Recensione
Caterina è una ragazza di diciassette anni (quasi diciotto) obesa, ossessionata dal suo aspetto fisico che finisce per diventare uno scudo di protezione tra lei e il resto del mondo. Il mondo, per Caterina, è suddiviso in due categorie: le non-persone (in cui rientrano gli obesi), quasi dei paria che attraggono gli sguardi, a volte accusatori a volte imbarazzati, delle persone (categoria a cui appartengono tutti gli altri fortunati che non hanno problemi di peso).
Al mercato, mi si vendesse a peso, costerei di più, tu meno, ma saremmo entrambi sogliole, totani o capponi.
Invece tu sei una ragazza e io no […]
Noi siamo obesi. E l’obesità non è semplicemente una categoria tra tante, non è un criterio per classificare le persone. Ma per dividere le persone dalle non-persone.
In casa, dove tutti (i genitori e i due fratelli) condividono il suo problema, Caterina riesce a essere se stessa, anche se vive con insofferenza la tendenza dei suoi familiari a ignorare il problema che, secondo la sua analisi, impedisce loro di avere una normale vita relazionale.
Nel momento in cui varca la soglia di casa, Caterina diventa Cate-ciccia, la bomba, la slavina.
Sono irriconoscibile quando saluto mamma sulla porta, e non perché ho mezza faccia sotto la sciarpa, semplicemente, come il più triste dei supereroi, la mia identità scompare appena esco di casa, appena supero la cancellata – e non sono più Caterina. Mi chiamo Caterpillar ora, mi chiamo Cate-ciccia. Anche se non c’è nessuno.
Tutti i suoi sforzi sono volti a immaginare i possibili commenti che la sua mole suscita tra le persone: in questo modo riesce (o crede di riuscire) ad anticipare e metabolizzare tutte le possibili sofferenze causate dal suo aspetto, ancora prima che le situazioni immaginate si realizzino. Non permette a nessuno dei suoi compagni di avvicinarsi alla vera Caterina e quando qualcuno ci prova, il suo comportamento viene svalutato e classificato tra coloro che sono semplicemente curiosi o superficiali. La strategia difensiva di Caterina funziona alla perfezione sino a quando si trova di fronte a un evento (la temuta festa per i suoi diciotto anni) che fa vacillare tutte le sue certezze.
Ho voluto leggere questo romanzo perché attratta dalla tematica e incuriosita dalle soluzioni trovate dall’autore per trasformare il “problema”, come viene presentato nei manuali specifici sull’argomento, in personaggi in “carne e ossa”. Sono rimasta molto delusa. Sicuramente l’argomento è uno di quelli “forti” di fronte al quale ci si sente in obbligo di di mettersi nei panni degli altri e forse è su questo che si basano molte delle valutazioni positive che ho letto su questo libro; sicuramente è un merito dell’autore aver messo al centro del suo romanzo la diversità, senza lasciare troppo spazio al politicamente corretto. Purtroppo le scelte narrative e stilistiche, secondo me, non sono delle migliori.
Gli eventi sono narrati senza sfumature di sorta. Va bene, mi sono detta, vedere il mondo a tinte forti monocromatiche (o è bianco o è nero) è una necessaria conseguenza di chi, come forma di difesa, struttura una falsa immagine di sé, dunque se Caterina pensa che nessuno voglia esserle amico deve giustificare questo assioma forzando gli eventi, attribuendo a ciò che le accade un significato che supporta la sua ipotesi e la rafforza. Caterina, insomma, ha bisogno di una psicoterapia che l’aiuti; sarebbe anzi meglio una bella psicoterapia familiare che aiuti tutti a superare la granitica convinzione che far finta di non vedere i problemi sia il miglior modo per risolverli. Ma ecco che all’improvviso la visione fosca che prevale nella prima parte del romanzo si tramuta in un rosa confetto (abbastanza stucchevole per i miei gusti) e Caterina si rende conto che il problema era solamente dentro la sua testa. I presunti cattivi diventano buoni, anzi lo sono sempre stati; i presunti disadattati si rivelano dei tipi introversi che, molto più semplicemente, preferiscono non raccontare della propria vita (intensa, ricca e piena di soddisfazioni); i buoni si rivelano molto cattivi ma, dall’alto della sua ritrovata saggezza, Caterina può perdonare tutto e tutti.
Ebbene, di fronte a questo repentino cambiamento di colore degli eventi narrati non sono più riuscita a trovare giustificazioni se non arrendermi all’idea che, secondo me, questo non è un buon libro, perché l’autore non cerca di affrontare in maniera problematica un disagio che può avere conseguenze gravi, ma si limita a utilizzare vari stereotipi per sciogliere molto frettolosamente i nodi che erano stati descritti (in alcuni casi neanche troppo male) nella prima parte.
Il linguaggio utilizzato da Matteo Cellini è inoltre pieno di metafore che in alcuni casi mi hanno lasciata perplessa; una citazione su tutte:
[…] il caffè macchia di un odore forte l’aria come un cane dalmata.
Ho avuto la sensazione che l’autore si abbandoni a troppi virtuosismi linguistici per il solo gusto di farlo, senza che la scrittura arzigogolata sia una necessità della vicenda narrata. O almeno questa è stata la mia impressione.
Giudizio:
+2stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Cate, io
- Autore: Matteo Cellini
- Editore: Fazi
- Data di Pubblicazione: 2013
- Collana: Le strade
- <ISBN-13: 978-8864115443
- Pagine: 216
- Formato - Prezzo: Brossura - € 16,00
Analisi spietata ma ben puntualizzata: a me era piaciuto davvero tanto ma mi vien voglia di rileggerlo alla luce delle tue considerazioni. Magari prima o poi faccio il tandem.
Leggendo su Anobii commenti entusiastici pensavo di essere stata solo io ad averlo trovato deludente, malstrutturato e troppo ambizioso. Mi consolo :-)