Recensione
Definire questi tre racconti lunghi 'detective stories' è alquanto fuorviante. A parte l'atmosfera di genere poliziesco americano, in stile hardboiled - come si definiscono i gialli con detective privati, donne misteriose e fatalmente seducenti, ambientati in locali bui, solitari e generalmente malandati -, i tre racconti, legati tra di loro da incroci casuali e dallo svolgersi tra le geometrie del tracciato urbano newyorchese, sono delle riflessioni, a tratti anche troppo cerebrali e metafisiche, sulla relazione tra scrittura e vita reale e in definitiva sul ruolo dello scrittore.
Il primo elemento della trilogia, Città di vetro, racconta la storia di uno scrittore di gialli, che usa come pseudonimo il nome di William Wilson, tratto dai Racconti del Grottesco e dell'Arabesco di Poe, ed è rimasto solo dopo la morte della moglie e del figlio piccolo. Il tema dello sdoppiamento dell'identità del protagonista, tratto da Poe, si complica con la sovrapposizione tra protagonista e voce narrante e l'identificazione del primo con il personaggio immaginario, un detective alla Sam Spade, di cui racconta le avventure nei suoi libri. In un vortice di confusione tra soggetti, Daniel Quinn - così si chiama il protagonista-narratore-scrittore - si spaccia per un vero private eye dal nome di Paul Auster, che è invece l'autore reale del libro, il quale entra nella narrazione come un pittore dentro il proprio quadro, incrociando i diversi della realtà, quella vera, reale, e quella narrata, fino al punto di introdurre nella trama anche il vero figlio di Auster, e la moglie, Siri Hustvedt, scrittrice anch'ella. L'effetto è di una vertigine assoluta: la confusione delle identità rispecchia la confusione del linguaggio come risultato del peccato originale derivante dalla presunzione umana. Quinn/Auster viene infatti ingaggiato per difendere Peter Stillman dalle temute aggressioni del padre, che sta per uscire di galera, dopo aver scontato una pena per aver tenuto per anni il figlio segregato, nel tentativo di sperimentare sul suo bambino, finché era ancora incapace di parlare, la ricerca di una lingua primigenia, antecedente alle convenzioni umane e per questo in grado di raggiungere l'essenza delle cose. In questa versione moderna della medievale disputa degli universali, la città di vetro diviene una immensa superficie riflettente, in cui però l'immagine della coscienza si moltiplica all'infinito fino a diluirsi e perdersi nel suo essere individuale, e la ricerca della lingua perfetta che dovrebbe riportare l'uomo allo stato di felicità e perfezione edenica lo porta invece incontro alla punizione per la sua superbia. L'annebbiamento e l'abbrutimento di sé che Quinn/Auster/Wilson sperimenta è solo il risultato della sua volontà di dare un senso univoco alla realtà e alla lingua che la descrive.
Nel secondo racconto, Fantasmi, invece il protagonista, Blue, è un vero investigatore privato che è costretto per lavoro a trasformarsi in uno scrittore. Ricevuto l'incarico di sorvegliare un certo mr. Black dall'appartamento posto di fronte all'abitazione di questi, il detective realizza in breve che la vita del sorvegliato è del tutto piana e priva di interesse e trova come unico spunto di impegno la scrittura di rapporti sulle banalissime attività quotidiane di Black che il committente, White, gli ha richiesto di inviare con cadenza settimanale. Convinto che dietro il misterioso sorvegliato si celi comunque un malvivente molto abile a nascondere i propri crimini, Blue trasforma la sua indagine in ossessione personale, perde quasi ogni forma di contatto sociale, si isola dalla realtà rinchiudendosi in quella fatta di carta e parole scritte che invia settimanalmente a White. La perdita del contatto con il mondo reale - per esempio Blue si lascia trascinare, quasi imprigionato da un vortice di segretezza e inevitabilità del destino, a rompere senza spiegazioni la relazione con la donna che avrebbe certamente sposato se non fosse intervenuto l'incarico lavorativo - comporta una sorta di sfida anche a White sulle vere motivazioni del suo lavoro. Mandando delle false relazioni, Blue mette alla prova il suo datore e si trasforma così, per sua scelta, da sorvegliante in sorvegliato. L'ossessiva ripetizione dell'unica attività di Black, redigere misteriose note su un taccuino rosso, raggiunge un parossismo tale che il folle sospetto che si impadronisce dell'investigatore è che in realtà Black abbia l'unico compito di leggere le relazioni che lui, Blue, invia a White regolarmente. L'impressione di trovarsi a vivere una dimensione surreale dell'esistenza, quasi fosse un fermo immagine tratto da un film in bianco e nero, è rafforzata anche dal panorama urbano, sobborghi con case in serie o uffici in palazzi polverosi e bui, strade periferiche e anonime di una metropoli grigia perché povera di colori, che pare quasi riflettere una sorta di abulia emotiva dei personaggi.
Lo stesso panorama fa da cornice all'ultimo episodio della trilogia, La stanza chiusa, dal tema topico della letteratura in giallo, che racconta il rapporto tra un critico e giornalista di poche ispirazioni e uno scrittore in erba, che riesce a far pubblicare i suoi romanzi solo sparendo nel nulla e cancellando la propria identità. Il loro legame, quasi una forma di simbiosi, si consuma nella traslazione della vita dall'uno all'altro, e nello stesso tempo trasforma il vero protagonista, Fanshawe, che pure è assente per sua scelta, in una sorta di convitato di pietra, la cui presenza per statura morale e peso affettivo è più che tangibile. Nel passaggio si verifica una specie di scambio quando al narratore, amico inseparabile del fantomatico Fanshawe fino all'adolescenza, arrivano prima, su richiesta della moglie dello stesso, dopo l'inspiegata partenza del marito, i manoscritti lasciati da quest'ultimo, mai neppure spediti nelle case editrici, poi la moglie e il figlio, infine anche la complessa storia famigliare e il rapporto di amore/odio con la madre. Il peso dell'eredità e il confronto, che il narratore non riesce a eludere, tra se stesso e l'inarrivabile Fanshawe - che tra l'altro cita un classico omonimo di Nathaniel Hawthorne - lo portano quasi al disfacimento dell'identità, nel corso di una ricerca che rappresenta l'aspetto investigativo della storia. All'inseguimento di Fanshawe, che si nasconde ma non riesce a evitare dei contatti sibillini, si deve il titolo del racconto: i due, dopo essersi rincorsi a lungo, arrivano a una sorta di spiegazione che lascia però molti dubbi in sospeso parlando attraverso una porta chiusa, senza vedersi. Le tre storie non hanno una relazione diretta l'una con l'altra ma ci sono degli incontri casuali che potrebbero apparire semplici omonimie: per esempio il detective cui Sophie, la moglie di Fanshawe, si rivolge per rintracciare il marito scomparso si chiama Daniel Quinn, come il narratore del primo episodio, e sempre nell'ultimo episodio compare anche, quasi obliquamente, anche Peter Stillman. Una fitta serie di rimandi, simbolismi e giochi linguistici - in un contesto anche lessicale che è molto scarno e a tratti quasi ingrigito - trasforma le tre vicende in un unico anello, in cui le storie si ripetono e si rincorrono, come anche fanno i protagonisti, alla ricerca affannosa di un senso che non sembra potersi rendere evidente.
L'unica dimensione esistenziale possibile, nell'intrecciarsi contorto ed enigmatico delle tre storie in un tessuto - anzi propriamente in un testo - dalla trama indecifrabile, sembra rimanere la sovrapposizione tra lettura e scrittura, tra lettore e scrittore.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: La trilogia di New York: Città di vetro - Fantasmi - La stanza chiusa
- Titolo originale: New York Trilogy: City of glass - Ghosts - The locked room
- Autore: Paul Auster
- Traduttore: Massimo Bocchiola
- Editore: Einaudi
- Data di Pubblicazione: 2005
- Collana: Super Tascabili
- ISBN-13: 9780571152230
- Pagine: 320
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 12,00
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