L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
***
«Nel 1815, monsignor Charles-François-Bienvenu Myriel era vescovo di Digne. Era un vecchio di circa settantacinque anni; occupava la sede di Digne dal 1806.
Benché questo particolare non entri affatto in ciò che ci proponiamo di raccontare, tuttavia ci pare utile, non fosse che per amor d'esattezza, accennare qui ai giudizi e alle voci corse sul suo conto quando era arrivato nella diocesi. Vero o falso che sia, ciò che si dice degli uomini ha tanta importanza nella loro vita e soprattutto nel loro destino quanta ne hanno le loro azioni. Myriel era figlio d'un consigliere al parlamento di Aix: nobiltà di toga, dunque. Si diceva di lui che suo padre, contando di lasciargli in eredità la carica, l'avesse ammogliato per tempo, a diciotto o vent'anni al più, seguendo l'usanza invalsa nelle famiglie parlamentari. Charles Myriel, nonostante il matrimonio, aveva fatto molto parlare di sé, a quanto dicevano. Di bell'aspetto sebbene un po' piccolo, elegante, simpatico, intelligente, dedicò tutta la prima parte della sua vita alle galanterie del secolo.»
«Se stai per metterti a leggere, evita.
Tra un paio di pagine vorrai essere da un’altra parte. Perciò lascia perdere. Vattene. Sparisci, finché sei ancora intero. Salvati.
Ci sarà pure qualcosa di meglio alla tv. Oppure, se proprio hai del tempo da buttare, che so, potresti iscriverti a un corso serale. Diventa un dottore. Così magari riesci a tirare su due soldi. Ti regali una cena fuori. Ti tingi i capelli. Tanto, ringiovanire non ringiovanisci.
Quello che succede qui all’inizio ti farà incazzare. E poi sarà sempre peggio.»
«Andrea urlò, uscì di casa e sbatté la porta.
La luce del tramonto aveva scalato le vette più alte dei monti e attendeva di scomparire nella notte. La valle era piombata nell’oscurità. Il Tagliamento, raccolto al centro del suo alveo, sembrava un vecchio serpente sazio che si crogiolava ai raggi di una luna crescente.
Era pallida e sconvolta. Cercò respiro nell’aria fresca e profumata, ma le riuscì solo un singhiozzo soffocato. Poi scoppiò in lacrime.
Si incamminò, nel debole chiarore lunare, a passi svelti tra le zolle erbose e i filari regolari degli alberi, per il sentiero a lei ben noto che conduceva al letto del fiume, grigia cicatrice nel ventre scuro della vallata.
Sotto la corta gonna di jeans, le lunghe gambe slanciate rabbrividirono. Giunse in fondo al sentiero e strinse i pugni sino a farsi male.
«Bastardi!» gridò, e poi ringhiò al fiume silenzioso:
«Maledetto posto! Io voglio andarmene da qui!»
Lui le rispose, dapprima con un sordo brontolio – lei sgranò gli occhi – poi con un boato immenso.»
«La follia di un'ondata di freddo da prateria in autunno che si avvicina. Potevi sentirlo: stava per accadere qualcosa di terribile.
Il sole basso nel cielo, una stella minore, in via di raffreddamento. Una ventata di disordine dopo l'altra. Alberi che stormivano, temperature crollavano, l'intera religione nordica delle cose si avviava verso la fine. Nessun bambino nei campi, qui. Ombre si allungavano sulla zoysia che ingialliva. Querce rosse e querce palustri e querce bianche tempestavano di ghiande case senza mutuo. Controfinestre rabbrividivano nelle stanze da letto vuote.
E poi il ronzio a singhiozzo di un'asciugabiancheria, il rumore molesto e nasale di un aspiratore di foglie, le mele dell'orto messe a stagionare in buste di carta, la sca di benzina con cui Alfred Lambert aveva pulito il pennello dopo le sue operazioni mattutine di restauro del sofà a due posti in vimini.»
«Era stata una tipica giornata insoddisfacente. Il signor Carmody era andato in ufficio, aveva debitamente flirtato con la signorina Gibbon, dissentito rispettosamente dal signor Wainbock, e passato un quarto d'ora in compagnia del signor Blackwell, a discutere le prospettive della squadra calcistica I Giganti. Verso sera aveva polemizzato con il signor Siedlitz, con foga e assoluta incompetenza, sulla costante distruzione delle risorse naturali e sulla dilagante e perniciosa invasione del cemento, degli scarichi industriali, dei campeggiatori e delle cartiere. Tutti, sosteneva lui, erano responsabili, in grado diverso, della rovina del paesaggio e dell'incessante devastazione delle oasi di bellezza naturale ancora esistenti»
«Una volta qualcuno mi ha detto che, solo in Francia, ogni anno duecentocinquantamila letttere vengono recapitate a persone morte.
Quello che non mi ha detto è che, a volte, i morti rispondono.»
«SCRIBA DELLE CRONACHE CITTADINE: Mentre sono seduti a cena l’uomo all’improvviso muta espressione. Con un gesto brusco spinge via il piatto che ha davanti facendo tintinnare forchette e coltelli. Poi si alza, sembra non sappia dove si trova. La donna sussulta sulla sedia. Lo sguardo dell’uomo le vaga intorno senza posarsi su nulla e lei – già una volta è stata colpita dalla tragedia – l’avverte subito, eccola, mi tocca di nuovo, le sue dita gelide sulle mie labbra. Ma che succede? sussurra con lo sguardo, e l’uomo la osserva, stupito...
— Devo andare.
— Dove?
— Da lui.
— Dove?
— Da lui, laggiù.
— Dove è successo?
— No, no. Laggiù.
— Cos’è laggiù?
— Non lo so.
— Mi fai paura.
— Per vederlo ancora un istante.
— Ma cosa vedrai? Cos’è rimasto da vedere?
— Forse laggiù potrò vedere. Persino parlare con lui.
— Parlare?!»
«Un giorno, mia moglie mi disse che il mio «gradiente emotivo pari a zero» era il motivo principale per cui mi stava lasciando. Come se il tizio che aveva conosciuto alle riunioni degli Alcolisti Anonimi non c’entrasse per niente. Christy disse che avrebbe forse potuto perdonarmi per non aver pianto al funerale di suo padre: lo conoscevo soltanto da sei anni e non potevo capire che uomo fantastico e generoso fosse stato (quando s’era diplomata le aveva regalato una Mustang decappottabile, tanto per fare un esempio); ma quando non avevo pianto a quelli dei miei genitori (morti a due anni di distanza l’uno dall’altra, papà di cancro allo stomaco e mamma fulminata da un attacco di cuore mentre passeggiava su una spiaggia della Florida), Christy aveva iniziato a capire la faccenda del «gradiente».
Nel gergo degli AA, non ero in grado di «Sentire i miei sentimenti».
«Non ti ho mai visto versare una lacrima», affermò col tono piatto di chi sta mettendo la parola fine a una relazione. «Nemmeno quando mi hai detto che, se non mi disintossicavo, tra noi due era finita.»
Sei settimane dopo quella conversazione, Christy fece le valigie, prese la macchina e andò a vivere con Mel Thompson dall’altra parte della città.
«Ragazzo conosce ragazza dagli AA», ecco un’altra battuta che gira in quell’ambiente.
Non piansi quando la vidi partire. Non piansi quando rientrai nella nostra casetta, comprata con un mutuo da svenarsi. La casa che non aveva visto nascere nessun bambino, e che ormai non lo avrebbe visto più. Mi sdraiai sul letto che adesso era tutto mio e mi coprii gli occhi con un braccio, solo col mio dolore.
Senza lacrime»
«Durante la guerra federale degli Stati Uniti, nella città di Baltimora, quindi nel bel mezzo del Maryland, si costituì un nuovo ed influentissimo club. È noto con quanta energia sviluppassi l’istituto militare presso questo popolo d’armatori, di mercanti e di meccanici. Molti negozianti spiccarono un salto al di là del loro banco per improvvisarsi capitani, colonnelli, generali, senza compiere gli studi nelle scuole d’applicazione di West-Point; in breve essi uguagliarono «nell’arte della guerra» i colleghi del vecchio continente, ed al pari di loro riportarono qualche vittoria in virtù dello spreco di palle da cannone, di milioni e d’uomini. Ma dove gli Americani lasciaronsi addietro di molto gli Europei fu nella scienza della balistica. Non vuolsi già dire che le loro armi aggiungessero un grado maggiore di perfezione, ma esse offrirono inusate dimensioni, ed ebbero perciò lunghezza di tiro fino allora sconosciuta. In fatto di tiri radenti, ficcanti o di lancio, di fuochi di sbieco, d’infilata o di rovescio, gli inglesi, i francesi, i prussiani non hanno più nulla da imparare; ma i loro cannoni, i loro obici ed i loro mortai non sono che pistole da tasca in confronto dei formidabili attrezzi di guerra dell’artiglieria americana.»
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