazione in prima persona della giovane Mary Katherine "Merrycat" Balckwood, diciottenne con la testa di una dodicenne. Il suo tono monocorde e l'atteggiamento simil-paranoico con cui descrive il mondo che la circonda, ed in particolare gli abitanti del villaggio da cui si sente perseguitata fanno da subito sospettare una narratrice non affidabile e insinuano il dubbio della sociopatia.
Abbiamo sempre vissuto nel castello è uno di quei romanzi in cui poco accade e ogni gesto, ogni dialogo è a servizio della crescente sensazione di disagio che lentamente si accumula sgocciolando dalle pagine e avviluppando il lettore per raggiungere il climax nelle ultime pause in cui finalmente gli eventi giungono al punto di rottura.
Da questo punto di vista il romanzo mi ha ricordato molto il tipo di orrore creato dai racconti del terrore di Poe. Gli elementi base dell'opera della Jackson sono però quelli tipici di una certa letteratura e un certo cinema della prima metà del novecento in cui giovani donne sole e mentalmente fragili si confrontano con un ambiente chiuso, bigotto e rancoroso. La lezione è ovviamente quella dell'ambiguità del male e sulla sua natura, della follia sempre in agguato appena il barlume della razionalità si spegne e del destino inevitabilmente solitario del diverso.
L'atmosfera allucinata è realizzata perfettamente e la suspence è sicuramente il punto di forza del romanzo, presente, palpabile, il punto debole è a mio parere la prevedibilità. Sono consapevole che all'epoca della pubblicazione questo romanzo, come tutti i racconti della Jackson, suscitò un certo scalpore ma attualmente il piccolo villaggio che ostracizza la misteriosa famiglia sulla collina è un archetipo un po' scontato così come Merrycat è un tipo di donna un po' datato. Anche il mistero che si cela dietro l'avvelenamento della quasi totalità della famiglia Blackwood è perfettamente immaginabile dal lettore fin dai primi capitoli sebbene sempre agghiacciante, non perché l'autrice commetta errori nella narrazione della vicenda ma perché racconti di questo tipo ne abbiamo mai letti a bizzeffe e non sono più in grado di sorprenderci. Certo questa è più una nota di merito che di demerito per questa scrittrice che è riuscita a comporre storie così suggestive da essere d'ispirazione a innumerevoli autori di suspence dagli anni '40 fino a oggi ma il suo libro ne paga un po' le conseguenze perché, a differenza di altri classici, mostra un po' il segno del tempo trascorso.
Giudizio:
+3stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Abbiamo sempre vissuto nel castello
- Titolo originale: We Have Always Lived in the Castle
- Autore: Shirley Jackson
- Traduttore: Monica Pareschi
- Editore: Adelphi
- Data di Pubblicazione: 2009
- Collana: Fabula
- ISBN-13: 9788845923661
- Pagine: 182
- Formato - Prezzo: tascabile - Euro 9,90
questo è da 1 po' che l'ho addocchiato.... peccato il linguaggio sia 1 po' vecchiotto, come dici tu...