Non c'è niente di peggio, per uno scrittore, di suscitare polemiche e far parlare di sé per tutto meno che per il contenuto dei suoi libri. E' una amara lezione che molti scrittori hanno presto o tardi imparato: tra le ultime arrivate, si piazza J.K. Rowling e il suo recente caso di coming out da pseudonimo letterario. Un caso che mi è parso ottima occasione per un articolo - opinione non richiesta sul fenomeno degli pseudonimi letterari. O, per meglio dire, su un particolare uso degli stessi.
Da sempre gli scrittori, per innumerevoli e ragionevoli motivazioni, ricorrono con facilità agli pseudonimi letterari. Necessità di protezione: evitare di "macchiare" il nome nobile della famiglia di appartenenza o celare la propria identità. Necessità di oltrepassare le barriere: quella sociale, con un nome altolocato, quella sessuale (come le sorelle Bronte, che inizialmente hanno adottato nomi maschili), quella linguistica (come il polacco Jozef Kondrad Korzienowski, che s'inventò un Joseph Conrad più congeniale ai britannici). C'è chi preferisce tenere le carriere separate: come il matematico Charles Lutwidge Dodgson che firmava i suoi libri per bambini con il nome di Lewis Carroll. O persino chi muta il nome per tracciare distinzioni tra i diversi generi (come Agatha Christie che si trasformava in Mary Westmacott, scrittrice di romanzi rosa). Per finire con le logiche di mercato: autori come T.S. Eliot, D.H. Lawrence, ma anche J.R.R. Tolkien e da ultimo George R.R. Martin devono certamente una parte del loro successo al fascino delle lettere puntate. Fascino che si aggiunge al beneficio del dubbio nel caso di scrittrici come J.K. Rowling o P.D. James che, venendo incontro alle logiche di un mercato editoriale che premia gli uomini, celano il proprio genere.
Se aumentiamo la focalizzazione e ci concentriamo sulla seconda metà del Novecento e sulla narrativa contemporanea, vediamo come il fenomeno muti, assumendo connotazioni sempre più polemiche, di protesta.
Se è vero che genere sessuale e posizione sociale non sono più un problema, gli scrittori sono abilissimi a crearsi nuove barriere e nuovi problemi. Un problema è effettivamente il peso dell'eccessivo successo, che spinge molti scrittori a tentare vie alternative sotto pseudonimo. Celeberrimo il caso di Stephen King, che tra gli anni Settanta e Ottanta ha firmato diversi romanzi come Richard Bachman.
Stephen King |
Nell'operazione di King burla, gioco e invenzione letteraria s'erano intrecciate alla polemica contro i pregiudizi delle case editrici. Quest'ultimo aspetto in poco tempo diviene predominante nel ricorso allo pseudonimo: così è in casi più recenti e anche più noti e sorprendenti.
In Francia ha fatto scalpore il caso di Romain Gary (già pseudonimo), unico scrittore a vincere due volte, contro il regolamento, il prestigioso Premio Goncourt, partecipando con un romanzo firmato con un altro pseudonimo ancora.
Polemica voluta dall'autrice, invece, nel caso di Doris Lessing, Premio Nobel 2007: quando era già famosa, mandò un manoscritto a una casa editrice sotto falso nome, ma venne scartato. La Lessing a quel punto scoprì le carte e puntò il dito contro l'ipocrisia delle case editrici.
Ultima arrivata, la Rowling. Una scrittrice che, al netto dei quattrini guadagnati con la fortunata serie di Harry Potter, fa parlare di sé anche quando non vorrebbe e mostra già insofferenza per l'ossessione mediatica cui è sottoposta - in effetti, mancano solo le recensioni alla sua lista della spesa.
J.K. Rowling |
Queste esperienze chiamano una prima riflessione. La domanda che sorge spontanea a conclusione del caso Rowling è sempre la stessa: chi ci ha rimesso in immagine, la Rowling o le case editrici? Le limitate vendite di The Cuckoo's Calling sono una pessima figura per la Rowling, sintomo di una sua capacità letteraria che ora si scopre infima, o per critici e lettori che hanno snobbato un romanzo di genere non riconoscendo il marchio della Rowling? Difficile rispondere, difficile scegliere una delle due posizioni: se la prima pare semplicistica e approssimativa, la seconda è poco realistica. La verità è che - come ha voluto dimostrare l'autrice stessa - il nome vende più del libro, e il ricorso allo pseudonimo oggi è forte come in passato.
Ultimamente si è andati oltre ogni limite immaginabile, portando all'eccesso esperienze come quella di Stephen King: lo pseudonimo da alter ego diventa individuo vero e proprio.
Uno dei casi più celebri che ha aperto il nuovo millennio è senz'altro quello di J.T. Leroy. Autore di due romanzi autobiografici (Sarah e Ingannevole è il cuore più di ogni cosa), si presenta come un giovane poco più che ventenne, sopravvissuto a una vita di abusi e prostituzione. Jeremiah ha un aspetto androgino, compare saltuariamente in pubblico ma è attivo nel web, con un blog seguitissimo.
La sua storia è subito diventata un caso mondiale, andando ben oltre il comparto letterario, finendo con l'attirare l'attenzione e la solidarietà di star del cinema, di scrittori che l'hanno preso sotto la loro ala protettiva (a cominciare da Dennis Cooper, scopritore del giovanissimo Jeremiah), persino del mondo della musica (il gruppo Garbage ha composto la canzone Cherry Lips in suo onore).
Laura Albert / Savann Knoop "J.T. Leroy" |
Esperienza tutta italiana, e con conseguenze ben diverse, quella di Lara Manni. Sebbene sia fortissima la tentazione di ignorare questa disastrosa esperienza editoriale italiana, il caso Lara Manni ha il pregio di presentarsi come sintesi perversa delle nuove manifestazioni dello pseudonimo letterario.
Loredana Lipperini |
Cerchiamo di tirare le somme. Perché - si potrebbe obiettare, in una semplicistica lettura di questo articolo - King è un genio, Laura Albert una pazza (ma comunque geniale), la Rowling una vittima e la Lipperini sarebbe da considerarsi ipocrita? A domanda banale e semplicistica, risposta altrettanto semplicistica: King ha avuto successo e ha reinventato lo pseudonimo letterario, facendone addirittura un personaggio dei suoi romanzi; la Albert ha commesso un reato ma commosso un mondo intero, mostrandone il doppio volto; la Rowling sta scoprendo i suoi limiti e il peso del suo nome; la Lipperini ha preso in giro i suoi lettori e ancora si ostina a non rivelarsi. Ma soprattutto: mentre King e la Rowling (quello della Albert è un caso differente) hanno tentato, scommesso su se stessi e pubblicato i romanzi sotto pseudonimi con case editrici differenti, con tutti i rischi annessi, la Lipperini e la Manni condividono clamorosamente agente ed editore (almeno per il primo libro della trilogia).
Concedetemi la conclusione pessimista: in ciò, il caso Lara Manni ha dimostrato come il sempiterno malcostume italiano, in barba al tanto sbandierato merito, stia facendo marcire anche il mondo editoriale. Più delle azioni di Lara Manni e Loredana Lipperini parlano le reazioni di fan e detrattori, che hanno sistematicamente impedito una risoluzione del caso, ma soprattutto inquinato di ipocrisia il rapporto tra scrittore e lettore. Così, quello stesso pseudonimo letterario, che in& mano a King e a Laura Albert è diventato motore di nuove creazioni letterarie, in Lara Manni è degenerato come moltiplicazione esponenziale di un'ipocrisia della quale siamo tutti intossicati e sempre più incapaci paradossalmente a fare a meno.
1500 copie in tre mesi non è affatto un flop per un autore esordiente, anzi! Poi è ovvio che con il nome J.K. Rowling le vendite schizzino alle stelle.
Leggendo l'articolo ho pensato a Faletti, che inizialmente avrebbe dovuto pubblicare "Io uccido" con uno pseudonimo, ma che poi ha rischiato col suo nome. Forse così gli è andata anche meglio che con lo pseudonimo...
Py mi rubi le parole di bocca :) Del resto Harry Potter e la pietra filosofale fu all'inizio stampato in sole 500 copie, procedura standard per un esordiente.
Per quel che vale appena letta la notizia sul corriere sono andata in cerca di opinioni di lettori (prima che si sapesse chi fosse l'autrice, ovviamente)ed erano piuttosto buone.
Comunque lo sto leggendo, vi farò sapere :)
Io e i numeri non andiamo d'accordo, in nessun campo, quindi non so esattamente come valutare le 1500 copie, mi sono limitato a registrare la sensazione più largamente diffusa. E' ovvio che viene facile parlare di flop a posteriori, poi, sapendo cioè che dietro Galbratth si nasconda la Rowling.
Discorso diverso per i commenti, che ho abbondantemente spulciato. In quel caso si legge frequentamente "non sembra la scrittura di un esordiente!". Guarda caso!
Quello della Rowling rimane comunque un profilo completamente diverso da quello della Lipperini/Manni. Ed è quantomeno singolare che in terra italica si leggono commenti secondo i quali la Rowling, con questa operazione, sia caduta in basso, mentre per difendere la Lipperini si è tirato giù di tutto e di più.
Come sempre in Italia anche i numeri sono soggettivi, l'articolo sul Corriere cartaceo che svelava l'identità della Rowling parlava di un buon successo per un esordiente. Certo non ha avuto l'exploit di Harry Potter ma alla fine è stato pubblicato solo ad aprile e se il termine di paragone rimane sempre il maghetto allora temo sarà sempre tutto un flop.
Se poi vogliamo pensare che i buoni commenti online "pre-scoop" siano stati scritti da gente al soldo della Rowling o della CE che fingeva di non sapere chi fosse il vero autore liberissimi di farlo, io voglio ancora dare il beneficio del dubbio, anche perchè non sono tutti commenti a 5 stelle in cui si dice senza ombra di dubbio che il libro è un capolavoro.
La frase "non sembra scritto da un esordiente" l'ho letta a proposito di diversi esordienti, così su due piedi mi vengono in mente Paolini e Safran Foer.
se il termine di paragone rimane sempre il maghetto allora temo sarà sempre tutto un flop
Già. Sarò ingenua, ma a me sembra che la Rowling fosse sinceramente intenzionata a mantenere l'anonimato e a mettersi alla prova, almeno per ora. Certo, prima o poi qualcuno avrebbe fatto lo scoop ma dalle interviste rilasciate sembra sinceramente seccata che la cosa sia uscita allo scoperto così presto.
Per il caso Lipperini Manni, di cui so solo quello scritto su Anobii, non trovo tanto sorprendente che la Lipperini per scrivere Fantasy si sia creata un alter ego (mi immagino i commenti, anche che l'alto profilo che ha per i suoi interventi relativi all'uso dell'immagine femminile) quanto che abbia portato la finzione così all'estremo. Cioè, ci ha messo davvero tanto ma tanto impegno e lavoro. Io avrei mantenuto, prudentemente, ben più basso profilo.
Io credo che la "perversione" (intesa come comportamento macchinoso e contorto) stia proprio qui: non nel creare uno pseudonimo - perché chiunque potrebbe averne bisogno, per i motivi più validi - ma nel gonfiarlo a dismisura, intrattenendo rapporti virtuali a tutto tondo (blog, forum, siti) con persone che ti credono qualcuno di diverso.
Oltre al mantenere un basso profilo, sarebbe stato più trasparente scrivere nella bio dei romanzi: "Lara Manni è uno pseudonimo". Presentarla come una trentenne molto riservata scoperta su EFP è già di per sé un inganno: maliziosamente si potrebbe pensare che tale figura sia stata montata ad arte per assicurarsi le simpatie delle giovani lettrici (e scrittrici di fanfiction) affascinate dal modo in cui emersa e speranzose di emularlo. Ma sono solo supposizioni, che potrebbero facilmente essere smentite da una dichiarazione di colpevolezza che - ahimè - fino a oggi manca.
Non si tratta solo di "perversione" di qualcuno che gioca con doppie triple e quadruple personalità, ma di un intero sistema retto sul doppiafaccia, sulle azioni subdole: un'autentica manipolazione che avrebbe molti requisiti per essere dichiarata truffa.
L'ostinato silenzio della Manni (fatta sparire dal web) e l'ostinata reticenza della Lipperini hanno condotto a una guerra in cui si è contro di lei o con lei, senza metti termini. In questo sta il vero gioco perverso: nella trasfigurazione della vasta comunità di lettori virtuali in lecchini o haters.
La verità poi, smentite o non smentite, è evidente e sotto gli occhi di tutti. Siamo davvero un paese orwelliano dominato dal bipensiero: Lara Manni è Loredana Lipperini come Ruby non è la nipote di Mubarak.