Recensione
Anno 455 e.v.: Roma è conquistata e saccheggiata dai Vandali di Genserico.
L’imperatore Petronio Massimo fugge abbandonando la città, ma viene ben presto ucciso dalla folla esasperata. E’ il papa Leone Magno, poi diventato santo, a fermare i Vandali chiedendo loro di non distruggere Roma e di non massacrare la popolazione. In pochi giorni la Città è spogliata delle sue ricchezze: l’operazione viene effettuata in modo rigoroso, sistematico… teutonico, senza incontrare alcuna resistenza da parte degli abitanti atterriti. Nella pacifica Comunità Ebraica locale si diffonde il terrore: tutti sono consapevoli che la sventura occorsa al popolo ospitante si tradurrà in dolore e nuove persecuzioni per gli Ebrei.
Al terrore si unisce un’autentica disperazione allorché si sparge la voce, anzi la certezza, che i Vandali hanno rinvenuto (nel tesoro imperiale) e si apprestano ad aggiungerla al loro ricco bottino di guerra, per portarla nella loro Cartagine (vendette della Storia!), al di là del mare Mediterraneo, nientemeno che la Menorah, il Candelabro a sette braccia del Tempio di Gerusalemme, portato a Roma da Tito nel 70 e.v., a seguito della distruzione della Città Santa. Immagine indelebile scolpita sull’Arco di Trionfo dove esso campeggia, accanto ai prigionieri e alle altre prede di guerra.
Ma non ci troviamo, nel caso della Menorah, solo davanti ad un prezioso reperto, bensì al simbolo stesso dell’Identità Ebraica; dunque essa non può essere perduta, pena la scomparsa dello stesso Popolo Eletto. Gli anziani della Comunità sanno che non possono abbandonarla: “Quando l’arca [o il candelabro] va per il mondo, anche noi dobbiamo metterci in cammino… Solo quando riposa, ci è permesso riposare”. Inizia così una drammatica peregrinazione che durerà molti decenni. Al centro stanno la Menorah e il protagonista umano della storia: Beniamino. Egli, all’epoca del saccheggio vandalo, è un bambino di sette anni (come i bracci del Candelabro), nipote del tintore Attalione; lo vediamo diventare adulto e poi anziano venerato dai suoi correligionari perché è colui che, più di altri, ha un legame fisico, esistenziale, con quell’oggetto / mondo. Tutti lo chiameranno Beniamino Marnefesch, cioè “l’uomo provato duramente da Dio”, proprio a seguito di un drammatico evento, che il lettore scoprirà.
Ci ritroviamo a Costantinopoli, tanti decenni dopo, allorché Beniamino oserà chiederla al grande Imperatore Giustiniano, non precisamente amico degli Ebrei. Grazie ad un ingegnoso trucco, la Menorah riuscirà a raggiungere la Terra dei Padri, tanto amata e rimpianta. Ma, proprio là, un mistero ancora più fitto circonderà la sua sorte.
Si tratta di una storia affascinante, intrisa di leggenda, ed espressa con una prosa intensa, drammatica.
L’Autore de “Il Candelabro sepolto” -scritto nel lontano 1936, pubblicato l’anno successivo e ristampato solo oggi, con merito, dall’Editore Skira-, un piccolo volume da me scoperto per caso, davanti alla cassa della Libreria. Coop. Ambasciatori, alcune settimane fa, è l’ebreo viennese (poi naturalizzato britannico) Stefan Zweig (1881-1942), uno degli scrittori più significativi del ‘900: poeta, romanziere, autore di saggi e biografie (su Magellano, Fouché, Maria Antonietta, Maria Stuarda).
La sua opera più celebre è “Die Welt von Gestern. Erinnerungen eines Europäers” (“Il Mondo di ieri. Ricordi di un europeo”), conclusa nel 1941. Si tratta di un romanzo autobiografico con al centro l’integrazione della cultura di origine ebraica nella società asburgica, aperta ad una vissuta multiculturalità. Tutto fu spazzato via dal nazismo e Zweig lasciò il suo Paese recandosi dapprima a Londra, indi negli USA e infine in Brasile dove, a Petropolis, il 22 febbraio 1942 si suicidò, insieme con la moglie.
La visione universalista -direi “laica” se questo aggettivo non fosse così abusato- non fa però dimenticare allo scrittore le proprie radici ebraiche, pur non essendo egli praticante. E non era nemmeno sionista, data la sua concezione, come detto, universalista e cosmopolita.
Tuttavia gli anni difficili in cui si trovò a vivere lo indussero a vagheggiare - ne fosse consapevole o meno non conta- l’idea di un ritorno alla Terra dei Padri da parte degli Ebrei, al riparo dalle ultramillenarie persecuzioni e dal pregiudizio. Un sogno che aveva già acquistato concretezza da tempo e che si sarebbe realizzato in pieno dodici anni dopo.
Il presente libretto è valorizzato da una postfazione di Fabio Isman, colto giornalista dotato di una particolare predilezione per luoghi sconosciuti, fuori dai tradizionali circuiti turistici; nonché amante di realtà, siti od oggetti -come nel caso- il cui nome è magari sulla bocca di tutti, ma di cui il comune pubblico ignora l’essenza più profonda.
Nel breve, ma avvincente, saggio Isman dà conto di leggende, storie, fonti -confrontando queste ultime con quanto narrato da Zweig- concernenti il mitico Candelabro, che una tradizione vorrebbe essere stato forgiato dalle mani dello stesso Mosè dopo l’incontro con il Signore sul Monte Sinai; una piacevole carrellata dove, come ogni avventura enigmatica che si rispetti, finiscono immancabilmente per essere tirati in ballo Vaticano e Stato di Israele.
Intrecci degni di Dan Brown, ma assai più interessanti dalle scontate vicende dei rapporti tra Gesù e Maria di Magdala, tanto care all’autore statunitense e ai suoi lettori.
Giudizio:
+5stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Il calendabro sepolto
- Titolo originale: Der begrabene Leuchter
- Autore: Stefan Zweig
- Traduttore: Anita Rho
- Editore: Skira
- Data di Pubblicazione: 2013
- Collana: NarrativaSkira
- ISBN-13: 9788857215365
- Pagine: 184
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 15,00
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