Fa più paura essere gli emarginati del gruppo, gli sfigati, i nerd, i "ragazzi da parete" oppure fare un passo avanti e porsi sotto i riflettori, mettersi in gioco, decidere ciò che si vuole e andarselo a prendere? E' nell'universalità di questo dilemma, che colpisce forse gli adolescenti in modo più evidente ma che si può riproporre ad ogni età, che risiede il successo di Ragazzo da parete (The Perks of being a Wallflower), romanzo cult fra i giovanissimi americani, pubblicato nell'ormai lontano 1990 da Stephen Chbosky e appena ripubblicato in Italia in occasione dell'uscita del film con il titolo Noi siamo infinito. Ragazzo da parete da Sperling&Kupfer (ritrovate la nostra recensione qui)
All'epoca fu uno scandalo per il suo coraggio nel considerare apertamente parte della vita quotidiana dell'adolescente medio il sesso, la droga, l'omosessualità e la depressione, realtà fino ad allora volutamente ignorate dalla cultura mainstream e che hanno fornito a Chbosky alternativamente la fama del rivoluzionario e dell'astuto generatore di polemiche. Forse per questo, a differenza di molti altri successi editoriali subito portati sul grande schermo, ci sono voluti vent'anni perché qualcuno decidesse di trasformare Ragazzo da parete in un film. Letto a vent'anni di distanza, infatti, dopo che decine di libri e telefilm hanno sdoganato la maggior parte di questi tabù, il racconto di Chbosky perde gran parte della sua carica sovversiva; ciò che non perde minimamente è il suo fascino, grazie alla sua capacità di catturare con arguzia e realismo una delle età più difficili e contraddittorie della vita.
La storia è quella di Charlie, timido quindicenne il cui unico amico si è suicidato al termine delle scuole medie e che si appresta quindi ad iniziare le scuole superiori da perfetto wallflower (ragazzo da tappezzeria appunto), almeno finché un attento professore d'inglese e una coppia di outsider come lui non lo prendono sotto la loro ala, insegnandogli cosa sono l'amicizia e l'amore e spingendolo finalmente a buttarsi nella mischia. Quello che doveva essere un anno tranquillo e magari un po' sottotono diventa per Charlie l'anno più bello della sua vita, vissuto fra feste a base di milkshake e brownie conditi di LSD, ruoli da protagonista nel Rocky Horror Picture Show, Kerouac, Salinger e scazzottate nella caffetteria della scuola.
Il valore di Noi siamo infinito risiede sopratutto nella sua potenza espressiva, nella sua capacità di richiamare perfettamente alla memoria del lettore le sensazione e le atmosfere della nostra vita liceale: la scuola, le feste, le chiacchierate nel cuore della notte al freddo su una panchina, la trepidazione del primo amore, l'impossibilità di essere accettati per quel che si è. La genialità della trasposizione cinematografica sta nell'aver colto questo aspetto del libro e ad essere riuscito a riprodurlo perfettamente su pellicola. Potrebbe sembrare un risultato scontato: dopotutto la casa di produzione, la medesima che ha garantito il successo di Juno, ha affidato sia la scrittura della sceneggiatura che la regia allo stesso Stephen Chbosky, tuttavia la partecipazione dell'autore alla realizzazione del film non sempre ha garantito la realizzazione di trasposizioni degne di questo nome (io ancora non mi rassegno allo scempio dei film di Harry Potter).
Emma Watson nella scena del tunnel |
Chbosky invece è stato all'altezza del compito creando un film dal delizioso sapore retrò, in cui le luci, le ambientazioni e i colori così anni '90 sono fatti apposta per tirare le corde della nostalgia; soprattutto, Chbosky ha saputo intuire l'appeal cinematografico di scandire la storia di Charlie, così come avveniva nel libro, attraverso una colonna sonora furbescamente alternativa e inevitabilmente cult, che spazia dagli Smiths ai Beatles, avendo anche l'accortezza di modificare leggermente la playlist rispetto al romanzo per garantire un maggiore impatto emotivo: chi può, infatti, resistere all'euforia, l'innocenza e la voglia di vivere di tre ragazzi lanciati a tutta velocità in un tunnel verso l'infinito con il vento fra i capelli e Heroes di David Bowie a tutto volume nelle orecchie?
Il regista, inoltre, ha saputo riportare nella pellicola lo stesso tocco leggero che aveva dimostrato nella scrittura del libro e che gli aveva permesso di affrontare temi dolorosamente forti come depressione e abusi senza scadere nel melodrammatico e nel morboso. Le inquadrature spesso a campo largo con pochi misurati primi piani e alcune scene giustamente stralunate conferiscono a tutto il film un tocco delicato, poetico, che spesso suggerisce più che dire apertamente ma che proprio per questo rimane poi impresso più a fondo nella mente di chi guarda.
Watson, Lerman e Miller |
Indovinata, inoltre, è stata la scelta di tutti gli attori, a partire dai tre protagonisti che insieme combinano quel misto di fragilità, tenerezza e irriverenza che li rendono così facili da amare. Naturalmente le attenzioni di tutti erano puntate su Emma Watson, alla sua prima prova d'attrice matura dopo aver vestito per sette anni la parte di Hermione nella saga di Harry Potter. Nel ruolo di Sam, ex ragazza scapestrata decisa a costruirsi un futuro, la Watson si comporta discretamente riuscendo a non bamboleggiare eccessivamente con un personaggio che per necessità di sceneggiatura combina dolcezza e civetteria ai limiti dell'irritante. L'onere di conquistare lo spettatore, tuttavia, ricade soprattutto sulle spalle di Logan Lerman, già celebre fra i giovanissimi per aver impersonato Percy Jackson nell'omonima saga, e che qui ha il compito difficile di far entrare il suo Charlie da subito nel cuore del pubblico; con quella faccetta un po' così, con quell'aria innocente velata di una malinconia che lascia intuire un turbamento più profondo, Lerman è sicuramente all'altezza della situazione. Infine una piacevole conferma è Ezra Miller che, dopo aver attirato l'attenzione dei critici nella parte del giovane sociopatico Kevin in E ora parliamo di Kevin, affronta qui il ruolo di Patrick, il fratellastro gay di Sam con una relazione clandestina con il campione di football della scuola, al quale dona un'indole ribelle e carismatica assolutamente credibile.
Menzione speciale va ovviamente all'ottimo Paul Rudd, della cui aria da adorabile bietolone ci siamo un po' tutte innamorate fin dai tempi di Ragazze a Beverly Hills.
Paul Rudd è il professor Anderson |
Un'altra figura significativamente ridimensionata, immagino per la difficoltà di gestire un numero eccessivo di sottotrame, è quella di Candance, sorella maggiore di Charlie che qui fa poco più di una comparsata mentre nel romanzo ha un ruolo di primo piano nel mostrare il desiderio del protagonista di essere compreso, accettato, amato.
In definitiva, quindi, chi ha letto il romanzo non potrà fare a meno di avvertire quel senso di affrettatezza e superficialità che accompagna quasi tutte le trasposizione cinematografiche, ma nel complesso potrà dirsi soddisfatto del lavoro di Chbosky che rispetta totalmente lo spirito dell'opera di partenza. Chi invece il romanzo non l'ha letto, difficilmente resterà indifferente a questo film struggente, interamente giocato sulle atmosfere e i ricordi che esse scatenano, con una colonna sonora imperdibile e un tocco poetico fatto apposta per rimanere nel cuore.
film bellissimo...
ora sono ancora più tentato di recuperarmi il libro..