18 febbraio 2013

Di un monaco un brigante e una fanciulla - Silvia Cestaro

Serenissima Repubblica. Anno Domini 1610.

Un uomo viene privato di una delle proprie figlie, rapita da un brigante. Come riscatto gli viene chiesto qualcosa di cui difficilmente potrà separarsi. Anche un monaco, suo malgrado, viene coinvolto nella faccenda ed è costretto a fare da testimone a qualcosa che va ben oltre la realtà che era abituato ad affrontare. Un filo sottile lega il monaco, il brigante e la fanciulla, pur mantenendo ciascuno la propria personale visione della realtà.


Recensione

Anche se le vicende sono ambientate ai primi del '700, questo non può definirsi propriamente un romanzo storico. Non c'è nessun riferimento a fatti accaduti nel periodo, anche se proprio nel 1610 si registra il regicidio di Enrico IV di Borbone con la morte per squartamento dell'assassino, l'ascesa al trono di Luigi XIII sotto la reggenza di Maria de' Medici (è il tempo de "I Tre Moschettieri") e la messa all'indice da parte della chiesa di Galileo Galilei che insegnava all'università di Padova.

Questa storia, invece, potrebbe essere ambientata in qualsiasi periodo, dal medioevo all'800, o anche in tempi più recenti se, anziché il Veneto, fosse stato scelto il Meridione come teatro degli eventi.

Se prendiamo ad esempio il romanzo storico più famoso in Italia, I Promessi Sposi, che guarda caso si svolge in tempi molto vicini (1628 - 1630) a quello indicato dall'autrice nel suo libro (1610),  notiamo che il comportamento dei protagonisti viene condizionato dagli eventi storici del periodo, dalla sommossa del pane a Milano alla epidemia di peste, con l'intervento diretto ed indiretto di parecchi personaggi storici, da Ferrer al cardinale Federico Borromeo.

Definirei piuttosto questo un romanzo d'avventure, narrato in prima persona di volta in volta dai protagonisti, un monaco, un brigante e una fanciulla. Ognuno di loro racconta un pezzo della storia dal proprio punto di vista.

Il racconto è garbato, la scrittura scorrevole, la terminologia sufficientemente ricca anche se non sempre appropriata, come ad esempio:

"avevo fatto del mio meglio per schiacciare il paragone fra me e la merce avariata" dove il termine "schiacciare" è chiaramente da cambiare (potrei suggerire "non tener conto" o "minimizzare").

A tale proposito si può affermare che l'editing fatto dall'editore lascia a desiderare. A parte alcuni refusi -ne ho trovati diversi anche in un recente romanzo edito da Mondadori- e qualche termine discutibile come sopra accennato, si rilevano anche un paio di voci verbali errate. Ecco un esempio tratto da pagina 16:

"Sarebbe stata la mia salvezza, come se una volta raggiunta la luce benedetta, i due uomini sarebbero svaniti nel nulla."

Nonostante sia un'esordiente, riconosciamo all'autrice il pregio di non indulgere eccessivamente in aggettivi ed avverbi.

In un romanzo d'avventure le frasi sono normalmente brevi, al fine di dare un ritmo più veloce all'azione. In questo caso, invece, il periodare è piuttosto lungo, ma conferisce al racconto un gusto "retrò" non spiacevole.

Ciò che manca al romanzo sono le descrizioni. L'azione inizia nel duomo di Salò, cittadina sul lago di Garda. La prima cosa che l'autrice a mio avviso avrebbe dovuto fare sarebbe stata quella di descrivere se non la città almeno la chiesa. Scrivere è sotto alcuni aspetti come dipingere dei ritratti: per completarli occorre anche disegnare uno sfondo. Si potrà obiettare che le descrizioni annoiano il pubblico giovane cui è prevalentemente indirizzato il romanzo. Cionondimeno non dico che sia necessario iniziare con la descrizione del lago, come fa il Manzoni ne "I Promessi Sposi" prima di arrivare a don Abbondio, personaggio d'esordio, purtuttavia si dovrà fare un accenno all'imponenza del duomo, al piazzale antistante, alla luce diffusa dal rosone frontale, alle navate, la forma delle colonne e via di seguito, fino a dire se era un giorno di festa e se, in quel caso, l'affluenza era maggiore del solito e le persone vestivano meglio degli altri giorni. Occorre cioè che la scrittrice descriva "la scena del crimine" al lettore come se dovesse parlare ad un cieco.

Se non si ritenesse opportuno iniziare il romanzo con una descrizione, nel timore di non riuscire a carpire l'interesse del lettore, si potrà farlo gradualmente con gli occhi distratti di un penitente qualsiasi o, meglio ancora, con quelli della fanciulla protagonista destinata ad essere rapita. A questo proposito, essendo la scrittrice un'esordiente e desiderando una critica costruttiva, sottolineiamo che la tecnica narrativa anglosassone "show don't tell" ha per i romanzi d'avventura un valore vitale. Perché raccontare che c'è stato un omicidio quando lo si può descrivere direttamente? Penso che sarebbe stato preferibile che il romanzo iniziasse quando i fedeli entrano in chiesa per la funzione ed assistono all'omicidio durante l'omelia, anziché in un momento successivo.

Manca anche la descrizione del monaco che lascia la basilica di Sant'Antonio a Padova e inizia a camminare lungo il sentiero che dovrebbe portarlo fino a Salò. Sembrerebbe che il monaco non abbia scelto la via principale e segua un sentiero secondario a piedi, ma non se ne spiegano i motivi. Vengono trattati i suoi problemi di fede, ma si sorvola sul suo stato d'animo, passando dalla folla della città alla solitudine del bosco. Al riguardo viene detto che era una semplice macchia di aceri e che il bosco vero e proprio si estendeva dopo il ruscello. Bisogna pensare che il corso d'acqua fiancheggiasse il sentiero? Il bosco si estendeva a perdita d'occhio? Non c'erano campi coltivati? Dopo quanto tempo dall'inizio del cammino il monaco ha incontrato i banditi?

Manca inoltre una descrizione della grotta in cui il monaco e la fanciulla vengono rinchiusi -ce n'è solo un breve accenno quando finalmente ne escono-. E' già difficile presupporre l'esistenza di una grotta fra Padova e Salò, visto che siamo al centro della pianura padana e la strada è tutta praticamente pianeggiante. Dove inserirla? Sui Colli Berici, forse, dato che è l'unico rilievo di una certa importanza che fiancheggia la strada e che disterebbe da Padova una giornata di cammino (il percorso Padova - Salò è di circa 140 chilometri, tre giorni di buon passo per una persona abituata a camminare).

Possono essere caratterizzati meglio anche i banditi che catturano il monaco. Durante la prigionia egli è costretto a relazionare con loro e pertanto sarebbe stato opportuno non lasciarle semplici figure anonime. Di uno solo viene detto che aveva i denti guasti e l'alito fetido. Occorre cercare qualche tratto distintivo che dia spessore ad altri componenti del gruppo, traendoli dall'anonimato assoluto in cui sono stati relegati. Si potrà ad esempio dire che uno dei banditi avesse una lunga cicatrice che gli solcava la faccia -ogni bandito che si rispetti ne ha una-, un altro che avesse gli occhi strabici e via di seguito, sicuramente una scrittrice troverà elementi caratterizzanti.

Per quanto la storia sia abbastanza originale, si coglie qualche buco narrativo nell'intreccio. Come abbia fatto Orso, il capo dei banditi, a scoprire i responsabili della setta che gli uccisero la famiglia viene accennato in maniera troppo sbrigativa. A mio avviso quello sarebbe stato il vero prologo e la scrittrice avrebbe potuto "mostrare" gli avvenimenti invece di farli "raccontare" da uno dei protagonisti.

L'attitudine alla scrittura c'è, provaci ancora, Silvia!

Giudizio:

+2stelle+ (e mezzo)

Dettagli del libro

  • Titolo: Di un monaco un brigante e una fanciulla  
  • Autore: Silvia Cestaro  
  • Editore: 0111 Edizioni 
  • Data di Pubblicazione: 2011
  • ISBN-13: 978-88-6307-387-4
  • Pagine: 125
  • Formato - Prezzo: Brossura - Euro 13,00

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