Nel 1994 il Premio Nobel per la Letteratura viene assegnato a Kenzaburō Ōe, «che con forza poetica crea un mondo immaginario in cui vita e mito si condensano per formare uno sconcertante ritratto dell'attuale condizione umana».
Kenzaburō Ōe nacque a Ōse, nella Prefettura di Ehime, il 31 gennaio 1935. Il padre morì nove anni dopo durante la Guerra del Pacifico. Dei primi anni di formazione, Ōe ricorda i suoi primissimi modelli letterari, Huckleberry Finn e Il viaggio meraviglioso di Nils Holgersson. Successivamente studiò letteratura francese a Tokyo con il professore Kazuo Watanabe, specialista e primo traduttore in giapponese di Rabelais. Influenzato dunque dalla letteratura francese, ma anche da quella nordamericana, nel 1957 iniziò a scrivere racconti, mentre del 1958 è il suo primo romanzo (Memushiri Kouchi, inedito in italiano). Dopo aver sposato Yukari Itami (rispettivamente figlia e sorella dei registi Mansaku Itami e Juzo Itami) viaggiò in Cina, dove conobbe Mao Zedong, in Russia e in Europa, dove conobbe Sartre. Le opere di questo periodo hanno in comune il tema dell'occupazione del Giappone da parte delle potenze straniere, veicolato da perturbanti metafore sessuali.
Nel 1961 pubblicò su rivista i due racconti Seventeen e Morte di un giovane militante (tradotti e raccolti in italiano da Marsilio ne Il figlio dell'Imperatore insieme al discorso tenuto in occasione della vittoria al Nobel), che gli valsero minacce dai gruppi fascisti, la censura dell'editore della rivista che li aveva pubblicati, e le critiche della sinistra per non aver reagito alla censura.
Nel 1965, dopo aver incontrato alcuni sopravvissuti al disastro di Hiroshima, «coloro che non si suicidarono nonostante avessero tutte le ragioni per farlo; che hanno salvato la dignità umana in mezzo alle più orrende condizioni mai sofferte dall'umanità», Ōe, attivista antinucleare e pacifista, scrisse Note su Hiroshima (Hiroshima Notō), pubblicato in Italia da Alet Edizioni nel 2008. Tra le opere che seguirono, significativi furono Il grido silenzioso (Man'en gan'nen no futtōboru, lett. "football americano nel primo anno dell'era Man'nen"), insignito nel 1967 del premio Jun'ichirō Tanizaki, e il saggio del 1970 Okinawa Notō ("appunti di Okinawa"), in cui accusava l'esercito giapponese di aver istigato al suicidio i civili di Okinawa durante l'invasione dell'isola nel 1945. Per quest'opera Ōe fu querelato nel 2005 da due ufficiali in pensione, ma nel 2008 venne assolto con una sentenza che riconosceva le responsabilità dell'esercito.
Nel 1994 venne insignito del Premio Nobel per la Letteratura, occasione in cui pronunciò a Stoccolma il suo celebre discorso Aimai na Nihon no watashi ("Io e il mio ambiguo Giappone", ma anche "Il Giappone, l'ambiguità e io"), titolo che ricalca quello del discorso tenuto da Yasunari Kawabata, Premio Nobel per la Letteratura nel 1968 (Io e il mio bel Giappone). Lo stesso anno gli venne conferito anche il Bunkasho, riconoscimento letterario consegnato dall'Imperatore in persona, che l'autore, coerentemente alla sua ideologia, rifiutò affermando di non riconoscere alcuna autorità o valore più alto della democrazia. Il gesto gli valse nuovamente pesanti minacce dai gruppi nazionalistici.
Pochi mesi dopo l'autore dichiarò che la sua opera più recente, la trilogia Moeagaru midori no ki ("l'albero verdeggiante dalla chioma in fiamme"), sarebbe stata l'ultima a causa del suo desiderio di dedicarsi al pensiero filosofico. Due anni dopo, tuttavia, l'attentato al gas nervino nella metropolitana di Tokyo del 1995 lo spinse a riprendere in mano la penna e a pubblicare Il salto mortale (Chugaeri), tradotto in italiano nel 2006 da Garzanti e incentrato sulle sette religiose terroristiche.
Il libro del premio Nobel Kenzaburo Oe che esce in Italia col titolo "Il figlio dell'Imperatore" comprende due parti autonome: "Seventeen" e "Morte di un giovane militante", quest'ultimo mai pubblicato né in Giappone, né in nessuna parte del mondo dopo l'uscita (1961) in una rivista letteraria giapponese. La rivista fu immediatamente ritirata dopo le minacce di morte all'autore e all'editore. Il racconto letteralmente sparì, quasi non fosse mai stato scritto. L'estrema destra giapponese non sopportava gli attacchi irriverenti alla famiglia imperiale, il feroce sarcasmo contro ogni delirio di onnipotenza.
Recensione
Il figlio dell'Imperatore si compone di due parti autonome: Seventeen e Morte di un giovane militante, pubblicate per la prima volta in patria nel 1961 sulla rivista di letteratura "Bungakukai", a distanza di un mese l'una dall'altra. Colpevole di aver caricato all'inverosimile il reazionarismo del giovane fascista protagonista dei due racconti, Ōe ricevette pesanti minacce dai gruppi fascisti, così come pure l'editore di "Bungakukai", tanto che quest'ultimo fu costretto a bloccare la distribuzione della rivista e a pubblicare una lettera di scuse formali. Lo scrittore venne peraltro aspramente criticato anche dalla sinistra per non aver reagito alla censura: Morte di un giovane militante rimane tuttora mai ripubblicato in Giappone.
I due racconti si ispirano alla storia vera di Yamaguchi Otoya, il diciassettenne che il 12 ottobre 1960 accoltellò a morte in diretta televisiva Inejiro Asanuma, capo del Partito Socialista Giapponese, durante un pubblico dibattito in occasione delle elezioni parlamentari. Il giovane non viene mai chiamato per nome: Ōe omette appositamente qualsiasi riferimento a nomi, luoghi e date.
Il clima è quello teso degli anni '57-'60, momento di rinegoziazione dei delicati rapporti politici tra l'esercito di difesa statunitense, ancora stanziato sul territorio giapponese, e il potere imperiale. Nel discorso Io e il mio ambiguo Giappone, riportato in coda ai racconti e al folto apparato di note, Kenzaburō Ōe con poche frasi dipinge la perfetta essenza del Giappone in quel momento storico, ma anche presente:
«Ho la sensazione che oggi, dopo centoventi anni di modernizzazione seguiti all'apertura del paese, il Giappone sia ancora lacerato da due tipi di ambiguità di senso opposto. Le stesse che vivo anch'io in prima persona, come scrittore che ne porta su di sé i segni profondi.
Ambiguità che si manifestano in vari modi, tanto evidenti e forti da creare lacerazioni in un'intera nazione e nel suo popolo. La modernizzazione del Giappone è stata tutta tesa all'imitazione del modello occidentale. Eppure il Giappone è parte dell'Asia e i giapponesi sono determinatissimi a mantenere la propria cultura tradizionale.»
Narrati in prima persona dal protagonista, Seventeen e Morte di un giovane militante rappresentano la formazione personale e politica di un giovane studente che, da iniziali e precarie posizioni progressive, abbraccia di getto l'ideologia fascista dopo essere stato frastornato dalla pomposa retorica di un comizio. I racconti offrono un ritratto quasi caricaturale del fanatismo di cui il ragazzo cade presto preda, in un delirio di onnipotenza dal sapore più religioso che politico volto a omaggiare la figura dell'Imperatore. Dopo aver compiuto l'opera della sua vita, un gesto senza alcuna conseguenza politica ma roboante, estremo, emblematico, il ragazzo si impiccherà nella cella del riformatorio in cui è stato rinchiuso. Non potrà ricorrere all'harakiri, il tipico suicidio rituale, ma vergherà sulla parete Sette vite per il mio paese. Lunga vita a Sua Maestà Imperiale, l'Imperatore!
Parole e reazioni del protagonista potrebbero forse sembrare grottesche, se non fossimo un popolo vissuto per più di vent'anni sotto il giogo del fascismo. Senza dubbio familiare risulterà l'ultranazionalismo, che nel protagonista è culto dell'Imperatore in quanto divinità più che esaltazione della nazione e della cultura giapponese. Il machismo estremo, onanista, che talvolta sfiora quasi l'omosessualità tanto è il compiacimento del proprio corpo; quasi mai l'eccitazione fisica si traduce nell'urgenza di un rapporto sessuale con un altro essere umano, trovando piuttosto sfogo nell'autocompiacimento, nell'atto violento, o nella sua contemplazione. L'apprezzamento della modernità, della velocità dei trasporti. Quel senso quasi fisico della disciplina. Il culto della giovinezza. La valorizzazione del lavoro fisico. E naturalmente la violenza, politica, familiare, efferata, protetta e giustificata dalla divisa che come un'armatura nasconde l'intrinseca debolezza psicologica e morale: con la divisa, il seventeen non è più un debole adolescente, può essere uguale agli altri, o meglio, può essere qualcosa di più degli altri; la violenza trova il suo tramite nelle mani nude, simbolo del culto del corpo, o nelle armi tradizionali, simbolo dell'identità e della storia del suo paese.
I due racconti senza dubbio non sono facili da apprezzare, complice anche una traduzione dal giapponese che nel 1997 non aveva raggiunto i suoi massimi livelli (che per inciso non sono ancora stati raggiunti, vuoi per latitanza di ottimi traduttori italiani, vuoi per il divario tra le due culture). Tutt'altra storia per il discorso del Nobel, che svela la profondità di Kenzaburō Ōe quale giapponese, quale scrittore, quale essere umano.
Giudizio:
+3stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Il figlio dell'imperatore
- Titolo originale: Sevuntīn; Aimai na Nihon no watashi
- Autore: Kenzaburō Ōe
- Traduttore: M. Morresi
- Editore: Marsilio
- Data di Pubblicazione: 1997
- Collana: Romanzi e racconti
- ISBN-13: 9788831768184
- Pagine: 172
- Formato - Prezzo: Brossura - Fuori catalogo
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