Ammiratore di Napoleone, decide di combattere nel suo esercito in Belgio all’insaputa del padre, conservatore e filo-austriaco. Al suo arrivo i soldati francesi lo scambiano per una spia e lo arrestano. Riuscito a fuggire, cerca un altro battaglione napoleonico cui unirsi, ma le delusioni si sommano una dopo l’altra. Alla fine riuscirà a unirsi all’esercito e si troverà spettatore confuso, impaurito e deluso della famosa battaglia di Waterloo.
Sconfitto Napoleone, Fabrizio si trova a girovagare senza meta. A Parigi scopre che deve far ritorno in Italia ma anche che Ascanio lo ha denunciato accusandolo di essere una spia napoleonica. Ricercato dalla polizia, dopo mille peripezie Fabrizio riesce a tornare al castello di Grianta, ma è costretto a fuggire di nuovo, fino a quando la zia, la duchessa di Sanseverina, segretamente innamorata di lui, non lo prende sotto la sua ala protettiva facendogli ottenere l’immunità. A Fabrizio viene consigliato di farsi monsignore, e dopo aver ricevuto la nomina raggiunge la zia alla corte del principato di Parma. Ma anche qui Fabrizio è vittima di raggiri, finisce in prigione e sarà condannato a morte. Proprio in prigione trova finalmente l’amore, Clelia Conti, figlia del governatore del carcere. Riuscito a fuggire grazie all’aiuto della zia, Fabrizio ha un figlio da Clelia.
Recensione
La vicenda, che non riguarda assolutamente la Certosa di Parma - la stessa viene citata a volte dai personaggi e compare, ma solo di sfuggita, solo nelle ultimissime pagine -, è la storia della vita avventurosa di un giovane aristocratico milanese cadetto, dei suoi ardori giovanili, e del suo rapporto, a tratti ambiguo, con la affascinante e bellissima zia, la duchessa Sanseverina. Il tema di fondo è politico e si sviluppa nei primi decenni del XIX secolo, dunque quasi di attualità, dopo la sbornia della rivoluzione francese e l'epopea napoleonica, cui Fabrizio partecipa da adolescente avventurandosi in modo picaresco fino a Waterloo, per assistere alla fine di un'era.
Spontaneo, incosciente, coraggioso, animato da eroici furori e in contrasto con un padre e un fratello maggiore che sono alfieri della repressione restauratrice, il marchese del Dongo incarna la figura del nobile decaduto, che da un lato si fa prendere dalla passione per il liberalismo e dall'altro però vive e agisce secondo i privilegi di una casta che si avvia a perdere il suo ruolo sociale nel confronto con la realtà.
Privo di qualunque qualità che non sia l'avventata sincerità della giovinezza, Fabrizio è vittima delle sue passioni, non ha una propensione e neppure un'educazione approfondita e nel corso delle sue avventure il narratore onnisciente, che guarda alla sua sprovvedutezza con occhio bonario e divertito insieme, lo dipinge sempre sul punto di perdersi, se non fosse per i continui interventi e interesse della zia. La duchessa, vedova di un generale napoleonico, decide di spostarsi da Milano nella piccola corte di Parma, più provinciale e governata da un occhiuto e gretto despota con grandi ambizioni politiche, dove gode dell'amore del ministro del ducato farnesiano e diviene epicentro di intrighi e maneggi tra le fazioni del ministro stesso, conservatore, e avversa, i liberali guidati dalla marchesa Raversi. Questa parte del romanzo non è del tutto storica perché dopo i regni napoleonici il ducato di Parma era governato da un ramo della famiglia Borbone, essendo quella originaria dei Farnese da tempo estinta. Probabilmente l'opportunità politica consigliava a Stendhal un'ambientazione non del tutto realistica, visto che siamo negli anni tra 1831-48, destinati a cambiare la fisionomia geopolitica dell'Europa e dell'Italia.
Attorno a questi due personaggi, Fabrizio e la duchessa, ruotano una serie di comparse e caratteri minori, come il conte, amante ufficiale della Sanseverina, insieme geloso e affezionato al primo, che intuisce come il legame tra zia e nipote potrebbe anche trasformarsi in qualcosa di più intenso e vive sospeso sotto la minaccia continua di perdere la donna che ama e il posto di ministro che gliela garantisce, come il principe Ernesto V, fautore di uno stato poliziesco ma ambizioso al punto di promuoversi negli ambienti liberali come riferimento per i circoli antiasburgici per i nascenti progetti di unificazione italiana; o ancora la viscida figura dell'adulatore, il fiscale Rassi, animato dalla sola ambizione di raggiungere, lui funzionario borghese, la posizione di nobile e pronto a essere messo in ridicolo in ogni modo dai suoi superiori e a prestarsi a qualunque inganno per i suoi fini; infine l'irrinunciabile eroina, Clelia, figlia di un ex generale napoleonico, divenuto poi il carceriere di Fabrizio, icona di bellezza e dei tormenti spirituali e sentimentali di ogni figura femminile romantica, pronta a ogni sacrificio per una visione dell'amore che sa di idealismo adolescenziale più che di vera passione e di coraggio.
Attraverso le complicate vite dei due personaggi principali l'autore tratteggia il ritratto di una società e di un ceto, la nobiltà decadente, completamente e inconsapevolmente travolta dai tempi e dalle contraddizioni, che sembra non rendersi conto che il turbine rivoluzionario ha spazzato via le condizioni di vita dell'ancien regime. Fabrizio, dopo aver seguito i suoi ideali di giovane libertario fino a partecipare alla battaglia di Waterloo - ed è questa una delle sezioni narrative migliori del romanzo -, accetta di prendere i voti perché, avendo la sua famiglia già espresso due arcivescovi di Parma, si troverebbe la strada spianata a quella carica, sacrificando gli ideali sull'altare di un opportunismo venato di accenti edonistici. Con simili idee opportuniste la duchessa, vedova di un generale napoleonico, si lega a una corte reazionaria e viene dipinta sempre pronta a passare sopra ogni principio e ideale, pur di favorire e proteggere lo sventato e sfortunato nipote. Anche i membri della famiglia del principe così come i cortigiani sono dipinti come sospesi tra una vacua dabbenaggine e la futile superficialità di intrighi meschini e debolezze. Gli amori disinteressati che riempiono di passione le vite dei protagonisti si rivelano più leziosi ed evanescenti che densi di umanità. Indubbiamente la grande abilità descrittiva di Stendhal e la sottigliezza con cui analizza i risvolti psicologici di travagli e passioni dei protagonisti contribuisce molto a coinvolgere nelle vicende e nei percorsi interiori della storia.
Di tutto questo mondo resta però difficile e non sempre immediato per un lettore moderno apprezzare la visione insieme distaccata e leggermente ironica - il tono leggermente sornione dell'autore/narratore a tratti richiama certi stilemi, senza suggerire una parentela necessaria, dei 'Promessi Sposi' di Manzoni - che ne delinea Stendahl, sia per il fatto che la traduzione, per quanto di un poeta come Sbarbaro, risulta datata e piuttosto distante dal gusto e dalla lingua attuali, sia perché il succedersi delle vicissitudini assume un ritmo e un sapore molto romanzeschi, tanto da apparire eccessivi e da spingere anche l'editore parigino a sostituire le ultime trecento pagine con una chiusa breve e rabberciata, che in effetti rimane tronca e frettolosa.
Giudizio:
+3stelle+Dettagli del libro
- Titolo: La Certosa di Parma
- Titolo originale: La Chartreuse de Parme
- Autore: Stendahl
- Traduttore: Camillo Sbarbaro
- Editore: Einaudi
- Data di Pubblicazione: 2007
- Collana: Einaudi Tascabili
- ISBN-13: 9788806189426
- Pagine: 508
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 12,50
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