L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
***
«Fillus de anima. E' così che li chiamano i bambini generati due volte, dalla povertà di una donna e dalla sterilità di un'altra. Di quel secondo parto era figlia Maria Listru, frutto tardivo dell'anima di Bonaria Urrai.
Quando la vecchia si era fermata sotto la pianta del limone a parlare con sua madre Anna Teresa Listru, Maria aveva sei anni ed era l'errore dopo tre cose giuste. »
«Fuori dall'Europa, 1555
Sulla prima pagina è scritto: Nell'affresco sono una delle figure di sfondo.
La grafia meticolosa, senza sbavature, minuta. Nomi, luoghi, date, riflessioni. Il taccuino degli ultimi giorni convulsi.
Le lettere ingiallite e decrepite, polvere di decenni trascorsi.
La moneta del regno dei folli dondola sul petto a ricordarmi l'eterna oscillazione delle fortune umane.
Il libro, forse l'unica copia scampata, non è più stato aperto.
I nomi sono nomi di morti. I miei, e quelli di coloro che hanno percorso i tortuosi sentieri.
Gli anni che abbiamo vissuto hanno seppellito per sempre l'innocenza del mondo.
Vi ho promesso di non dimenticare.
Vi ho portati in salvo nella memoria.
Voglio tenere tutto stretto, fin dal principio, i dettagli, il caso, il fluire degli eventi. Prima che la distanza offuschi lo sguardo che si volge indietro, attutendo il frastuono delle voci, delle armi, degli eserciti, il riso, le grida. Eppure solo la distanza consente di risalire a un probabile inizio.»
«Finalmente la pioggia. La tanto sospirata pioggia, come aveva detto il meteorologo. Batteva sulle piccole case di Cupertino e Sunnyvale, che aumentavano di valore ogni giorno di più. La tanto sospirata pioggia offuscava i tetti di tegole rosse di Stanford, infangava i viali alberati di Palo Alto. Sulla costa, onde d'argento fuso si increspavano e si mischiavano nella tempesta settembrina. I ponti sembravano levitare e San Francisco galleggiava come una fortezza nascosta nella nebbia. La pioggia schiacciava le piante di fior di vetro che orlavano i prati delle grandi società, faceva scintillare la Silicon Valley. Il mondo era prolifico, i mercati in espansione. Le piscine rischiavano di traboccare e le colline fulve sembravano già più verdi.
Come il denaro, la pioggia arrivò in una valanga, avvolgendo la baia, deliziando i meteorologi, superando ogni previsione, saturando l'aria.
Due sorelle si incontrarono per cena sotto l'acquazzone. Emily era venuta in macchina da Mountain View a Berkeley nell'ora di punta. Jess aveva pedalato dal suo appartamento. Emily aveva un ombrello. Jess non si era preoccupata di portarlo.
«Ma guardati», disse Emily.
«Mmm». Jess si asciugò le gocce di pioggia sul viso. «Mi piace».
L'acqua scorreva sulle vetrine di vetro e stucco di University Avenue, fluiva nei canali di scolo.
«Ti stai inzuppando».
Jess fece dondolare per le cinghie il casco da bici. «Mi sto idratando».
«Come una rana?»
«Non devi essere per forza una rana per assorbire l'acqua con la pelle».
«Vieni sotto l'ombrello».
Jess aveva una teoria su tutto ma le sue idee cambiavano di giorno in giorno. Era difficile per Emily ricordare se sua sorella fosse principalmente femminista o ambientalista, vegana o vegetariana.»
«Tutta colpa di Terry. lui il mio sassolino nella scarpa. E se proprio devo essere sincero, è per togliermelo che ho deciso di cacciarmi in questo casino, cioè di raccontare la vera storia della mia vita dissipata. Fra l'altro mettendomi a scribacchiare un libro alla mia veneranda età violo un giuramento solenne, ma non posso non farlo. Non posso lasciare senza risposta le volgari insinuazioni che nella sua imminente autobiografia Terry McIver avanza su di me, le mie tre mogli (o come dice lui la troika di Barney Panofsky), la natura della mia amicizia con Boogie e, ovviamente, lo scandalo che mi porterò fin nella tomba.»
«Avrebbero dovuto rimanere al mare una settimana, ma nessuno dei due se l’era sentita, per cui avevano deciso di tornare prima. Macon guidava. Sarah stava seduta al suo fianco, con la testa appoggiata al finestrino. Attraverso il groviglio dei suoi ricci bruni comparivano scaglie di cielo rannuvolato.
Macon indossava un completo estivo, il suo abito da viaggio, molto più logico, per viaggiare, secondo lui, che non i jeans, che erano pieni di cuciture rigide e duire, oltre che di ribattini. Sarah indossava una vestaglia da spiaggia in spugna. Avrebbero potuto essere di ritorno da due viaggi completamente diversi. Sarah era abbronzata, suo marito no. Macon era un uomo alto, pallido, dagli occhi grigi, con i capelli biondi e diritti tagliati cortissimi, e con una pelle di quelle che si scottano con facilità. Durante la parte mediana della giornata si era costantemente tenuto alla larga dal sole.»
«Berlin, a word that chimes in your chest like a bell. Berlin, a place so bright it pulls down the stars and wears them around its neck. Berlin, a city built on the scattered sand of circuses and the scuffed floorboards of theatre spectaculars. Roll up, roll up to see the living photographs. Max Skladanowsky and his brother Eugen, still wearing black around their eyes, out of habit rather than necessity, present their electromechanical effects. The spectacle of the year, the highlight of 1895, guaranteed.
The houselights dim, and the air is filled with the sour taste of hot celluloid and blue smoke from a hundred burning cigarettes. A blonde girls looms up suddenly on a white sheet. She laughs, a flickery shiver on the taut cotton; she seems to speak but her voice is mute, until, quite unexpectedly a black patch appears where her heart should be and she disappears into the burning hole in seconds.»
«Dalla mia finestra, la strada ampia, solenne, massiccia. Nei seminterrati, negozi dove i lumi ardono da mattina a sera, sotto l'ombra di pesanti balconi; palazzi dall'intonaco sporco con le facciate coperte di fregi e di emblemi araldici. Tutto il quartiere è così: strada dopo strada, case come squallide, monumentali casseforti stipate di argenteria annerita e mobili di seconda mano di una borghesia in rovina.
Io sono una macchina fotografica con l'obiettivo aperto, completamente passiva, che registra e non pensa. Registro l'uomo che si fa la barba alla finestra dirimpetto e la donna in kimono che si lava i capelli. Un giorno tutto questo andrà sviluppato, stampato con cura, fissato.
Alle otto di sera i portoni sono serrati. I bambini stanno cenando.»
«Dalle stanze del palazzo non arrivano rumori. L’alito del Bosforo e il canto del muezzin accompagnano i viventi dentro la sera, verso una parvenza di quiete. Oltre le finestre aperte, il cielo è un incendio di porpora e oro. Barche di pescatori si staccano dall’Asia e fluttuano sulla corrente di miele.
Un pensiero cattura Gracia: i più grandi artisti del mondo – e ne ha conosciuti molti, quand’era in Europa – possono soltanto imitare la bellezza che ci ha dato il Signore; mai potranno eguagliare tanta meraviglia.
Ha alzato la penna dalla carta, ora tiene la mano a mezz’aria. Ha gli occhi chiusi e ascolta il canto. Allo spegnersi dell’ultima nota, sigla e sigilla la lettera, infine si rilascia contro lo schienale.
Dana la guarda, osserva lo scrittoio. Le lettere già sigillate, e quelle che attendono risposta. Sa che la Senyora è spossata. Non potrà passare la serata a scrivere, come fino a poco tempo fa. Le forze la abbandonano, e c’è ancora così tanto da fare. Tutti la interpellano, da una parte all’altra del Mediterraneo e dell’Europa. Esuli in fuga, ebrei perseguitati, mercanti sefarditi, rabbini ashkenazim.
– Aiutami, – dice Gracia. – Voglio alzarmi.
Dana la ammonisce: – Non dovreste stare in piedi, mia Senyora. Non dovreste nemmeno stare allo scrittoio. Dovreste riposare. Dana lo sa, è la sua parte in commedia e la recita ogni sera. Donna Gracia ripeterà il comando, la cameriera obbedirà, la Senyora le metterà un braccio intorno alle spalle e farà qualche passo nella stanza, accogliendo con serenità lo scricchiolio delle giunture.
Lo specchio alla parete è coperto da un drappo verde. Da tempo Gracia ha abbandonato sfarzo e ostentazioni, ha rinunciato a rimirarsi, ma stasera scosta il drappo e guarda la propria immagine. Negli ultimi anni ha trascurato se stessa. Del suo corpo si prende cura Dana ogni mattina, con la massima attenzione.
Ha cinquantanove anni e sulla lastra vede il viso di una vecchia.
Rughe ai lati degli occhi e della bocca, la pelle del collo rilassata e cadente, il naso affilato, i capelli d’argento opaco. Scruta le pieghe del viso, cerca la bambina che una notte ricevette un nome segreto, e il giorno dopo un battesimo cristiano per proteggerla dall’Inquisizione.
Beatriz de Luna Miquez.»
«Era l'anno 1939, il nono giorno dell'ottavo mese del calendario lunare. Quel bandito di mio padre aveva poco più di quattordici anni.
Stava andando con il drappello del Comandante Yu Zhanªao, la cui fama di eroe leggendario si sarebbe diffusa poi in tutto il Paese, sulla strada Jiao-Ping a tendere un'imboscata a un convoglio giapponese. Mia nonna, con una giacca imbottita gettata sulle spalle, li aveva accompagnati al limite estremo del villaggio. Il Comandante Yu le aveva detto: - Non seguirci oltre - e la nonna si era fermata.
- Douguan, obbedisci al tuo padre adottivo - aveva detto lei rivolgendosi a mio padre. Mio padre non fiatò; guardò l'imponente figura della nonna e respirò il profumo caldo del corpo che proveniva da sotto la giacca. A un tratto avvertì un freddo pungente, fu scosso da un brivido, e il suo stomaco si mise a brontolare.
Il Comandante Yu gli diede un buffetto sul capo dicendo: - Andiamo, figlio adottivo.
Il cielo e la terra si confondevano, il paesaggio appariva indistinto. In lontananza si udiva lo scalpiccio dei passi dei soldati. Una cortina di nebbia bluastra era calata davanti agli occhi di mio padre, impedendogli la vista: riusciva a udire solo il rumore dei passi della truppa, senza poter scorgere i corpi degli uomini o le loro sagome. Si muoveva veloce tenendosi stretto alle vesti del Comandante Yu. La nonna si allontanava sempre di più come fosse una spiaggia, e la nebbia, come l'acqua del mare, si levava turbolenta man mano che si addentravano. Mio padre si aggrappava al Comandante Yu come al bordo di una barca.
Fu così che mio padre corse verso la tomba in pietra nera e senza nome che gli appartiene e sovrasta i campi di sorgo rosso del suo paese natale.»
«Bisognerebbe vivere a posteriori. Decidiamo tutto troppo presto. Non avrei mai dovuto invitare quel tizio a cena. Una resa affrettata, dalle conseguenze disastrose. È vero che la pressione era fortissima. Tutta la tribù si era accanita a convincermi, ognuno nel proprio registro, una potenza di fuoco spaventosa:
«Come sarebbe?» sbraitava Jérémy, «Thérèse è innamorata e tu non vuoi vedere il suo tipo?»
«Non ho mai detto questo.»
Subentrava Louna:
«Thérèse trova un signore che si interessa a lei, fenomeno altrettanto improbabile di un tulipano su Marte, e a te non frega niente?»
«Non ho detto che non me ne fregava niente.»
«Nemmeno un briciolo di curiosità, Benjamin?»»
«There is one mirror in my house. It is behind a sliding panel in the hallway upstairs. Our faction allows me to stand in front of it on the second day of every third month. The day my mother cuts my hair.
I sit on the stool and my mother stands behind me with the scissors, trimming. The strands fall on the floor in a dull,blond ring.
When she finishes, she pulls the hair away from my face and twists it into a knot. I notice how calm she looks and how focused she is. She is well-practised in the art of losing herself. I can't say the same thing of myself.»
«A somiglianza di una celebre definizione che fa dell'universo kantiano una catena di causalità sospesa a un atto di libertà, si potrebbe" dice il maggior critico italiano dei nostri anni "riassumere l'universo pirandelliano come un diuturno servaggio in un mondo senza musica, sospeso ad un'infinita possibilità musicale: all'intatta e appagata musica dell'uomo solo".
Credevo di aver percorso, à rebours, tutta la catena di causalità, e di essere riapprodato, uomo solo, all'infinita possibilità musicale di certi momenti dell'infanzia, dell'adolescenza: quando nell'estate, in campagna, lungamente mi appartavo in un luogo che mi fingevo remoto e inaccessibile, di alberi e d'acqua; e tutta la vita, il breve passato e il lunghissimo avvenire, musicalmente si fondevano, e infinitamente, alla libertà del presente.»
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