Recensione
“You told me once that a soul isn't something a person is born with but something that must be built, by effort and error, study and love. And you did that with more dedication than most, that work of building a soul-not for your own benefit but for the benefit of those that knew you.”
Sulla copertina della mia edizione del libro Jonathan Franzen declama: "Questo libro lascerà un buco dentro di voi come solo i grandi libri riescono a fare".
Oddio. Io ancora non ho deciso se mi è piaciuto l'unico libro di Franzen che ho letto, chi me lo fa fare di andare a leggere un libro da lui consigliato? Ma ho un debole per i libri ambientati nei college americani, per cui alla fine mi faccio convincere dalla pletora di giudizi entusiasti (Sunday Times bestseller, Chicago Tribune bestseller..) e mi butto a capofitto nell'Arte di vivere in difesa, superando agilmente i capitoli "baseball-oriented" per puntare con decisione al cuore del romanzo. Che non è "baseball-oriented".
Eh sì, perché nonostante questo sport sia il motore della vita del giovane protagonista, Henry, e gli eventi del romanzo facciano da contrappunto ad allenamenti e partite, questo non è un libro sul baseball, anzi, come mi è capitato di leggere su Goodreads, dire che questo è un libro sul baseball equivale a dire che Moby Dick è un libro sulla pesca. Personalmente sono felicissima che, per ragioni di traduzione, al titolo italiano sfugga il doppio senso dell' originale The Art of Fielding (fielding nel baseball indica proprio l'azione della squadra che non è alla battuta), considerando la scarsa popolarità di questo sport nel nostro paese penso ci sarebbe un grosso rischio di perdere lettori per un mero pregiudizio.
Il riferimento a Melville non è casuale: l'intero Westish college in cui si svolgono i fatti è un unico grande monumento commemorativo al grande romanziere, a partire dal preside Guert Affenlight che guarda a Moby Dick come un credente guarda alla Bibbia, passando per la stessa quadra di baseball (gli Harpooners, i fiocinatori), giù giù fino alle t-shirts un po' nerd vendute nel negozio di souvenirs del campus ("My Dick is bigger then yours"... ci può essere un doppio senso più nerd?).
A voler guardar bene, l'intero romanzo è un omaggio all'opera di Melville, sostituite il gioco del baseball con la caccia alle balene e il parallelo diventa evidente, i riferimenti più o meno velati, a partire dall'ossessione verso il tema dell'acqua, si sprecano nel corso dell'intero scritto, l'epopea di Harry come giocatore un'allegoria della ricerca di se stessi nell'oceano della vita (lo so: il baseball come simbolo dei travagli esistenziali è un must della cultura americana, ma qui il risultato finale è così buono che penso ci si possa passar sopra).
A causa di un evento drammatico e un po' ridicolo, quattro personaggi (più uno) si trovano a vivere un momento di stallo nelle proprie esistenze, attratti per un motivo o per l'altro dalla possibilità di un futuro nuovo e denso di aspettative e al tempo stesso bloccati in un limbo di incertezza e terrore vero e proprio. L'"uno" è Owen, il collante fra i quattro protagonisti eppure (o forse proprio per questo) l'unico fra i personaggi principali di cui non conosciamo mai il punto di vista, il che lo rende potenzialmente il personaggio più amato o più odiato. La sua perfetta commistione di sensibilità, imperturbabilità e ironia ne fanno una figura adorabile ma anche terribilmente vicina al cliché del "gay che prodiga argute perle di saggezza sull'universo creato" à la Oscar Wilde. Ammetto di aver adorato "il Buddha" fin dalla sua prima apparizione e di aver fortemente sentito la mancanza della sua prospettava nel racconto ma posso capire chi ha trovato il personaggio troppo irreale.
Egli rimane comunque l'unico neo in un panorama di figure perfettamente tratteggiate, che, dopo un inizio un po' stentato, penetrano sotto la pelle e prima della metà del libro hanno totalmente assorbito il lettore.
Harry è il motore dell'intera vicenda, e anche il personaggio più controverso perché così timido e assorbito dal suo ruolo di giocatore da essere apparso a molti lettori come un guscio vuoto senza personalità. Lo stesso Harbach utilizza la metafora del guscio nel corso del romanzo ma non con l'accezione negativa che molti ne hanno tratto quanto piuttosto a sottolineare la complessità di questo ragazzino così insicuro, la cui riservatezza ha spinto a nascondere se stesso così tanto che l'unico modo con cui sembra in grado di esprimersi è proprio attraverso il baseball (“What would he say to her, if he was going to speak truly? He didn't know. Talking was like throwing a baseball. You couldn't plan it out beforehand. You just had to let go and see what happened. You had to throw out words without knowing whether anyone woud catch them -- you had to throw out words you knew no one would catch. You had to send your words out where they weren't yours anymore. It felt better to talk with a ball in your hand, it felt better to let the ball do the talking. But the world, the nonbaseball world, the world of love and sex and jobs and friends, was made of words.” ).
E' impossibile non empatizzare con Henry, il baratro di incertezza in cui precipita è straziante, e desolante è assistere all'incapacità delle persone che gli stanno attorno di penetrare l'involucro di depressione che sembra averlo inglobato. L'autore tratteggia magnificamente l'apatia e la disperazione di questo momento di crisi, così come rappresenta con semplicità ed efficacia il rapporto di amicizia fra Henry e il suo mentore Mike, la relazione più bella, complessa e imperfetta dell'intero romanzo così come Mike è sicuramente il personaggio meglio riuscito. Il tormento di una grande determinazione non accompagnata da un equiparabile talento fa di Schwarz una figura tanto fragile quanto coraggiosa, consumata da anni di auto-mortificazione da non essere più in gradi di riconosce il proprio unico talento.
Fra Henry e Mike si frappone Pella, figlia del rettore ed unica figura femminile di questo romanzo ad elevato contenuto di testosterone. Pella arriva a Westish con il proprio carico di nevrosi e idiosincrasie (è in fuga da un matrimonio affrettato con un uomo paternalisticamente prevaricatore) ma la sua eccessiva dipendenza dalle figure maschili del racconto, probabilmente originata dalla venerazione che ha sempre nutrito per il padre, la rendono un po' difficile da digerire per le lettrici, anche va detto che è la stessa Pella a riconoscere e condannare questo lato del suo carattere.
Infine abbiamo Guert, rettore di facoltà sulla soglia della sessantina che dopo una vita di eterosessualità si trova a dover gestire i patemi di una cotta adolescenziale per il ventenne Owen. I tormenti del povero Guert sono forse uno degli aspetti più scontati della trama (vi dice niente Morte a Venezia?), tuttavia l'autore si redime unendo questa particolare problematica ai disperati tentativi dell'uomo di recuperare il rapporto con la figlia, in un waltzer di incomprensioni, occasioni mancate e frasi non dette.
E qui arriviamo ad uno degli aspetti meno convincenti del romanzo, ovvero i dialoghi:questi personaggi si parlano poco e quando lo fanno finiscono per non dirsi mai nulla e tu lettore sei lì arrampicato sul bordo del divano che pensi: "Santo Iddio, ma perché non vi parlate?". Ciò che ho gradito ancora meno è il modo semplicistico in cui i vari drammi si risolvono. L'arte di vivere in difesa è uno di quei romanzi formativi "stile Attimo fuggente", nel quale ti aspetti da un momento all'altro una resa dei conti fra i protagonisti, di quelle in cui uno di loro si produce in una significativa frase ad effetto destinata a riscuotere tutti dal proprio torpore risolvendo in un colpo solo ogni problema. Questo per fortuna non avviene e di ciò sono immensamente grata all'autore. Tuttavia la soluzione che egli ci offre è più una scappatoia, un evento catartico e forse un po' prevedibile che porta i protagonisti a riconoscere ed affrontare i propri demoni, in modo un po' improvviso, quasi che dopo averli trascinati sempre più in basso per 400 pagine Harbach non sapesse più che fare per riportarli sulla retta via. In particolar modo ho sentito la mancanza di un vero confronto fra Henry e Mike che andasse alla radice dell'incapacità di Mike di aiutare Henry e del tradimento di Henry quando ha deciso di abbandonare la squadra.
La vicenda mi ha comunque coinvolta così tanto che ho deciso di imputare queste mancanze al fatto che si tratta di un romanzo d'esordio, circostanza a cui voglio anche imputare la struttura un po' prevedibile dell'opera, fatta di brevi capitoli, tutti in qualche modo terminati da un cliffhanger che costringe il lettore a voltare subito pagina. L'impalcatura del romanzo, il parallelo tra la parabola discendente della vita di Henry e quella in salita degli Harpooners sono spesso un po' troppo evidenti per non sembrare costruiti così come il fatto che tutti i membri della squadra di baseball parlino come filosofi in erba e accettino l'omosessualità di un compagno di squadra senza batter ciglio sanno di idealismo un po' fantasioso (auspicabile, ma fantasioso). Ma L'arte di vivere in difesa è uno di quei libri scritti apposta per arrivare al cuore, e questo Harbach lo fa molto meglio di altri, con uno stile colto ma semplice, schietto, frizzante che non ricerca il melodramma e la lacrima facile. per questo, nel mio cuore ci è arrivato.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: L'arte di vivere in difesa
- Titolo originale: The art of fielding
- Autore: Chad Harbach
- Traduttore: Letizia Sacchini
- Editore: Rizzoli
- Data di Pubblicazione: 2012
- ISBN-13: 9788817056076
- Pagine: 516
- Formato - Prezzo: Copertina rigida - Euro 20,00
con l'immagine del lettore arrampicato sull'orlo del divano mi hai convinta, mi sa che lo inserisco nelle letture future prossime...
:-D
Che dire, perdo sempre la pazienza quando la gente non si parla :D
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Ho appena finito il romanzo in questione, vagavo cercando notizie sull'autore o sul testo, ho apprezzato molto il "non parlarsi" i contenuti di quei non detti sono mediati da descrizioni, stati d'animo emozioni e posture, penso che in questo si possa vedere anche una positività. Grazie per la recensione e per il parallelo "l'intero romanzo è un omaggio all'opera di Melville, sostituite il gioco del baseball con la caccia alle balene e il parallelo diventa evidente, i riferimenti più o meno velati, a partire dall'ossessione verso il tema dell'acqua" e per altri particolari quali la T-Shirt:)