Una notte, in un caffè della stessa città, bevendo vino e fumando una sigaretta dopo l'altra, l'uomo che è stato suo marito racconta a un altro uomo come abbia aspettato per anni una donna che era diventata per lui una ragione di vita e insieme "un veleno mortale", e come, dopo aver lasciato per lei la prima moglie, l'abbia sposata - e poi inesorabilmente perduta.
All'alba, in un alberghetto di Roma, sfogliando un album di fotografie, questa stessa donna racconta al suo amante (un batterista ungherese) come lei, la serva venuta dalla campagna, sia riuscita a sposare un uomo ricco, e come nella passione possa esserci ferocia, risentimento, vendetta.
Molti anni dopo, nel bar di New York dove lavora, sarà proprio il batterista a raccontare a un esule del suo stesso paese l'epilogo di tutta la storia.
Al pari delle "Braci" e di "Divorzio a Buda", questo romanzo appartiene al periodo più felice e incandescente dell'opera di Márai, quegli anni Quaranta in cui lo scrittore sembra aver voluto fissare in perfetti cristalli alcuni intrecci di passioni e menzogne, di tradimenti e crudeltà, di rivolte e dedizioni che hanno la capacità di parlare a ogni lettore.
Recensione
Quattro personaggi, quattro vite, quattro racconti si legano in una sola trama, come quattro fili diversi che intrecciandosi danno vita una sola storia, a un solo tessuto. Una moglie, un marito, una domestica, un amante e in più come figura esterna di giudice onnipresente, quasi con il ruolo di testimone dei fatti, uno scrittore, sorta di maschera dell'autore.
I fatti sono essenziali: un triangolo amoroso tra due donne e un uomo, in cui già in partenza i ruoli di vincitrice e di sconfitta sono determinati, va in scena nella buona società di Budapest a cavallo tra le due guerre mondiali, nel tramonto oltre che di un mondo, quello dell'ex Impero Austro-Ungarico, anche di un modello sociale molto radicato, quello dell'alta borghesia.
Le differenti versioni del fatto centrale, la conquista del marito conteso, vertono sui punti di vista, di volta in volta diversi, della narrazione. Il romanzo - che nel titolo originale ungherese non distingue tra genere maschile e femminile e dunque contiene un'ambiguità poi persa nella traduzione - si struttura originariamente in due lunghi monologhi, della prima moglie e del marito.
La prima, Marika, in una pasticceria nel tardo pomeriggio, il secondo, Peter, in un caffè durante la sera raccontano a dei conoscenti muti la loro storia coniugale e la loro separazione, sul filo di una continua e spietata autoanalisi, dettagliata e approfondita come una dissezione anatomica, quasi un'autopsia, in cui il racconto è costantemente rivolto al passato.
A questi due flussi ininterrotti di ricordi e riflessioni Marai ha aggiunto, diversi anni più tardi, anche il punto di vista del terzo elemento, Judit, l'amante, che durante una notte insonne in un albergo di Roma, dopo la fine della guerra e la fuga dall'Ungheria - quindi in continuità cronologica rispetto alle prime due voci - confida al suo amante del momento tutta la sua storia.
Infine a queste tre sezioni, omogenee per lunghezza ma con uno stacco nel tono tra le prime due e la terza, si aggiunge, come una sorta di epilogo molto più breve, un quarto monologo: molti anni dopo l'ascoltatore di Judit, il giovane amante Ede, emigrato a New York, rievoca le vicende cui aveva partecipato marginalmente, chiacchierando con un collega dietro il bancone di un bar.
Sia il passaggio in Italia sia lo spostamento geografico oltreoceano ricalcano in qualche misura vicende della vita dell'autore, anche lui transfuga in Italia e poi in America.
Anche il tema fondamentale ritorna da altri romanzi di Marai. La crisi della società borghese secondo il modello autoritario e gerarchico di stampo mitteleuropeo si estende fino al dopoguerra con la sua dissoluzione nel mito consumista dell'american way of life, di cui Ede, l'amante musicista, si fa alfiere, rinunciando alle aspirazioni artistiche in cambio del credito facile, di una macchina, una casa e una falciatrice in comode rate.
Le convenzioni sociali che costituiscono i punti di riferimento per i due borghesi Peter e Marika, i valori comuni, le memorie famigliari e affettive legate all'ambiente altolocato mostrano il loro disfacimento di fronte alla realtà nella sua crudezza, raffigurata da Judit Aldozo, la serva proveniente dalla miseria della puszta contadina, pragmatica e ineludibile. Nel suo nome - Judit è l'eroina biblica che decapita il generale babilonese Oloferne, mentre il cognome evoca nell'etimologia l'idea del sacrificio - la serva contiene già il suo destino di vittoriosa affermazione e insieme di decadenza per i due coniugi, eppure in qualche modo la sua parabola rientra nei vincoli umani di una divisione per caste, limitandosi a violarne le regole di accesso.
Di fronte all'incapacità di marito e moglie, e anche della madre di Peter, di reagire alla forzatura di Judit, che appare da subito come vincente, c'è la consapevolezza della predeterminazione incarnata dallo scrittore, Lazar, l'unico personaggio che da testimone esterno avrà rapporti con tutti i protagonisti, indirettamente anche con Ede, del quale condivide, da morto, il letto con Judit. La sua crisi si concretizza nel crollo, prevedibile e previsto, di un mondo sotto le bombe dell'esercito russo che 'libera' Budapest dalle truppe naziste: Lazar trova un rifugio temporaneo nella protezione della lingua e delle parole come custodi della memoria e della consapevolezza ma l'orizzonte rimane quello dell'esilio e dell'annichilimento.
Lo stile intrusivo dell'indagine psicologica di Marai nelle vite dei suoi personaggi mette a nudo senza pietà ogni minimo anfratto delle loro anime e riduce il lettore al ruolo di puro ascoltatore passivo, senza la possibilità di identificarsi con i protagonisti, visto che questi parlano in prima persona e si rivolgono spesso a un 'tu', presenza muta e funzionale al solo estroflettersi dei loro soliloqui.
La minuzia descrittiva rende il senso di una pesantezza esistenziale che si può trovare, a parere di chi scrive, con accenti diversi in tanta parte della produzione letteraria proveniente dall'area di Marai, in Joseph Roth, in Agota Kristof e in Milan Kundera, e risolve il dramma storico delle masse e degli individui nell'annientamento.
A conclusione di questa parabola si colloca, come un epilogo tardivamente maturato, l'ultimo stadio dell'evoluzione sociale e dello sfascio delle regole, che Judit aveva solo violato ma non propriamente messo in pericolo: la metamorfosi di Ede nell'elemento cardine di un nuovo ordine, che sull'annichilimento del singolo è appunto fondato, trasversale a classi, cultura e convenzioni, il consumatore.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: La donna giusta
- Titolo originale: Az Igazi
- Autore: Sandor Marai
- Traduttore: Laura Sgarioto, Krisztina Sàndor
- Editore: Adelphi
- Data di Pubblicazione: 2004
- Collana: Gli Adelphi
- ISBN-13: 9788845924651
- Pagine: 442
- Formato - Prezzo: Brossura - 12,00 Euro
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