L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
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«Nathalie era piuttosto riservata, di una femminilità quasi svizzera. Aveva attraversato l'adolescenza senza contrasti, rispettando le strisce pedonali, e a vent'anni il futuro le appariva carico di promesse. Le piaceva ridere e le piaceva leggere ma raramente le due cose avvenivano insieme, data la sua predilezione per le storie tristi. Aveva deciso di studiare economia perché trovava la propensione alla letteratura non abbastanza concreta per i suoi gusti. Nonostante la sua aria sognante lasciava poco spazio all'approssimazione. Passava ore ad analizzare le curve dell'andamento del PIL in Estonia, con uno strano sorriso sul volto.
Raggiunta l'età adulta, le capitava talvolta di ripensare all'infanzia. Ma senza nostalgia, mai, il che era piuttosto strano per una Nathalie.»
«Un uomo camminava lentamente lungo la fila di case inondate dal sole. Era di statura media, con la schiena leggermente curva come sotto un greve peso, sebbene tutto il carico consistesse in una sacca di tela appesa a tracolla con una corda. I suoi abiti erano troppo pesanti per il mese di luglio e troppo malconci per qualunque mese dell’anno. Sudava abbondantemente e il sudore gli scendeva a rivoletti tortuosi lungo le guance per perdersi nella barba color ruggine lunga di una settimana.
Era la metà del pomeriggio e il villaggio se ne stava, riarso e senza vita, sotto il cielo. Le imposte erano ermeticamente chiuse sulle finestre strette e profondamente incassate.
Quella era la strada principale, dove i terreni scendevano verso la valle paludosa del fiumiciattolo giallo fango e imprevedibile chiamato Hamar.
Ogni tanto uno degli affamati magri bastardi dei contadini emetteva un latrato breve e rauco, un segno della sua vigilanza che non conteneva però né minaccia né astio. A parte questo, l’unico rumore era lo strascichio dei passi dell’uomo sul marciapiede cosparso di ghiaia.»
«Sarà dura, pensavano i parigini. Aria di primavera. Una notte di guerra, l'allarme. Ma la notte svanisce, la guerra è lontana. Quelli che non dormivano, i malati nei loro letti, le madri con un figlio al fronte, le donne innamorate con gli occhi sciupati dal pianto, sentivano il primo soffio della sirena, ancora solo un ansito profondo simile al sospiro che esce da un petto oppresso. In pochi istanti il cielo tutto si sarebbe riempito di clamori. Che venivano da lontano, dall'estrema linea dell'orizzonte -senza fretta si sarebbe detto. Quelli che dormivano sognavano il mare che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde, la tempesta di marzo che scuote la foresta, una mandria di buoi che galoppano pesanti facendo tremare il suolo con gli zoccoli; ma il sogno finiva e socchiudendo appena gli occhi gli uomini mormoravano: 'E' l'allarme?'»
«La macchina ce l'avevo, ma la maggior parte delle volte, in quell'autunno del 1973, me la feci a piedi da Joyland agli appartamenti sulla spiaggia della signora Shoplaw, a Heaven's Bay. Sembrava la soluzione migliore. L'unica, in effetti. Ai primi di settembre, Heaven's Beach era quasi completamente deserta, in perfetta sintonia con il mio umore. E' stato l'autunno più bello della mia vita; continuo a sostenerlo anche quarant'anni dopo. E, allo stesso tempo, non mi sono mai sentito così infelice. La gente pensa che il primo amore sia tanto dolce, e lo diventi ancora di più quando il legame si spezza. Conoscerete almeno un migliaio di canzoni pop e country sull'argomento, con qualche povero scemo dal cuore infranto. Ma quella prima ferita è la più dolorosa, la più lenta a guarire e lascia una cicatrice orribile. Che ci sarà di dolce...»
«Quando il mattino biondo oro di aprile destò Mary Hawley, ella si volse al marito e lo vide, coi mignoli in bocca le faceva le smorfie. «Scemo» disse. «Ethan, hai trovato l'estro comico.» «Senta, Topolina, mi vuol sposare?» «Ti sei svegliato scemo?» «Il buon dì si vede al mattino.»»
«La moglie di Molcho morì alle quattro del mattino, e con tutto se stesso Molcho si sforzò di individuare il momento preciso di quella morte così da inciderlo dentro di sé, perché lui voleva ricordare. Per settimane, perfino per mesi, dopo, quando ripensava a lei, gli pareva di essere davvero riuscito a fondere il momento del suo trapasso (se lo si poteva chiamar così: trapasso? Molcho era incerto) in una realtà chiara, piena di vitalità, non solo pensiero e sentimento, ma anche luci e voci, come il colore purpureo della stufetta, o quello verde e fosforescente delle cifre dell'orologio elettronico, o il fascio di luce gialla che fluiva dalla porta del bagno e creava grandi ombre nel corridoio, e forse anche la luce del cielo, una luce rosea o eburnea emanata dalla fitta tenebra.»
«Let the reader be introduced to Lady Carbury, upon whose character and doings much will depend of whatever interest these pages may have, as she sits at her writing-table in her own room in her own house in Welbeck Street. Lady Carbury spent many hours at her desk, and wrote many letters,—wrote also very much beside letters. She spoke of herself in these days as a woman devoted to Literature, always spelling the word with a big L. Something of the nature of her devotion may be learned by the perusal of three letters which on this morning she had written with a quickly running hand. Lady Carbury was rapid in everything, and in nothing more rapid than in the writing of letters.»
«La donna spinge il grosso carrello, procedendo rapida verso una meta conosciuta. Si muove risoluta, senza sforzo apparente, nonostante il fisico gracile e minuto. Scandisce ritmicamente passi marcati e sicuri, con le piccole gambe strette nei jeans aderentissimi, padroneggiando i tacchi a spillo senza oscillazioni.
Il carrello della spesa, davanti a lei, sobbalza leggermente sull’asfalto.
Sullo sfondo s’intravede, sfuocata, la rampa d’ingresso di un grande ipermercato.
La donna avanza, mossa da un’inerzia ripetitiva. Segue la strada delimitata da due file di automobili parcheggiate, senza esitazioni. E soltanto quando l’incertezza la coglie all’improvviso, decelerandone il moto costante per permetterle la rotazione delle spalle verso l’origine del suo interesse, solo in quel frammento di tempo, si scorge il corpo del bambino. È adagiato sul seggiolino del carrello, con la piccola testa coperta dai riccioli spettinati, una gambina a penzoloni, l’altra nascosta dal corpo della madre.
Non c’è audio, per cui è impossibile percepire alcun rumore.»
«Jude aveva una collezione privata. Tra i dischi di platino appesi alla parete del suo studio c'erano alcuni schizzi incorniciati che raffiguravano i sette nani. Era stato John Wayne Gacy a disegnarli mentre era in prigione e a mandarglieli. Gacy amava la Disney dell'epoca d'oro quasi quanto amava molestare i bambini; quasi quanto amava la musica di Jude.
Aveva il teschio di un contadino, che era stato trapanato nel sedicesimo secolo per far uscire i demoni.
Nel foro al centro del cranio teneva una collezione di penne.
Aveva una confessione firmata da una strega trecento anni prima. «Ho parlato con un cane nero che ha detto che avrebbe avvelenato le vacche, fatto impazzire i cavalli e ammalare i bambini per me se gli avessi lasciato prendere la mia anima, e io ho detto sì e poi gli ho dato il mio seno da succhiare.» Era morta sul rogo.
Aveva un cappio rigido e consumato che era stato usato per impiccare un uomo in Inghilterra alla fine del diciannovesimo secolo, la scacchiera con cui Aleister Crowley aveva giocato da bambino e uno snuff movie.
Tra tutti i pezzi della sua collezione, quest'ultimo era l'oggetto che lo metteva più a disagio. Glielo aveva procurato un poliziotto che aveva lavorato come addetto alla sicurezza durante alcuni suoi concerti a Los Angeles.
L'agente gli aveva detto che quel film era malato. Lo aveva detto con un certo entusiasmo.
Jude aveva guardato il film e aveva pensato che il poliziotto avesse ragione. Era davvero malato. Inoltre, in modo indiretto, quel film aveva accelerato la fine del suo matrimonio. Tuttavia Jude non era riuscito a separarsene.
Molti degli oggetti che componevano la sua collezione privata del grottesco e del bizzarro erano regali che gli erano stati mandati dai fan. Gli capitava di rado di acquistare qualcosa personalmente.
Ma quando Danny Wooten, il suo assistente personale, gli disse che su Internet era in vendita un fantasma e gli chiese se lo volesse comprare, Jude non ci pensò due volte. Per lui era come andare fuori a pranzo, chiedere quale fosse il piatto del giorno e decidere di prenderlo senza nemmeno dare un'occhiata al menu. Certi impulsi non avevano bisogno di alcuna riflessione.»
«In questo libro non vi sono personaggi né fatti inventati. Uomini e luoghi sono chiamati con il loro nome. Se sono indicati con le sole iniziali, è per considerazioni personali.
Se non sono nominati affatto, è perché la memoria umana non ne ha conservato i nomi: ma tutto fu esattamente così. L'anno millenovecentoquarantanove ci capitò sotto gli occhi, a me e alcuni amici, una curiosa nota nella rivista Natura dell'Accademia delle Scienze.
Vi si diceva, in minuti caratteri, che in riva al fiume Kolyma, durante gli scavi, era stato trovato uno strato sotterraneo di ghiaccio, antico torrente gelato, e racchiusi in esso esemplari pure congelati di fauna fossile (di qualche decina di millenni fa). Fossero pesci o tritoni si erano conservati tanto freschi, comunicava il dotto corrispondente, che i presenti, spaccato il ghiaccio, li mangiarono sul posto, volentieri.
Probabilmente i pochi lettori della rivista si saranno meravigliati quanto lungamente il pesce può conservarsi nel ghiaccio. Ma ben pochi avranno capito il significato vero, titanico, dell'incauta nota. Noi lo capimmo subito.»
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