1 marzo 2013

La vetrina degli incipit - Febbraio 2013

L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine? Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...






***

«Sono nata in uno dei giorni con meno luce dell’anno, nel cuore più profondo della notte.
Soffiava una bora fortissima.
Bora scura, con neve e con ghiaccio. Soffiava ancora quando uscii dal sanatorio. La ripida salita che ci avrebbe condotto a casa era assolutamente impraticabile, così arrivai a destinazione affidata al precario equilibrio dei miei genitori.
Il vento li aggrediva alle spalle, sospingendoli in avanti con quelle raffiche improvvise e feroci che solo la bora sa dare mentre il ghiaccio rendeva ogni loro passo un miracolo di abilità.
I miei tre chili e un po’ di essere umano, avvolti come un cannolo da una coperta bianca, rosa e azzurra fatta da mia madre, alla fine furono messi in salvo.
»
Ogni angelo è tremendo, di Susanna Tamaro - Antonio

«Se quel telefono avesse smesso di suonare. Stava già abbastanza male senza bisogno di un telefono che gli trillava nelle orecchie tutta notte. Dio se stava male. E non era neanche colpa di uno di quei loro aspri vini francesi. Nessuno poteva berne tanto da ridursi così. Aveva lo stomaco sconvolto. Possibile che nessuno si decidesse a rispondere al telefono? Pareva che squillasse in una stanza enorme, larghissima. Anche la sua testa era enorme. Telefono fottuto. Quel maledetto telefono doveva essere sull'altra faccia della terra. Avrebbe dovuto camminare un paio d'anni per arrivarci. Trilla trilla trilla tutta la notte. Qualcuno forse aveva bisogno urgente di dir qualcosa. Le chiamate notturne sono gravi. Si risponde alle chiamate notturne. Ma non potevano aspettarsi che fosse proprio lui a rispondere. Era stanco e aveva la testa che era un pallone. Potevano ficcargli l'intero telefono dentro all'orecchio e non avrebbe sentito niente. Doveva aver bevuto dinamite. Perché nessuno andava a rispondere a quello stramaledetto telefono? "Joe è per te. Di fronte e al centro." E lui stando male da cani si trascinò come un idiota attraverso il reparto spedizioni verso il telefono. C'era un tal rumore che pareva incredibile si potesse sentire il tenue filo di suono del telefono. Eppure lui lo aveva sentito. L'aveva sentito al di sopra del clinc clin clinc delle imballatrici Battle Creek e il frastuono dei trasportatori a cinghia e l'urlo dei forni rotatori al piano di sopra e il rombo dei carrelli rotolanti sui binari e il crepitio dei motori nella rimessa che venivano approntati per il lavoro del mattino e il cigolio dei rulli che nessuno maledizione pensava mai a lubrificare. Camminava lungo la corsia centrale fra la doppia fila di carrelli d'acciaio che si andavano riempiendo di pane. Si faceva strada coi piedi tra gli scarti le scatole i pezzi di cartone e le pagnotte mal riuscite che ingombravano il pavimento. I ragazzi lo seguivano cogli occhi mentre passava. Ricordava i loro visi indistinti attorno a sé mentre si dirigeva verso il telefono. Dutch e Little Dutch e Whitey che s'era buscato due pallottole nella spina dorsale e Pablo e Rudy e tutti gli altri. Lo guardavano in uno strano modo mentre passava. Forse perché dentro di sé aveva paura e da fuori lo si vedeva. Raggiunse il telefono. "Pronto." "Pronto Joe. È venuto il momento. Vieni a casa." "Va bene mamma. Parto subito.»
E Johnny prese il fucile, di Dalton Trumbo - Patrizia

«They say when trouble comes close ranks, and so the white people did. But we were not in their ranks.»
Wide Sargasso Sea, di Jean Rhys - Sakura

«Quando il signore, noto anche come dio, si accorse che ad adamo ed eva, perfetti in tutto ciò che presentavano alla vista, non usciva di bocca una parola né emettevano un sia pur semplice suono primario, dovette prendersela con se stesso, dato che non c'era nessun altro nel giardino dell'eden cui poter dare la responsabilità di quella mancanza gravissima, quando gli altri animali, tutti quanti prodotti, proprio come i due esseri umani, del sia-fatto divino, chi con muggiti e ruggiti, chi con grugniti, cinguettii, fischi e schiamazzi, godevano già di voce propria. In un accesso d'ira, sorprendente in chi avrebbe potuto risolvere tutto con un altro rapido fiat, corse dalla coppia e, uno dopo l'altro, senza riflessioni e senza mezze misure, gli cacciò in gola la lingua.»
Caino, di Josè Saramago - Tancredi

«Ho sempre letto le storie dalla fine.
Fortunatamente con gli anni mi sono ripulita parecchio, cercando di diventare una persona presentabile e accomodante. Una che s’adegua, che si piega e che si comporta bene.
Ho smesso da tempo di mettermi le dita nel naso; non parlo più a voce troppo alta, non sputo per terra e non inizierò certo adesso; non interrompo più l’interlocutore quando parla e aspetto saggiamente che finisca di sparare le sue stronzate prima di intervenire con tatto; sono diventata così docile, quasi remissiva, che a volte mi tocco le guance, mi accarezzo le cosce, mi prendo le ginocchia tra le mani per ritrovare me stessa a tastoni, come se fossi cieca, o peggio, autistica.
Continuo purtroppo a sfogliare e leggere le riviste e i giornali dalla fine e, da qualche tempo, anche i libri.
Questa è la cosa che m’inquieta di più. Se inizi con «domani è un altro giorno», la visione è irrimediabilmente distorta e sei fottuto da subito, perché credi veramente che domani sarà un giorno nuovo, che all’alba anche i progetti e le speranze, come il cielo, cattureranno la luce e quindi, è ovvio, che prenderai sonore cantonate senza mai imparare niente.
»
Vagli a spiegare che è primavera, di Catherine Cipolat - Valetta

«C'era una volta, quando il mondo era giovane, un marziano di nome Valentine Michael Smith.»
Straniero in terra straniera, di Robert A. Heinlein - Daniele

«Uno come me, sono sicuro, c'è in ogni prigione d'America, statale o federale — io sono quello che vi procura la roba. Sigarette confezionate o spinelli — se è quello il vostro debole — una bottiglia di brandy per festeggiare il diploma del figlio, o della figlia, praticamente qualsiasi cosa... nei limiti del ragionevole, cioè. E non sempre è stato così. Sono arrivato a Shawshank che avevo appena vent'anni, e sono uno dei pochi della nostra felice famigliola disposto a riconoscere che ha fatto quello che ha fatto. Omicidio. Ho intestato una bella polizza di assicurazione a mia moglie, che aveva tre anni più di me, e poi ho sistemato i freni del coupé Chevrolet che ci aveva regalato suo padre come dono di nozze.
Andò esattamente come avevo previsto, tranne che non avevo previsto che si fermasse a prendere su moglie e figlio del vicino, che scendevano da Castle Hill verso la città. I freni mollarono e la macchina si infilò tra i cespugli davanti ai giardinetti del paese, a tutta velocità. Chi l'ha visto ha detto che doveva andare a sessantacinque e più quando si schiantò contro la base del monumento alla Guerra Civile e prese fuoco. Né avevo previsto che mi prendessero, ma mi hanno preso.
»
La redenzione di Shawshank (Stagioni Diverse), di Stephen King - Morwen

«Il bosco era rado, quasi distrutto dagli incendi, grigio nei tronchi bruciati, rossiccio negli aghi secchi dei pini. L’uomo armato e l’uomo senz’armi se ne venivano a zig-zag tra gli alberi, scendendo.
«Al comando, - diceva quello armato. - Al comando, andiamo. Mezz’ora di cammino a dir tanto.»
«E poi?»
«Poi cosa?»
«Dico se poi mi lasciano andare» fece l’uomo disarmato; a ogni risposta si metteva in ascolto, sillaba per sillaba, come cercasse una nota falsa.
«Certo che vi lasciano andare, - disse l’armato. - Io do il documento del battaglione, segnano sul registro e allora potete tornare a casa.»
Il disarmato scuoteva il capo, faceva il pessimista.
«Eh, son cose lunghe, capisco... » diceva, forse solo per sentirsi ripetere:
«Vi lasceranno subito, vi dico».
«Facevo conto, - aggiunse, - facevo conto d’essere a casa per stasera. Pazienza».
»
Andato al comando (Ultimo viene il corvo), di Italo Calvino - Polyfilo

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