25 novembre 2013

Listopia: I milleuno libri da leggere almeno una volta nella vita (#521 - 540)

Quante volte ci siamo imbattuti in una di queste liste? La stessa BBC ne aveva stilata una da cento libri (piuttosto faziosa, se volete la mia opinione). Scopo di queste liste, è noto, non è permettere al lettore di scoprire nuovi libri e nuovi autori, bensì distruggere ogni sua pretesa di letterato facendolo sentire oltremodo ignorante per il gran numero di volumi che, a fine lista, scopre di non aver non solo mai letto, ma nemmeno sentito nominare. Noi vi proponiamo questa, pubblicata in volume, che già da diversi anni circola più minacciosamente della videocassetta di The Ring (o di Pootie Tang - questa è pessima, se la capite vergognatevi) distruggendo l'autostima di ogni lettore che credeva di aver letto tutti o la maggior parte dei cosiddetti libri da leggere prima di morire. La lista in questione ha i suoi difetti. Intanto è stata stilata approssimativamente nel 2005, per cui la sezione 2000 risulta incompleta; inoltre mette in lista solo narrativa, ed è eccessivamente sbilanciata su romanzi pubblicati nel corso del 1900, glissando decisamente su quelli pre-Ottocento. Continuiamo con un'altra carrellata di venti romanzi: nel corso degli articoli vedremo quali sono stati pubblicati in Italia e quali risultano ancora inediti.



521. Il vecchio e il mare – Ernest Hemingway (1952)

Dopo ottantaquattro giorni durante i quali non è riuscito a pescare nulla, il vecchio Santiago vive, nel suo villaggio e nei confronti di sé stesso, la condizione di isolamento di chi è stato colpito da una maledizione. Solo la solidarietà del giovane Manolo e il mitico esempio di Joe Di Maggio, imbattibile giocatore di baseball, gli permetteranno di trovare la forza di riprendere il mare per una pesca che rinnova il suo apprendistato di pescatore e ne sigilla la simbolica iniziazione. Nella disperata caccia a un enorme pesce spada dei Caraibi, nella lotta, quasi letteralmente a mani nude, contro gli squali che un pezzo alla volta gli strappano la preda, lasciandogli solo il simbolo della vittoria e della maledizione sconfitta, Santiago stabilisce, forse per la prima volta, una vera fratellanza con le forze incontenibili della natura e, soprattutto, trova dentro di sé il segno e la presenza del proprio coraggio, la giustificazione di tutta una vita. Alla fine della propria carriera di scrittore Ernest Hemingway rimedia i temi fondamentali della sua opera nella cornice simbolica di un’epica individuale, e insieme ripercorre i grandi modelli letterari che, con Moby Dick, hanno reso unica la letteratura americana.


522. La saggezza nel sangue – Flannery O’Connor (1952)

La saggezza nel sangue, uscito nel 1952, fu dalla stessa autrice definito "un romanzo comico che tratta di un cristiano suo malgrado". Al centro del primo romanzo di Flannery O'Connor è la figura di Hazel Motes, il giovane reduce che predica la "Chiesa della Verità senza Gesù Cristo Crocefisso". Hazel è assillato dall'incontro con un suo doppio, seguito da un ragazzino petulante, concupito da una matrona, attratto da una piccola prostituta... Il suo itinerario per strade e pensioni, bar e treni del Sud, è quello di un cercatore di assoluto, incapace di governare i propri istinti e la propria vocazione. "La religione del Sud", precisa l'autrice in una lettera, citata da Fernanda Pivano nella prefazione, "è qualcosa che, come cattolica, trovo... Cupamente comica... Non avendo nulla che corregga le proprie eresie, la gente le elabora drammaticamente".


523. L'assassino che è in me – Jim Thompson (1952)

Lou Ford è il vicesceriffo di una piccola città del Texas. La cosa peggiore che si può dire di lui è che è un po' noioso, un po' troppo lento, a volte saccente. Ma nessuno immagina il suo male nascosto, la malattia che lo ha quasi rovinato quando era giovane. E quel male è di nuovo sul punto di tornare in superficie, irrefrenabile e violento. Perché la vita non ha niente da dare agli uomini come Lou, se non brevi momenti di feroce energia sempre raggelati dall'oceano nero del destino.


524. Memorie di Adriano – Marguerite Yourcenar (1951)

"Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo", dice di sé Adriano, questo personaggio così raffinatamente calato nella sua epoca, eppure così vicino al tormento di ogni uomo, di ogni tempo, nell'accanita ricerca di un accordo tra felicità e logica, tra intelligenza e fato. Il capolavoro di Marguerite Yourcenar unisce al cesello perfetto della ricostruzione storica il coraggio di presentare a tutto tondo un grand'uomo, l'altezza del suo pensiero, la disponibilità intellettuale, le intuizioni profetiche, donandoci non già un saggio erudito, ma un libro dei giorni nostri, e dei giorni a venire. Perché, come ha scritto la Yourcenar, "non siamo i soli a guardare in faccia un avvenire inesorabile".
I taccuini di appunti dell'autrice (annotazioni di studio, lampi di autobiografia, ricordi, vicissitudini della scrittura) perfezionano la conoscenza di un'opera che fu pensata, composta, smarrita, corretta per quasi un trentennio.
La nota della traduttrice, Lidia Storoni Mazzolani, ci regala la storia di un'amicizia nata lavorando insieme alla versione italiana. Con la cronologia della vita e delle opere e la bibliografia essenziale.


525. Malone muore – Samuel Beckett (1951)

Malone muore è un fondamentale punto di svolta nella narrativa di Beckett. Da un lato è l'ultima prova di una narrazione centrata su un personaggio ancora in qualche modo romanzesco (Malone buon ultimo dopo i vari Murphy, Mercier, Molloy, Moran), dall'altro è già la liquidazione di quel modello, un post-romanzo che si costruisce intorno a un'assenza, a un'attesa indefinita e infinita, dove il soggetto non ha più alcuna identità. Le storie che Malone immagina nell'attesa di morire si confondono tra loro, i personaggi si sovrappongono, l'autore e il lettore svaniscono in quell'«unico grande ronzio continuo» che è la strana, buffa e tragica condizione della vita.


526. Il giorno dei Trifidi – John Wyndham (1951)

Bill Masen è ricoverato in ospedale e bendato, dopo un'operazione agli occhi. Un mattino si sveglia e si ritrova circondato da un silenzio insolito: sembra quasi che la vita intorno a lui si sia fermata... Si toglie le bende e si trova davanti a uno spettacolo orribile: gli esseri umani sono quasi tutti ciechi per effetto di una pioggia di meteore, e il mondo intero rischia di piombare in una spirale di caos e violenza. Poche persone hanno conservato la vista e tentano di riorganizzarsi, ma un'altra minaccia, molto più grave, si affaccia all'orizzonte: i Trifidi, piante geneticamente modificate che si nutrono di carne, anche umana, si sono accorti del loro vantaggio ecologico, si apprestano a occupare lo spazio vitale, a procurarsi il cibo di cui hanno bisogno...
Pubblicato per la prima volta a puntate nel 1951 sulla rivista americana "Collier's", "Il giorno dei Trifidi" ebbe un successo istantaneo ed è stato il primo esempio di affermazione 'di massa' della fantascienza moderna dopo Jules Verne e H.G. Wells. La sua profezia sul crollo della civiltà e sulla vendetta della natura appare sempre più attuale, e il romanzo è considerato un vero e proprio classico della letteratura inglese, nella tradizione distopica e visionaria che va da Wells a Orwell, a Ballard.


527. Fondazione – Isaac Asimov (1951)

La scena si svolge su Trantor, capitale dell'immenso impero che si stende su tutta la Galassia: una città vasta quanto un pianeta e popolata da miliardi di abitanti. Ed è in questo vasto, formicolante, inimmaginabile "ombelico del cosmo" che arriva lo studente Gaal Dornick per dare il via al più acclamato ciclo della storia della fantascienza: quello della "Fondazione". L'attuale impero galattico è destinato a crollare, l'interregno che ne seguirà sarà spaventoso, ma un giorno, un secondo impero vedrà la luce sorgendo dalle ceneri del primo. Per affrettare la transizione, lo scienziato Hari Seldon ha inventato una nuova disciplina scientifica, la psicostoria, studiata e applicata nelle apposite Fondazioni che si trovano i capi opposti della galassia. C'è però un grave e imminente pericolo che può distruggere questo piano benefico e che va sventato a tutti i costi...


528. La riva delle Sirti – Julien Gracq (1951)

[Pubblicato per la prima volta nel 1952 da Mondadori, La riva delle Sirti è il terzo romanzo dell'autore inglese Julien Gracq e in Italia è ormai fuori catalogo. Premiato con il Goncourt, l'autore rifiutò clamorosamente il riconoscimento per protesta contro la commercializzazione della letteratura.]






529. Il giovane Holden – J.D. Salinger (1951)

"Non ho nessuna voglia di mettermi a raccontare tutta la mia dannata autobiografia e compagnia bella. Vi racbrconterò soltanto le cose da matti che mi sono capitate verso Natale, prima di ridurmi così a terra da dovermene venire qui a grattarmi la pancia. Niente di più di quel che ho raccontato a D.B., con tutto che lui è mio fartello e quel che segue. Sta a Hollywood, lui. Non è poi tanto lontano da questo lurido buco, e viene qui a trovarmi praticamente ogni fine settimana. Mi accompagnerà a casa in macchina quando ci andrò il mese prossimo, chi sa. Ha appena preso una Jaguar. Uno di quei gingilli inglesi che arrivano sui trecento all'ora. Gli è costata uno scherzetto come quattromila sacchi o giù di lì. E' pieno di soldi, adesso. Mica come prima. Era soltanto uno scrittore in piena regola, quando stava a casa".


530. L'uomo in rivolta – Albert Camus (1951)

Ne L’uomo in rivolta, pubblicato nel 1951, trova la sua più rigorosa formulazione teorica la riflessione di Camus sull’idea – fondamentale – della rivoluzione, intesa come ricerca di equilibrio, azione creatrice, unica possibilità data all’uomo per fare emergere un senso in un mondo dominato dal non senso. L’opera sancì la rottura definitiva di Camus con Sartre e diede origine a infinite polemiche che divisero l’avanguardia intellettuale francese ma non riuscirono a pregiudicare la validità di una lezione di coraggio, generosità e moralità che rimane attualissima ancora oggi.


531. Molloy – Samuel Beckett (1951)

"Molloy" è il primo capolavoro della "Trilogia": personaggi che cercano instancabilmente la propria identità, un movimento a spirale di riflessioni che ruotano sempre più vicine al nulla. Molloy, misero e inerme, è rinchiuso nella stanza della madre morta e scrive in continuazione. Ogni settimana uno sconosciuto porta via tutto ciò che ha scritto offrendogli del denaro. Molloy racconta la sua inutile odissea trascorsa in cerca della madre. Nella seconda parte, Moran descrive la stessa storia di Molloy da un punto di vista completamente opposto: egli è un agente privato, la sua follia paranoica si esprime in gretto sadismo e severo autocontrollo, il suo compito è dare la caccia a Molloy.


532. Fine di una storia – Graham Greene (1951)

In una Londra distrutta dalle bombe di Hitler, vizi, compromessi, bassezze ed egoismi si mescolano all'amore. L'amore violento, quasi rabbioso di due amanti, Sara e Maurice; l'amore tiepido, non corrisposto del marito tradito; l'amore inatteso di Sara per Dio, nel quale arriva a credere contro la sua stessa volontà. Fragile e incoerente, combattuta tra l'adesione totale alla fede e la rinuncia all'uomo amato, la figura di Sara Miles si affianca ai personaggi più incisivi di Graham Green. E al di là dell'intreccio avvincente del romanzo, tipico della maniera greeniana, si schiude - oggi più che mai attuale - tutta la problematica dello scrittore: l'inafferrabile presenza del divino nel mondo e l'inquietudine dell'uomo, eternamente costretto in una condizione di contraddittorietà.


533. L'abate C – Georges Bataille (1950)

L'esperienza è "un viaggio ai limiti del possibile umano", e il suo principio è il "non-sapere". Lo spirito è messo a nudo nella tensione che spezza le regole del sapere abituale. In questo senso, è proprio la nudità senza riserve che mette di fronte a questo estremo possibile: all'estensione assoluta, che non può più nemmeno essere detta, o articolata. Solo il "sacrificio" della parola nella poesia può forse trovare una forma per un'esperienza che rimarrebbe, altrimenti, puramente estatica, per sempre perduta nell'indicibile. Solo la letteratura, se non può dire la morte, se non può descriverne l'esperienza, può darci di essa il sentimento. Anche nell'"Abate C". Bataille torna sul problema della scrittura: quello che essa afferma e quello che essa cancella. Solo nella scrittura è possibile legare "intimamente l'affermazione alla negazione". Credo che il segreto della letteratura sia questo, e che un libro sia bello solo se abilmente ornato dell'indifferenza delle rovine". La storia è senza esito, e dunque si svolge all'interno dell'universo claustrofobico e rovinoso della scrittura. Il pacco di lordura che l'Abate lascia sotto le finestre di Éponine, la colata escrementizia, il furore, la malattia danno un senso di soffocamento mescolato a "un'illimitata impudicizia fatta di grida, di escrementi". La poesia è l'uscita dai sentieri del logos abituale, ma è anche la tomba, in cui tutto si avvolge in una spirale infinita senza uscite.


534. Il labirinto della solitudine – Octavio Paz (1950)

[Il labirinto della solitudine, pubblicato in Italia nel 1990 da Mondadori e ormai fuori catalogo (sebbene alcuni siti lo diano ripubblicato nell'aprile 2013 da Editrice SE, ma non esiste alcun dato di quest'edizione), è una raccolta di nove saggi sull'identità messicana: 'Il Pachuco e altri estremi', ‘Maschera messicana’, ‘Il giorno dei Morti’, ‘I figli di La Malinche’, ‘La conquista e il colonialismo’, ‘Dall'indipendenza alla rivoluzione’, ‘L'Intelligence messicana’, ‘I giorni nostri’ e ‘La dialettica della solitudine’. Alcune edizioni contengono anche il saggio 'Post data', sul massacro del '68 di centinaia di studenti messicani, evento che spinse Paz ad abbandonare la sua posizione di ambasciatore in India.]


535. Il terzo uomo – Graham Greene (1950)

Graham Greene ha lavorato tantissimo per il cinema; il suo capolavoro in questo campo è la sceneggiatura per "Il terzo uomo", diretto nel 1949 da Carol Reed con Orson Welles e Alida Valli. Parallelamente alla sceneggiatura, Greene scrisse l'omonimo romanzo, pubblicato nel 1950. Nella versione narrata, la celebre vicenda dello scrittore Rollo Martins - che approda nella Vienna occupata dell'immediato dopoguerra e si trova invischiato nei loschi traffici del suo amico d'infanzia Harry Lime - non viene raccontata dal punto di vista del protagonista, come sullo schermo, ma da quello, più disincantato e ironico, del colonnello Calloway, l'ufficiale dei servizi segreti britannici sulle tracce di Lime. È in lui, più che nella disperata e sconvolta figura di Martins, che si ritrova quella capacità di non prendersi troppo sul serio, quel dono di saper cogliere l'aspetto ridicolo delle circostanze drammatiche che accompagnano le figure più riuscite del repertorio "spionistico" greeniano.


536. The 13 Clocks – James Thurber (1950)

Once upon a time, in a gloomy castle on a lonely hill, where there were thirteen clocks that wouldn’t go, there lived a cold, aggressive Duke, and his niece, the Princess Saralinda. She was warm in every wind and weather, but he was always cold. His hands were as cold as his smile, and almost as cold as his heart. He wore gloves when he was asleep, and he wore gloves when he was awake, which made it difficult for him to pick up pins or coins or the kernels of nuts, or to tear the wings from nightingales.
So begins James Thurber’s sublimely revamped fairy tale, The 13 Clocks, in which a wicked Duke who imagines he has killed time, and the Duke’s beautiful niece, for whom time seems to have run out, both meet their match, courtesy of an enterprising and very handsome prince in disguise. Readers young and old will take pleasure in this tale of love forestalled but ultimately fulfilled, admiring its upstanding hero (”He yearned to find in a far land the princess of his dreams, singing as he went, and possibly slaying a dragon here and there”) and unapologetic villain (”We all have flaws,” the Duke said. “Mine is being wicked”), while wondering at the enigmatic Golux, the mysterious stranger whose unpredictable interventions speed the story to its necessarily happy end.


537. Gormenghast – Mervyn Peake (1950)

Soverchiato dalla cima ad artiglio e dalle giogaie scoscese dell'omonimo monte, il reame di Gormenghast ha il suo centro in un immane agglomerato tirannico con le sembianze di un castello. Qui ogni antica bellezza si è corrotta in cupa fatiscenza: le mura sono sinistre «come banchine di moli», e le costruzioni si tengono tra loro «come carcasse di navi sfasciate». E qui, intorno al piccolo Tito – divenuto il settantasettesimo conte dopo la misteriosa morte di Sepulcrio –, si muovono gli esseri inconcepibili che sono la sostanza stessa di cui è composto il castello: la gigantesca contessa Gertrude, la madre, dalle spalle affollate di uccelli e dallo spumoso strascico di gatti bianchi; l'amata sorella Fucsia dai capelli corvini, che col suo abito cremisi infiamma i corridoi grigi; il fanatico custode delle leggi, Barbacane, nano storpio che raggela il sangue col secco schiocco della sua gruccia; e il gelido Ferraguzzo, che non cessa di ascendere verso il culmine della sua bramosia di potere. Prigioniero di riti decrepiti e di trame che falciano la sua livida Corte, Tito, che pure vorrebbe sfuggire a Gormenghast, dovrà combattere per salvare dal Male il cuore del castello – e trovare se stesso: perché forse un altrove non è nemmeno pensabile, e tutto conduce a Gormenghast. Nel secondo pannello della sua trilogia, Peake raggiunge il nucleo più oscuro di una narrazione che molti hanno paragonato, per vastità di respiro e potenza visionaria, al Signore degli anelli. In realtà egli va molto oltre, riuscendo a saldare in un travolgente flusso romanzesco il male della storia e il Male metafisico, e a far dono al lettore di una scrittura che fonde lo smalto imprevedibile dei colori alla precisione iperrealistica dei dettagli – quasi la "trascrittura" dell'arte di un pittore fiammingo gettato dal caso nel cuore di un altro mondo, che non abbandonerà più la nostra memoria.


538. L'erba canta – Doris Lessing (1950)

Nel Sudafrica degli anni Quaranta, Mary e Dick, poco più che trentenni, decidono di sposarsi più per solitudine che per amore e andare a vivere in una sperduta fattoria a coltivare la terra. Mary, abituata a vivere in città, mal sopporta il caldo e la fatica, la difficoltà di far fronte alla mancanza di agio e di benessere, lontana da tutto. Il sogno di una futura ricchezza si infrange perché Dick si rivela un inetto e un sognatore: non sa adeguarsi alle dure leggi della lotta per la sopravvivenza in un ambiente ostile, una terra che in realtà appartiene ai neri, agli oppressi. È proprio l'arrivo di Moses, un nero dall'espressione indecifrabile e dalla muta devozione, che provocherà la tragedia: un delitto che apre il racconto e che si spiegherà solo alla fine.


539. Io, Robot – Isaac Asimov (1950)

Pubblicata per la prima volta nel 1950, questa celebre antologia raccoglie i più significativi racconti che il più prolifico e famoso scrittore di fantascienza di tutti i tempi ha dedicato ai robot. È proprio in questo libro che Asimov detta le tre Leggi della robotica, che regolano appunto il comportamento delle "macchine pensanti" e che da allora in poi sono alla base di tutta la letteratura del genere.


540. La luna e i falò – Cesare Pavese (1950)

Pubblicato nell'aprile del 1950 e considerato dalla critica il libro più bello di Pavese, "La luna e i falò" è il suo ultimo romanzo. Il protagonista, Anguilla, all'indomani della Liberazione torna al suo paese delle Langhe dopo molti anni trascorsi in America e, in compagnia dell'amico Nuto, ripercorre i luoghi dell'infanzia e dell'adolescenza in un viaggio nel tempo alla ricerca di antiche e sofferte radici. Storia semplice e lirica insieme, "La luna e i falò" recupera i temi civili della guerra partigiana, la cospirazione antifascista, la lotta di liberazione, e li lega a problematiche private, l'amicizia, la sensualità, la morte, in un intreccio drammatico che conferma la totale inappartenenza dell'individuo rispetto al mondo.

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