Recensione
Ho scelto di leggere Per ironia della morte principalmente per la sua ambientazione in terracqua veneziana, curiosa di vedere una città che amo particolarmente attraverso occhi estranei: in questo non sono stata delusa, anzi, direi quasi piacevolmente sorpresa di trovarmi alle prese con un autore che Venezia sembra conoscerla talmente bene da permettere al lettore che ne sia pratico di orientarsi nei percorsi descritti.Altro punto a favore del romanzo sono le metafore particolari e dirette - talvolta anche troppo dirette, e poi mi spiegherò meglio - che fanno riferimento anche a fatti e personaggi italianissimi e che talvolta strappano un sorriso: come quella riguardante l'intero cast di "Non è la Rai", che forse i lettori più giovani potrebbero non cogliere. Da lettrice di - ahimè troppo spesso - autori stranieri tradotti, non posso che apprezzare questa freschezza tipica della nostra lingua.
Passo purtroppo ai "ni", primo tra tutti il protagonista, che già dal nome ho vissuto come un sasso nella scarpa: tale Vergy, ex militare in Africa con serie turbe psichiche e una passione sfrenata per turpiloquio e prese in giro pesanti, nonché facile alle mani (e ai piedi e a tutto il resto che possa arrecare offesa fisica). Personaggio insolito davvero, o lo si ama o lo si odia. Sicuramente si pregherà di non incontrarlo mai, sia per la sua educazione da basso fondo, sia per la sua schiettezza esagerata al negativo, sia per la sua irascibilità imprevedibile. Parla come uno scaricatore di porto eppure è capace di citare Borges o esigere concinnitas, il che rende molto curiosi di leggere il suo curriculum - ma non chiedeteglielo, per carità, o farà correre il vostro derrière a suon di pedate, se va bene. Ho trovato difficile farmelo simpatico per la sua mania a cacciarsi nei guai, infilati uno dietro l'altro come una collana di perle: neanche a metà romanzo già non ne potevo più.
Altrettanto poco convincenti sono Dongo e i suoi tirapiedi: il primo millanta di avere nobili ascendenze e di contare parecchio a Venezia e non solo, borioso e pieno di sé; Anteo e Viola invece sembrano usciti entrambi da un fumetto, caratteristici quanto inconsistenti. Quello che Dongo fa e organizza non ha motivo plausibile, non viene spiegato né a parole né dai fatti, lasciando così dei fili pendenti poco piacevoli.
Già ho accennato al linguaggio non proprio rose e fiori di Vergy, che poi è come dire quello del romanzo intero, dato che per la maggior parte è narrato dal punto di vista del protagonista: il paradiso del turpiloquio, il porto franco delle sconcezze, l'oasi della bestemmia (solo accennata, mai scritta, tengo a precisare). Non mi scandalizzo per poco e certamente non lo sono per questo romanzo, ma un certo fastidio l'ho provato. Buona la prima, interessante la seconda, ma ripeti e ripeti il gioco stanca. De gustibus: un Vergy che parla come un'educanda non sarebbe stato possibile, quindi a questo proposito siamo proprio nella sfera del personale.
E dunque i "no": non mi è piaciuta la trama, ininterrotta sequela di episodi violenti tenuti insieme unicamente dal protagonista e che potrebbero riassumersi in "epopea della sfiga (cercata)". Vergy sembra essere capace solamente di cacciarsi nei guai, non riesce proprio ad evitarlo, e puntualmente coinvolge chi gli sta vicino in una rissa a base di sangue e ossa rotte. Le volte in cui non è lui la causa scatenante della violenza si contano sulle dita di una mano e anche per questo dopo un po' il gioco mi ha stancato. Manca un fulcro che dia ragione agli avvenimenti: una volta c'è una missione da compiere, un'altra una vendetta, un'altra ancora un patto da rispettare, ma nessun episodio dà ragione agli altri di essere. Solo Dongo parrebbe pretendere di fare da polo magnetico, ma anche lui irrompe nella trama per puro caso e la sua presenza prosegue per puro capriccio. Quando finalmente pare essere arrivata la resa dei conti, ci si accorge che mancano ancora venti pagine prima della fine: così è un po' tutto il romanzo, tirato per le lunghe in modo stucchevole e ridondante. A un certo punto mi sono trovata a fare il tifo per gli avversari di Vergy.
Il mio giudizio non è del tutto positivo: il linguaggio scorrevole e diretto che mette ironia in ogni situazione viene appesantito dalla sequela di risse e violenze che tirerebbero a cimento anche la pazienza di Giobbe. Quello che ha le potenzialità di un romanzo di azione vivace e sicuramente non convenzionale diventa un'impresa.
Giudizio:
+2stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Per ironia della morte
- Autore: Claudio Vergnani
- Editore: Nero Press
- Data di Pubblicazione: 2013
- Collana: Intrighi
- ISBN-13: 9788890725906
- Pagine: 362
- Formato - Prezzo: Brossura - 15,00 Euro
carissima stamberga , comprendo il suo punto di vista ma non lo condivido...il motto de gustibus potrebbe troncare ogni discussione e altrettanto vale per il "non ho certo la pretesa di far cambiare idea a nessuno " ...quindi è inutile che mi rivolga a te che ai già detto la tua ...mi sento tuttavia in dovere di puntualizzare una cosa per chi legga la di sopra recensione , e cioè il libro di vergnani è qualcosa di diverso dai soliti pulp o romanzi di genere violento spaltter ...la forza del libro è proprio nelle sue pretese o presunte debolezze ...non dovete porvi il problema della credibilità , e nemmeno quello di come si sviluppi la trama che non potrebbe essere più improvvisata e anche forzata ...ciò che muove il personaggio in effetti rasenta l'assurdo , le sue pulsioni violente i suoi sentimenti spropositati il suo perenne sberleffo le sue folli mangiate e bevuto sono dall'inizio un non senso ...eppure questo personaggio vive perchè la carica ironica che lo regge è la scarica di repulsione che il tipo di mondo in cui è calato ispira a molti ...questo è ciò che lo rende godibile ad una certa parte di noi ...non a tutti si intende , per amarlo occorre una certa sensibilità una certa capaità di non porsi almeno sulla carta alcun freno e di lasciare che il paradossale il grottesco l'assurdo e si sfoghino e si sublimino tramite il vergy in una selvaggia e liberatoria risata...