L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
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«Molte ragazze davvero belle hanno dei piedi davvero brutti, e Mindy Metalman non fa eccezione, pensa Lenore, all’improvviso. Sono piatti e lunghi, con le dita strombate e i mignoli afflitti da bottoni di una callosità giallognola che riappare a mo’ di battiscopa lungo i calcagni, e sul dosso dei piedi sbucano peluzzi neri arricciati, e lo smalto rosso è screpolato e si scrosta a boccoli per quant’è vecchio, mostrando qua e là striature bianchicce. Lenore se ne accorge solo perché Mindy si è chinata in avanti sulla sedia accanto al minifrigo per staccare dalle unghie dei piedi appunto un paio di fiocchi di smalto; i lembi dell’accappatoio si dischiudono su un generoso scorcio di scollatura, decisamente piú sostanziosa di quella di Lenore, e lo spesso asciugamano bianco che cinge la chioma zuppa e shampizzata di Mindy si è allentato e una ciocca di capelli scuri è sgusciata tra le pieghe e scende leggiadra incorniciandole la guancia fin sul mento. Nella stanza c’è odore di shampoo Flex, ma anche di canne, poiché Clarice e Sue Shaw si stanno facendo uno spino bello grosso che Lenore ha ricevuto in dono da Ed Creamer alla Shaker School e ha portato qui al college insieme ad altra roba per Clarice.
Il fatto è che Lenore Beadsman, che ha quindici anni, è appena arrivata da casa dei suoi a Shaker Heights, Ohio, a due passi da Cleveland, per far visita alla sorella maggiore, Clarice Beadsman, che è matricola qui al college femminile Mount Holyoke; Lenore, dunque, con annesso sacco a pelo, si trova in una stanza al secondo piano del dormitorio della Rumpus Hall, cioè dove Clarice alloggia con le compagne di corso Mindy Metalman e Sue Shaw. In effetti Lenore sarebbe venuta anche per dare tipo un’occhiata al college. Infatti, benché abbia ancora soltanto quindici anni, è ritenuta molto intelligente e quindi avanti rispetto alle altre, tant’è che è già all’ultimo anno di Shaker School e appunto comincia a pensare al college da scegliere per l’anno prossimo. Perciò è venuta in visita. Siamo in marzo, ed è venerdí sera.»
«Sulla fine di novembre, verso le nove del mattino, il treno di Varsavia arrivava a tutto vapore a Pietroburgo e trovava un tempo umido e freddo. La nebbia era così fitta che il sole dell'alba faceva luce a stento: a destra e a sinistra, guardando fuori dai finestrini del vagone, era difficile distinguere qualcosa.
Fra i passeggeri, alcuni stavano rimpatriando; ma erano soprattutto piene le carrozze di terza classe, e la povera gente che le occupava non veniva da molto lontano. Tutti, come sempre accade, erano stanchi, gli occhi pesanti, le membra intirizzite, le facce ingiallite dalla fatica e dalla nebbia.»
«Il ragazzo dai capelli biondi si calò giù per l'ultimo tratto di roccia e cominciò a farsi strada verso la laguna. Benché si fosse tolto la maglia della scuola, che ora gli penzolava da una mano, la camicia grigia gli stava appiccicata addosso, e i capelli gli erano come incollati sulla fronte. Tutt'intorno a lui il lungo solco scavato nella giungla era un bagno a vapore. Procedeva a fatica tra le piante rampicanti e i tronchi spezzati, quando un uccello, una visione di rosso e di giallo, gli saettò davanti con un grido da strega e un altro grido gli fece eco : "Ohè! Aspetta un po'!"»
«Non c’erano più leoni. C’erano stati, un tempo. Talvolta, nel barbaglio del sole cocente sulle pianure, il guizzo della loro corsa balenava ancora nel vento arido –fulvo, grande, un attimo e via. Talvolta la luna color miele rabbrividiva al silenzio di un ruggito fantasma su un alito di brezza.
Non c’erano più cocchi. I cocchi, privi del vento e senza più strade nella notte, dormivano con le loro alte ruote ammutolite nella tomba dell’ultimo re.
Le rovine del palazzo del re erano state dissepolte. C’era un reticolato metallico tutt’intorno alla cittadella dov’erano tornati alla luce gli edifici del palazzo, i cortili, i templi e le tombe. Vicino ai cancelli c’erano un negozietto di souvenir e un chiosco di bibite.
Le colonne e le travi del tetto, cadute e scavate dalle termiti, erano state etichettate e trasportate altrove.
Gli sciacalli in cerca di preda non si aggiravano più tra quei ruderi. Nel luogo in cui i serpenti e le lucertole si erano crogiolati al sole, la luce del giorno penetrava dai lucernari del nuovo edificio che racchiudeva la grande sala dove era scolpita nella pietra la caccia del re.
Le figure dei cavalli e degli uomini, dei cocchi e dei leoni, erano macchiate dalle intemperie, erose dalla pioggia, butterate e scalfite dalla polvere che le aveva sferzate quando ululava il vento arido. Adesso nuovi muri le circondavano, un nuovo tetto le copriva. La temperatura era controllata da un termostato. Un condizionatore d’aria faceva ronzare il silenzio.»
«Come sono contento di essere partito! Amico mio carissimo, che cos'è mai il cuore dell'uomo! Aver abbandonato te, che amo tanto, dal quale ero inseparabile, e sentirmi contento! Ma so che mi perdonerai. Tutte le altre relazioni non parevano scelte apposta dal destino per angosciare un cuore come il mio? Povera Eleonora! Eppure io ero innocente. Che cosa potevo fare io se, mentre le grazie capricciose di sua sorella mi procuravano piacevole passatempo, la passione andava accendendosi nel suo cuore? Eppure... sono proprio innocente? Non sono stato io ad alimentare i suoi sentimenti? Non ero io a deliziarmi delle ingenue espressioni della sua natura, che spesso ci facevano ridere, quantunque fossero così poco risibili? Non ero io... Oh, che cos'è mai l'uomo, che può rammaricarsi di se stesso! Te lo prometto, io voglio, mio caro amico, correggermi, non voglio più ruminare come ho fatto finora quel po' di male che il destino mi ha mandato; voglio godere il presente, e il passato sia il passato. Certo, tu hai ragione, mio caro: minori sarebbero i dolori fra gli uomini se essi - e Dio sa perché son fatti così - non lavorassero tanto di fantasia per richiamare alla memoria i mali passati e sopportassero un tollerabile presente.»
«L’uomo è stato ricco, ha avuto successo e potere. Ha ucciso e fatto uccidere, a volte soltanto per il proprio piacere. Ora ha le mani legate e dietro gli occhi un fiume di dolore. La corda che gli stringe i polsi non lo solleva completamente, ma lo obbliga a poggiare per terra la sola punta dei piedi. Il dolore è bianco e liquido, e nelle ultime ore è andato e tornato molte volte. L’uomo scalcia e trema, poi torna a reclinare il capo, quando l’onda bianca lo abbandona. Nella grande sala, simile a un anfiteatro, il buio è quasi totale. L’unica lampada è puntata verso di lui. Di fronte, nel confine indefinito tra il buio e la luce, la sagoma dell’essere che lo ha costretto alla prigionia. L’essere ha in mano una telecamera accesa.
«Sei pronto, Sigurd? Questa volta lo dovrai dire per bene. Se ti interrompi, o se piangi di nuovo, dovrò farti ancora male.»»
«La famiglia Dashwood aveva abitato nel Sussex per molto tempo. La proprietà era ampia e la loro residenza era a Norland Park, al centro dei loro possedimenti, nei quali per molte generazioni avevano vissuto in modo rispettabile, così da ottenere la stima generale di tutta la buona società nelle vicinanze.
L'ultimo padrone di questa proprietà era uno scapolo, che visse fino ad età molto avanzata e che per molti anni della sua vita ebbe una sorella come compagna costante e pilastro della vita domestica. Ma la morte di costei, che precedette la sua di dieci anni, procurò notevoli cambiamenti nella casa, poiché per ovviare alla perdita, egli invitò e accolse nella sua dimora la famiglia di un nipote, il signor Henry Dashwood, erede legittimo del fondo di Norland, e colui al quale intendeva lasciare i suoi beni in eredità.
In compagnia del nipote, di sua moglie e dei loro figli, le giornate dell'anziano gentiluomo passarono piacevolmente. Il suo attaccamento a tutti loro crebbe. Le costanti attenzioni dei coniugi Dashwood per le sue inclinazioni, che non nascevano soltanto dall'interesse ma anche da bontà d'animo, gli concedevano ogni concreto conforto che la sua età potesse ricevere e l'allegria dei bambini rendeva più apprezzabile la sua esistenza.»
«Mi viene sempre la tremarella prima del lancio. Mi hanno fatto l'iniezione, naturalmente, e la preparazione ipnotica, so benissimo che in realtà non ho paura. Lo psicoanalista della nave, che mi ha controllato le onde del cervello e fatto un sacco di domande mentre ero addormentato, mi assicura che non si tratta di paura, che è una cosa senza importanza, un po' come il tremito di un cavallo da corsa che scalpita prima dell'inizio della gara.
Sarà. Non sono mai stato un cavallo da corsa, quindi non mi pronuncio. So una cosa sola: che tutte le volte, immancabilmente, è la stessa storia.»
«The buzz in the street was like the humming of flies. Photographers stood massed behind barriers patrolled by police, their long-snouted cameras poised, their breath rising like steam. Snow fell steadly onto hats and shoulders;golved fingers wiped lenses clear. From time to time there came outbreaks of desultory clocking, as the watchers filled the waiting time by snapping the white canvas tent in the middleof the road, the entrance to the tall red-brick apartment block behibd it, and the balcony on the top floor from which the body had fallen.»
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