Recensione
Confesso che il motivo che mi ha spinto verso 'Vathek' è particolare: ne ho letto la prima volta su un fumetto della serie bonelliana 'Dampyr', che porta lo stesso titolo e al romanzo di Beckford è solo vagamente ispirato, visto che il protagonista è si di origini arabe come nel libro ma è un arcivampiro.Il 'Vathek' di Beckford invece è una figura quasi archetipale di personaggio romantico, l'antieroe maledetto, pronto alla dannazione per soddisfare una sete puerile di potere e piacere ma situato in un contesto - quello di romanzi illuministici a tesi come 'Zadig' o 'Candido' di Voltaire, 'Emilio' di Rousseau o anche 'Justine' del divino marchese De Sade - in cui il punto di vista della narrazione è caratterizzato da uno sguardo esterno e quasi estraneo, se non anche dichiaratamente ironico, nei confronti della vicenda per cui la morale del racconto risulta alla fine capovolta.
Il califfo Vathek, uomo ricco e potente oltre ogni immaginazione, capace di fulminare con il solo sguardo, vota la sua vita al perseguimento di un unico fine, il piacere e si scopre privo di ogni scrupolo quando viene tentato da parte di un oscuro personaggio, il Giaurro - parola che di per sé vuol dire 'infedele'.
In cambio dell'orrendo sacrificio di cinquanta bambini, del cui sangue il Giaurro chiede di dissetarsi, a Vathek viene promesso, una volta rinnegata totalmente la vera fede nella rivelazione di Maometto, libero accesso ai palazzi infernali della città maledetta di Eblis, sede del demonio biblico Shaitan, il nostro Satana, e anche alle ricchezze e alla potenza magica dei re morti nell'antichità, in particolare Suleiman ben Daoud, cioè il nostro re Salomone, figlio di Davide.
Il percorso di Vathek è una lunga discesa verso il basso, che è risaputo essere molto agevole, e viene facilitato anche dall'ambizione di una figura femminile, Caratide, anziana principessa bizantina madre del califfo, che non esita ad affiancarlo in ogni nefandezza, a difenderlo con arti negromantiche e a spronarlo verso il male per una cupa bramosia di potere. Appare circondata da un nugolo di schiave negre mezze cieche e ugualmente malvagie, non esita ad abbandonare il suo palazzo e la torre dove aveva praticato le scienze esoteriche e accorre a fianco del figlio scellerato, quanto questo, innamoratosi, lungo la strada verso il palazzo sotterraneo di Eblis, di Nouronihar, splendida figlia dell'emiro Fakreddin, la cui fama di santità è diffusa in tutto il mondo, sembra aver dimenticato per i piaceri dell'amore il fine della ricerca, per la quale aveva scelto la dannazione.
La discesa travolgente di Vathek, dal rogo della torre del palazzo di Samarah verso l'abisso di Eblis, trascina con sé tutto ciò che incontra: la bellissima Nouronihar, in principio promessa sposa e innamorata devota del suo cugino Goulchenrouz, un fanciullo tanto bello quanto poco virile che Vathek cerca di eliminare senza alcun rimorso, rinuncia all'affetto verso il pio padre Fakreddin e all'amore per il cugino, che viene però salvato, come anche i cinquanta bambini destinati a sfamare l'orrendo appetito del Giaurro, dall'intervento divino attraverso esseri a metà tra geni benigni e angeli. Anche Caratide lo segue nella discesa infernale e anzi lo spinge a non avere alcuna remora nel perseguire la ricerca del potere sotterraneo.
Molto diverso da come me l'aspettavo, 'Vathek' riflette in forma di fiaba parte delle vicende biografiche dell'autore, aristocratico britannico, ricchissimo e coltissimo, con una madre ingombrante, in cui si ritrova la figura di Caratide, costretto a viaggiare a lungo fuori dalla sua patria per via di numerosi scandali legati alla sua omosessualità in cui rimase coinvolto.
Beckford/Vathek è un vero libertino - in quelli che vengono chiamati 'episodi', cioè racconti nel racconto, in stile 'Mille e una notte', fatti da altre anime dannate al protagonista e Nouronihar nel palazzo di Eblis mentre attendono che si compia il loro destino di peccatori irredimibili, compare anche la storia d'amore tra due uomini - e fonde insieme l'interesse per temi e ambientazioni orientaleggianti e la fascinazione erotica di una visione della vita interamente ispirata all'edonismo, il tutto con uno stile che ricorda in tanti aspetti quello di fiabe come 'Cappuccetto rosso'.
La morale superficiale è che la via del piacere estremo, inteso come fine unico in se stesso, può portare solo all'annientamento e alla sofferenza, ma dal tono ironico e sornione con cui il narratore racconta la vicenda di Vathek appare altrettanto evidente come il suo sprofondarsi nel male sia la conseguenza di una scelta inevitabile e fortemente voluta, in una versione arabeggiante ed esteticamente evoluta dell'eroe monolitico così tipica del pensiero romantico, tanto che l'opera di Beckford è stata paragonata ad altre più note, nello stesso solco, di Horace Walpole e Mary Wollstonecraft Shelley.
Bello da leggere come una fiaba oscura, con descrizioni suggestive e inquietanti come quella delle rovine di Persepoli, da cui si scende negli Inferi, questo romanzo breve è davvero una fusione originale di sottili perversioni e di un vitalismo spregiudicato e al di là di ogni giudizio morale.
Non per nulla, dopo essere stato a lungo ignorato, quello magistralmente dipinto da Beckford è stato definito come 'il primo Inferno dell'età moderna' da uno che di inferni e dannazione se ne intendeva come Jorge Luis Borges.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Vathek e gli episodi
- Titolo originale: Vathek. Un conte arabe
- Autore: William Beckford
- Traduttore: A. Camerino, R. Savinio
- Editore: Bompiani
- Data di Pubblicazione: 2003
- Collana: Tascabili. Romanzi e racconti
- ISBN-13: 9788845254970
- Pagine: 257
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 7,90
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