16 marzo 2013

Dal libro al film: Il lato positivo

A pochi di voi sarà sfuggito questo nuovo film di David O. Russel: tra la valanga di nomination ricevute, l'Oscar a Jennifer Lawrence, la caduta dalle scale di Jennifer Lawrence al momento del ritiro del premio, e la ripubblicazione del libro che ha ispirato la pellicola, non c'è angolo del web in cui non si parli de Il lato positivo (The silver lining playbook, USA, 2012).
Ulteriore conferma della popolarità un po' inaspettata di questa commedia romantica è l'enorme successo ottenuto al box office, dove Il lato positivo si è piazzato nel week-end d'uscita (è arrivato nelle nostre sale giovedì 7 marzo) al secondo posto, superato solo dal colossal Il grande e potente Oz, servendo in questo modo da traino alla vendita del libro che Salani ha appena ripubblicato in copertina rigida in edizione movie tie-in, nel tentativo di rilanciare un'opera che da noi era già apparsa (sempre per Salani) nel 2009 con il titolo L'orlo argenteo delle nuvole, passando però un po' inosservata (qui la nostra recensione). Per chi se lo stesse chiedendo, il titolo della prima pubblicazione è la traduzione letterale dell'originale americano; nella nostra lingua si perde però il doppio senso di "silver lining" che oltre a indicare una caratteristica delle nuvole particolarmente amata dal protagonista allude appunto in senso figurato al "risvolto positivo".

Il film racconta la storia di Pat, affetto da disturbo bipolare e appena tornato a vivere a casa dei genitori dopo mesi di ricovero in un ospedale psichiatrico.

Jennifer Lawrence è Tiffany
Il grande sogno di Pat è quello di riconquistare la sua vecchia vita e soprattutto il rapporto con la moglie Nikki, alla quale però non può avvicinarsi a causa di un'ordinanza restrittiva. Nel suo faticoso tentativo di rimettersi in piedi l'uomo sarà aiutato, più o meno maldestramente, dal suo bizzarro psicanalista Cliff, dai genitori benintenzionati quanto preoccupati, e dalla vicina Tiffany, neo-vedova e squinternata quasi quanto lui, che lo convince a partecipare a una gara di ballo per dilettanti in cambio di un suo aiuto nel riavvicinarlo a Nikki.

Il progetto è rimasto nei cassetti del regista per diversi anni, fin dal 2008, quando la Weinstein acquisì i diritti del libro per farlo produrre a Sidney Pollack e Anthony Minghella, che purtroppo morirono entrambi quell'anno. L'opera passò così nelle mani di David O. Russel, che però faticò parecchio a ideare una sceneggiatura efficace, soprattutto per il particolare mix di emotività, dramma e farsa che caratterizza il libro di Quick.
Il regista risolve la questione calcando soprattutto sul lato della commedia, e trasformando di fatto il libro in una rom com, per quanto venata da risvolti malinconici come usano ultimamente dalle parti di Hollywood quegli autori che desiderano farsi chiamare indipendenti (non dimentichiamo che Russel è celebre per opere interessanti quanto bizzarre come Three Kings e I Love Huckabees). Il bilanciamento tra dramma e comicità è qui particolarmente ben fatto ed è la ragione principale per le numerose critiche positive che il film ha ricevuto, sebbene il risultato si allontani decisamente dal tono del libro tanto che vale la pena considerarle due storie diverse.
La pellicola punta tutto su due elementi principali: innanzitutto l'alchimia fra i due protagonisti, Pat e Tiffany, ottenuta tramite dialoghi serrati e sempre sopra le righe, in cui l'instabilità emotiva emerge in esplosioni tanto drammatiche quanto esilaranti. Ai botta e risposta fra i due è decisamente dato più spazio rispetto al romanzo, dove il rapporto fra Pat e Tiffany è molto più lento a svilupparsi e basato soprattutto su lunghi silenzi; di Tiffany abbiamo sempre una conoscenza "di seconda mano" perché filtrata dallo sguardo di Pat che narra la storia in prima persona, mentre nell'opera di Russel Tiffany si divide la scena in modo quasi paritario con il protagonista maschile,

Tiffany e Pat si allenano per la gara
Il secondo elemento chiave è la famigerata gara di ballo a cui il film assegna ruolo di primo piano nell'evolversi della vicenda, accentuando il ruolo formativo nel processo di maturazione di Pat, già presente nel romanzo, fino a farla diventare il climax dell'intera storia, l'evento catartico che in qualche modo porta alla soluzione dei problemi dei protagonisti. Questo ruolo è accentuato dalla decisione di legare a doppio filo le sorti della competizione all'attività di scommesse sportive esercitata dal padre di Pat, che perderà tutte le sue vincite se i due protagonisti perderanno la gara. Questo risvolto della vicenda è totalmente invenzione di Russel; nell'opera di Quick, infatti, Pat Sr ha un lavoro regolare, e pur essendo un fanatico di football non si guadagna da vivere con le scommesse; questa variazione ha evidentemente lo scopo di aggiungere pathos e scopo alla trama, rendendola più appetibile per lo spettatore: come in ogni grande film hollywoodiano gli eroi si preparano per l'intero film per l'impresa finale che porterà l'happy ending nella vita di tutte le persone coinvolte.
De Niro e Weaver: il padre e la madre del protagonsita
Altro significativo cambiamento, che indirizza il film verso la commedia, è quello di rendere il personaggio di Robert De Niro, Pat Sr, decisamente più gradevole rispetto al libro, nel quale Pat fatica per tutto il racconto a trovare un dialogo con il padre che, pur amando il figlio, sembra incapace di accettarne la malattia e non riesce a rivolgergli la parola se non quando in preda all'euforia per la vittoria della squadra di football del cuore. Il Pat Sr di De Niro è invece burbero e diffidente ma fondamentalmente affettuoso e più portato a legare con il figlio, quasi una versione seria del suocero psicopatico di Ben Stiller in Ti presento i miei. In effetti erano state girate diverse versioni delle scene padre e figlio, nelle quali di volta in volta il personaggio di De Niro era più o meno negativo, optando poi per l'edulcorata versione finale.
Avendo reso la figura del padre più gradevole, Russel ha evidentemente ritenuto necessario tagliare quella del fratello di Pat, Frank, che qui fa poco più di una comparsata, mentre nel racconto di Quick è una figura fondamentale per la guarigione del protagonista. Curiosità: essendo sia De Niro che Bradley Cooper di origine italiana, il cognome dei protagonisti è stato cambiato da Peoples a Solitano nel passaggio dalla carta alla pellicola.
Bradley Cooper è Pat

Ultimo cambiamento che val la pena di segnalare e che sottolinea la strada presa da Russel nella realizzazione del film sono i siparietti comici dedicati a Danny, l'amico squinternato di Pat che compare nei momenti più improbabili dichiarando di esser stato rilasciato dall'ospedale psichiatrico per poi essere immancabilmente riportato indietro da un solerte poliziotto. Inutile dire che di tali siparietti non vi è traccia nel romanzo e il ruolo di Danny è per certi versi sminuito rispetto all'originale.

Come accennato in precedenza, il peso del film ricade quasi interamente sulle spalle dei due protagonisti, Bradley Cooper (Una notte da leoni, Limitless) e Jennifer Lawrence (Un gelido inverno, Hunger Games) che, come dimostrano i numerosi riconoscimenti ricevuti, fanno un ottimo lavoro anche se, parere personale, l'Oscar alla Lawrence mi è sembrato decisamente un'esagerazione e principalmente legato alla capacità dell'attrice ventunenne (notevole) di tener testa a un Cooper di sedici anni più grande, risultando credibile in una parte pensata per un'attrice più vecchia.

Uno dei molti "confronti" fra i protagonisti
Bradley Cooper si è invece dovuto accontentare della meritata nomination per lo splendido mix di aggressività e infantilità con cui tratteggia il suo Pat, una perfomance decisamente sopra i livelli medi dell'attore. Naturalmente nel gruppo di interpreti, tutti bravi, va ricodato anche il già citato De Niro, al suo primo ruolo decente da anni, convincente anche se un po' gigioneggiante.
Nel complesso ho un giudizio ambivalente verso questo film: al di là delle differenze rispetto al romanzo da cui è tratto, lo definirei comunque un'opera riuscita a metà, simpatica, divertente, godibile, ma sostanzialmente superficiale nell'affrontare il problema delle malattie mentali che sta alla base dell'opera di Quick. Come accade spesso in molte commedie il personaggio principale presenta all'inizio qualche grave problema che miracolosamente scompare a metà pellicola, quando un'attività alternativa ed esteticamente ed emotivamente gradevole per lo spettatore (il ballo) prende il posto di tutte le altre preoccupazioni. Una bella commedia che poteva dare di più.



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