L'autore
Fabio Venuti è nato a Bolzano. Si è laureato in scienze dell'informazione ed ha lavorato in centri di ricerca in Italia, Stati Uniti e Regno Unito in ambiti che spaziano dalla neurologia all'oceanografia. Vive a Reading dove lavora al centro europeo di previsioni meteorologiche. L'interesse per il mondo della ricerca e delle persone che lo popolano è all'origine del suo primo romanzo "La valigia sotto il letto", che vuole essere anche un omaggio agli Italiani che si ritrovano, più o meno per scelta, all'estero.
Il libro
La valigia sotto il letto è quella tenuta per anni da Sabina nel suo appartamento londinese, che non riesce a chiamare casa senza sentirsi vagamente bugiarda. È il simbolo della non appartenenza, della perenne condizione di provvisorietà dell’emigrante al tempo delle linee aeree low-cost. La stessa provvisorietà ed irrequietezza che provano Dante ed Augusto, amici di vecchia data, che si rincontrano a Londra. Dante studia il comportamento riproduttivo del piccione comune e si incancrenisce tra l’ammuffito dipartimento di zoologia dell’università e la brughiera del Devon dove conduce le sue inconcludenti osservazioni naturalistiche. Augusto lo raggiunge nella speranza di affermarsi come creativo e tuffandosi immediatamente nella Londra eccessiva, anarchica ed insostenibilmente multietnica in cui poi trascina anche il recalcitrante Dante. I due conoscono Sabina, che lavora in un centro per il recupero degli alcolisti senzatetto e che subito allarga le crepe nel rapporto già conflittuale tra i due amici. La valigia sotto il letto è una commedia dolce-amara che racconta con sguardo bonario ed assai permissivo gli aneliti, i tentativi ed i fallimenti di una generazione fatta di alcuni cervelli e molte frattaglie in fuga dall’Italia.
L'intervista
Buongiorno Fabio,
Comincio con il ringraziarti per averci concesso quest'intervista e per averci permesso di leggere il tuo romanzo "La valigia sotto il letto", che mi è davvero piaciuto molto.
Grazie a te che hai avuto la pazienza di leggerlo!
1. Ho letto nella tua biografia che vivi e lavori in Inghilterra nell’ambito della ricerca, proprio come Dante, il protagonista di "La valigia sotto il letto". E’ immediato quindi chiederti quanto di autobiografico ci sia nella storia che racconti. Le difficoltà incontrate da Dante nel trovare una propria strada sono state anche le tue?
È una storia fondamentalmente autobiografica, nello spirito almeno. Non sono ricercatore, ma ho sempre lavorato nello sviluppo di sistemi informatici di supporto alla ricerca. Non essendo legato a nessuna particolare branca, ho potuto lavorare in ambiti molto diversi: scienze dell’informazione, biofisica, neurologia, oceanografia ed ora meteorologia. Forse questo è già sufficiente a testimoniare un percorso piuttosto tortuoso. Secondo me i percorsi tortuosi però sono molto formativi, sono quelli che ti definiscono.
2. Il tuo romanzo vuole essere un omaggio agli Italiani che si ritrovano all’estero. Cosa ti ha spinto ad abbandonare l'Italia per l’Inghilterra e quali difficoltà hai incontrato in questo passaggio? Ti senti integrato nel nuovo paese in cui vivi oppure esiste una comunità italiana chiusa e in qualche modo “autosufficiente”? E gli inglesi come vedono questi italiani che “invadono” il loro paese?
Sono partito per motivazioni irrazionali, difficili da riassumere senza apparire vagamente imbecille. Cercherò di minimizzare i danni. Direi che c’era molta irrequietezza, un po’ d’illusione infantile che da qualche parte si nasconda un luogo fatto apposta per te e poi c’era il fascino magnetico che Londra ha esercitato sulla mia generazione. Anche se strambe, queste motivazioni hanno funzionato bene, almeno all’inizio.
Io lo faccio dire a Dante, in maniera ironica, quello che mi stava stretto dell’Italia: è un Paese in balia dei vecchi, non si trova sidro sudafricano, si fa poco l’amore e non mi va di sapere cosa pensa il Papa. Il sidro sta a significare che in Italia tutto arriva in ritardo, che siamo alla periferia dell’impero occidentale. Il resto si spiega da sé.
Allora sono partito. Ma un po' migliore è un posto quando cominci, per forza, perché ci vuole sempre un po' di tempo perché la gente arrivi a conoscerti e si dia da fare e trovi il sistema di fregarti. Così diceva Céline. E anche quando lo trova, aggiungo io, ci vuole del tempo a te per rendertene conto. Questo è vero credo particolarmente in Inghilterra, dove finché non impari le sottigliezze di aggettivi apparentemente innocenti accompagnati da appena percettibili variazioni di tono di voce, non potrai sapere cosa gli altri pensano davvero di te. Io ancora non lo so. Tra l’altro, questa è la ragione per cui nella mia storia uso il discorso diretto solo nei dialoghi tra italiani. Trovo che usare il discorso diretto, metti, tra un italiano ed un inglese, trasmetta un falso senso di immediatezza e comprensione reciproca. La verità è che, da emigrante, passi metà della tua vita interpretando quello che ti chiedono meccanici, idraulici, cassieri, barbieri, camerieri... Quante volte ho risposto sì o no a caso.
È chiaro allora che gli stranieri, che si ritrovano un po’ tutti nella stessa nebbia, si stringano tra loro. Nella mia esperienza, in Inghilterra si formano spesso sodalizi tra italiani, spagnoli e greci. In realtà però gli inglesi sono tra gli esseri più tolleranti ed inclusivi che abbia mai incontrato e non è difficile farseli amici, a patto di rispettare la sacralità della privacy, di non ammorbarli con litanie sulla mancanza del bidet e di non scandalizzarsi per un cappuccino ordinato dopo pranzo. Purtroppo è vero che anche in Inghilterra, e soprattutto in provincia, negli ultimi anni è salita la marea xenofoba, alimentata da una certa stampa da quattro soldi, ma il razzismo tamarro è fortunatamente ancora molto circoscritto.
3. Che differenze vedi tra la realtà universitaria italiana e quella inglese? Ad un giovane ricercatore insoddisfatto dei limiti imposti alla ricerca in Italia consiglieresti di rivolgersi all’estero per realizzare i propri sogni?
Non saprei. Come ho detto, io non me ne sono andato per realizzare sogni di carriera, ma credo che all’estero mi si siano presentate più opportunità, o forse sono stato più pronto a coglierle. A me l’Inghilterra ha dato molto, in molti sensi. Non credo avrei potuto fare le esperienze che ho fatto rimanendo in Italia. Però, se si sceglie di partire, bisogna decidere molto presto se è un’esperienza a termine o no. Più presto di quanto si creda. Altrimenti è la vita a decidere per te.
4. Nel romanzo, attraverso le parole di Dante, esprimi a volte giudizi piuttosto duri sul mondo della ricerca universitaria, sulla sua efficacia e utilità. Questo rispecchia il tuo pensiero?
Dante è duro con l’umanità. Il suo giudizio potrebbe riassumersi con un: Dio, la gente... L’ambiente della ricerca direi che non è speciale. Il fatto è che l’università è un grande business, c’è stata un’enorme proliferazione di università negli ultimi trent’anni e si studia di tutto. La qualità della ricerca è di conseguenza molto variabile. Purtroppo non è facile per i giovani districarsi in questo mondo complesso e fare le scelte giuste ed è invece facilissimo rimanere intrappolati in strade senza uscita, finire in università mediocri a barcamenarsi tra progetti inconcludenti, con uno stipendio inferiore a quello di un autista di autobus. Con tutto il rispetto per gli autisti di autobus, che anzi hanno la responsabilità della sicurezza della gente che portano qua e là e quindi è sacrosanto che vengano pagati bene, mentre molti ricercatori fanno studi che non portano proprio da nessuna parte. Come si può anche solo pensare che con queste premesse l’università attragga le menti migliori? Infatti, non le attrae. In Inghilterra a me sembra che resti nella ricerca chi non ha di meglio da fare (tolte ovviamente le dovute eccezioni). Ma vallo a dire in giro...
5. Senza voler rivelare il finale ai lettori, il libro si conclude con un piccolo colpo di scena che lascia aperte varie possibilità. Perché questa conclusione un po’ in sospeso? Credi che Dante possa farcela a trovare la sua strada nella vita?
Ne dubito. Quanto al finale, qualcuno me l’ha criticato, ma non è gratuito. Nella storia, Dante ed Augusto sono personaggi che vivono vite diverse e fanno scelte diverse, ma sono complementari. Al punto che, in un certo senso, rappresentano veramente un unico personaggio. Vedi, quando vivi all’estero per un certo tempo, finisce che ti senti un po’ sdoppiato. Non sai più se la tua vita vera è quella in Italia e quella che vivi ora all’estero è solo una parentesi, un sogno, oppure se la tua vita vera è questa qui ed è quell’altra, quella rimasta in Italia, ad essere un sogno. Chi sogna chi?
6. La valigia sotto il letto è il tuo primo romanzo. Cosa ti ha spinto a cimentarti con la parola scritta? Come ti sei trovato nelle vesti di scrittore? Prevedi di ripetere l’esperienza?
Penso che uno scriva per incapacità ad esprimersi altrimenti. Se fossi più bravo nelle relazioni sociali, probabilmente non scriverei. Per altri magari la scrittura è una cosa che viene facile. Io riesco a scrivere solo a tarda notte ed è un affare laborioso e faticoso. E solitario. Preferirei di gran lunga suonare in un gruppo, se sapessi suonare qualcosa e fossi capace di stare in un gruppo. Quindi capirai che l’idea di ripetere l’esperienza sia piuttosto spaventosa. Tuttavia, un’altra storia da raccontare ce l’avrei. Non so però se ho abbastanza notti insonni per scriverla.
7. Hai auto-pubblicato il tuo romanzo su Amazon, una scelta operata da molti autori di recente. Cosa ti ha spinto a percorrere questa strada? La mancanza di una vera e propria casa editrice alle spalle immagino ti abbia costretto a trovare altri modi per promuovere il tuo libro, come hai risolto la cosa?
È una strada su cui ti ritrovi senza neanche pensarci tanto, dopo aver ricevuto vari rifiuti o non aver ricevuto proprio niente. Hai passato tanto tempo a scrivere una storia e vuoi che qualcuno la legga, tutto qui. Amazon ti fornisce gratuitamente gli strumenti che ti servono e ti mette su una vetrina raggiungibile da tutto il mondo. Certo, è una vetrina che si perde un po’ tra milioni di altre vetrine...
Il problema della promozione, appunto, non l’ho risolto. Tutti consigliano di usare i social network. Io, come avrai ormai intuito, non ho diecimila amici su facebook. Infatti, non ci sono neanche su facebook (i miei quattro amici non riescono a farsene una ragione). I blog di libri, però, come il vostro della Stamberga, sono un’ottima cosa. Mi sembrano spesso gestiti e frequentati da lettori entusiasti, voraci e preparati. Continuerò ad esplorare l’universo dei blog.
8. Infine una domanda un po’ provocatoria. L'avvento del digitale sta in qualche modo cambiando il mondo dell'editoria, alcuni autori hanno clamorosamente raggiunto il successo tramite romanzi auto pubblicati, grazie semplicemente al tam-tam della rete. Le case editrici stanno diventando inutili? Credi che questo nuovo modo di pubblicare un romanzo sia più un vantaggio per il pubblico, che ha la possibilità di scoprire talenti ignorati dalle case editrici oppure serve solo ad inondare il mercato di prodotti di bassa qualità tra cui è difficile districarsi?
La rivoluzione del libro digitale è appena cominciata. Io penso sia inarrestabile e di enorme portata. Sento molti obiettare che però la gente preferirà sempre il libro stampato. Io credo invece che le preferenze individuali diventeranno rapidamente ininfluenti. Il costo della produzione, distribuzione e vendita di un libro in forma digitale è assolutamente trascurabile e questo è tutto ciò che conta. Nel mondo del libro stampato tutto è costoso: la produzione della carta (e le cartiere sono tra le fabbriche più inquinanti), la stampa, l’immagazzinamento, il trasporto, la vendita. Le librerie, per esempio, hanno bisogno di grandi spazi nei centri urbani, dove gli affitti sono carissimi. Tutti questi costi, mano a mano che il digitale prenderà piede, diventeranno sempre più onerosi. Chiuderanno librerie e case editrici tradizionali e questo provocherà un effetto a spirale, perché meno libri stampati si produrranno, più costoso sarà produrli, maggiore sarà la differenza di prezzo con gli equivalenti digitali e quindi sempre meno se ne venderanno. Immagino che questo sia uno scenario da incubo per molti amanti del libro, ma io sono ottimista. Sopravviverà chi sarà capace di cambiare. Come dici giustamente tu, ci sarà ancora bisogno di chi ci aiuti a navigare in un mare di prodotti di qualità diversissima. Nasceranno più case editrici esclusivamente “digitali”, snelle ed efficienti, che potranno concentrarsi sull’editing, la recensione e promozione di libri. Chissà, magari questo potrebbe essere il futuro della Stamberga dei Lettori...
E le librerie si dovranno reinventare, diventando luoghi di incontro e proponendo eventi culturali cui assistere davanti ad una tazza di caffè o magari un bicchiere di vino. Ho letto recentemente un’intervista all’amministratore delegato della catena Waterstones che prevede di aprire caffè in tutte le sue librerie. I libri attireranno la gente, ma sarà coi panini e le torte al limone che Waterstones camperà. Io non ci trovo niente di male, anzi, adoro i caffè nelle librerie.
Salutaci lasciando un consiglio di lettura per i lettori della Stamberga!
Mah, visto che abbiamo parlato di irrequietezza, del problema di partire e tornare, mi viene in mente Bruce Chatwin ed il suo Anatomia dell’irrequietezza. Non che sia tra i miei libri preferiti, anzi per molti versi e ragioni ovvie (è una raccolta di scritti pubblicata postuma) è un po’ raffazzonato. Però ho trovato molto interessante il progetto, rimasto incompiuto, di spiegare l’irrequietezza dell’uomo attraverso le sue radici: l’umanità nasce nomade ed il nomadismo è scritto nel nostro codice genetico. L’uomo perciò non può essere felice rimanendo sempre nello stesso luogo, ma ugualmente non può essere felice andandosene per sempre. La natura nomade ci spinge a partire, poi a tornare, poi a ripartire, ciclicamente. Ciao!
E' stato un piacere leggere questa intervista.Il Venuti deve scrivere ancora, sarebbe un peccato che il suo romanzo restasse un episodio isolato.
phát huy một ít đại pháp thuật, nhưng lấy tu vị ngưng khí kỳ của ngươi
bây giờ, dù có lão phu hỗ trợ thì nhiều nhất ngươi cũng chỉ có thể phát
huy tu vị truc cơ trung kỳ mà thôi.
Đằng Lệ nhướng mày, nhưng lập tức giãn ra cười nói: “Tu vị dưới kết đan
kỳ, có thể né tránh không tổn hao gì dưới kiếm của Đằng Lệ ta thì ngươi
là kẻ đầu tiên. Nếu không phải đã đáp ứng Mặc sư huynh thì ta cũng không
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muốn giết ngươi đâu.”
Vương Lâm cũng không giám quay đầu nhìn lại, nhanh chóng chạy trốn. Lúc
này đây linh lực tiêu hao quá lớn, đành xuất ra hồ lô, uống một ngụm
lớn, tốc độ lại nhanh thêm vài lần.
Hàn quang chợt loé trong ánh mắt của Đằng Lệ, âm trầm nói: “Để xem ngươi
có thể thuấn di đến mấy lần?” Nói xong, tay phải hắn chỉ ra, không
trung lại xuất hiện một hắc ám cự kiếm.