L'autrice.
Virginia Less è nata a Fondi nel 1943. Laureata in filosofia, ha insegnato nei licei della provincia di Latina, dove tuttora vive, in campagna ma non lontano dal mare. Velista dilettante, è alla sua prima raccolta di racconti pubblicata. Virginia è nonna e da diverso tempo gestisce un blog dedicato alla categoria: Noi nonne.
Il libro.
Nella cittadina immaginaria di Maraglia, icona non proprio felice del nostro Mezzogiorno, il capitano dei carabinieri Osvaldi svolge la sua opera di tutore della legge. Appassionato di storia e di cucina, ama ripetere a mo’ di mantra una citazione di Bloch e si rilassa preparando manicaretti che non può permettersi di mangiare. In collaborazione con il fido maresciallo Pellicciotta, Osvaldi affronta, in sette episodi, alcuni casi bizzarri o complicati, riuscendo anche a vincere la sua riluttanza per il mare. E proprio il mare, in particolare il mondo delle barche e dei velisti, è l’altro protagonista delle vicende, quasi tutte di ambientazione nautica. Con un pizzico di ironia, una solida coscienza morale e una buona dose di cultura, il capitano Osvaldi non solo ci guida alla scoperta degli autori dei delitti, ma si premura di sottolineare con costanza, nel suo investigare con tenacia, la passione civile di osservatore privilegiato del malcostume italico, tratteggiato nei sapidi ritratti dei vari tipi umani protagonisti e comprimari delle sette storie.
La recensione della StambergaL'intervista
Cara Virginia,
benvenuta sul nostro blog.
1. Cominciamo con una domanda introduttiva: “Mal di mare” è il suo primo romanzo pubblicato, è anche il primo lavoro che ha scritto? E perché proprio un giallo?
Alla scrittura 'dilettevole' mi sono avvicinata dopo il pensionamento, con l'intenzione di mettere insieme due attività del tempo libero che mi accompagnano e divertono da tanto tempo: il giallo e l'andar per mare. Il primo lavoro è stato un romanzo, “Devi orzare, Baal!”, tutto incentrato sulle regate veliche. Avevo in mente un pubblico giovanile e un editore di nautica. Ogni tanto lo tiro fuori dal cassetto, chissà...
Quanto al giallo, trovo che rappresenti un bell'esercizio mentale. Va programmato e gestito rispettando le regole; il lettore deve avere a disposizione tutti gli indizi per risolverlo e l'autore la capacità di spiazzarlo senza ricorrere ad artifici fantasiosi; consente di gettare un'occhiata critica sulla realtà circostante. E sul perché risolvere delitti e dipanare/tessere trame piaccia a non pochi lettori/scrittori accetto la tesi che li presenta desiderosi di una società regolata dalla ragione, mentre la vera di rado lo è.
2. Personalmente sono una patita di gialli, mi è spesso capitato, però, di vedere questo genere letterario considerato con un certo snobismo, come un genere letterario secondario puramente di evasione. Come si rapporta a questo modo di pensare?
In effetti, mio padre, un letterato, storceva il naso davanti ai gialli americani, gli unici allora in commercio. E invece ne ho ricavato l'interesse per le scienze umane, ancora prima di sapere cosa fossero. Mi colpiva, per esempio, che tanti personaggi vivessero da soli e dovessero cercare nei bar la compagnia occasionale di sconosciuti, oppure l'uso del taxi per muoversi in città, con la macchina in garage per via dei parcheggi introvabili. Negli anni il genere si è arricchito e “nobilitato”, accostandosi a saperi di vario tipo. Oltre all'avvocatura e alla medicina legale, troviamo un uso abbondante di biologia, informatica, storia e via elencando. Una miglioria rispetto ai polizieschi schematici, purché il giallo rimanga tale, inglobando con naturalezza il materiale nella sua struttura specifica. Che poi sia spesso percepito tuttora come un genere di evasione, mi sta bene, nel senso che è in grado di attirare un lettore generalista e magari “debole”. Se però il testo possiede dignità di contenuto e di scrittura, riesce a svolgere forse meglio di altri la sua funzione culturale.
3. La letteratura poliziesca in Italia ha una storia un po’ più recente rispetto alla grande tradizione del mystery anglosassone, anche a causa di una certa opposizione del regime fascista nei primi decenni del ’900. Inoltre i nostri gialli hanno da subito mostrato caratteri atipici, una particolare attenzione per il sociale e una predilezione per l’indagine di fantasia con scarso ausilio tecnologico. Perché secondo lei questo avviene?
Sì, il fascismo censurava anche la cronaca nera sui giornali. L'immagine del paese doveva adeguarsi a un ideologico stereotipo di sanità morale: niente delitti italiani, neppure in letteratura. Il primo, a Milano, l'ha narrato Scerbanenco, nel 1940 credo, ma i personaggi avevano nomi stranieri.
Gli esordi, atipici in effetti, sono più antichi. Il primo a ricevere la qualifica è “Il cappello del prete” di De Marchi. L'autore si assegna il compito di dimostrare che anche i nostri scrittori sono capaci di attirare un pubblico poco acculturato, come per il romanzo d'appendice alla francese. Il delitto ha motivazioni economiche e il lettore vi assiste, ma segue un'indagine poliziesca accurata e l'attenzione è tenuta desta dal progressivo cedimento psicologico dell'assassino.
Solo nel 1946 esce “Quer pasticciaccio brutto...” di Gadda, ambientato però nel '27. Indubbi i meriti letterari, misconosciuti per dieci anni, ma è un giallo anomalo: manca volutamente, benché il personaggio forte sia proprio il commissario, la soluzione finale.
L'attenzione per il sociale dei gialli italiani credo nasca dal taglio veristico, attento alla descrizione oggettiva, cui i nostri romanzieri si sono quasi tutti ispirati.
Quanto agli scarsi supporti tecnologici, azzardo una risposta colta e una terra terra. Per la prima: colpa dell'estetica crociana con le sue antinomie! L'arte ( e quindi anche la più modesta scrittura di genere) ha poco da spartire con le scienze e l'intuizione, che la caratterizza, prevale sulla logica. Per la seconda, gli italiani di solito sanno pochino sia di scienza che di logica. Niente lente d'ingrandimento né deduzioni stringenti. Più di recente anche il nostro giallo ha attinto talvolta alla tecnologia, mantenendo comunque l'impianto sociologico che personalmente gradisco. Una trama anche ben riuscita, ma tutta giocata in tribunale o in laboratorio, non mi prende molto.
4. Come autrice si sente più vicina ai giallisti italiani, da Scerbanenco fino a Camilleri e Lucarelli oppure ai grandi maestri stranieri come Simenon o Agatha Christie? E come lettrice?
I grandi maestri hanno lasciato il segno sulla mia generazione di lettori e, anche come autrice, trovo tuttora insuperata la loro cura della coerenza logica. Né dimentico le famose venti regole di giallografia di Van Dine, per quanto rivedute e corrette.
I nostri giallisti più noti – aggiungo Fruttero - Lucentini e Machiavelli – mi sono più vicini per lo sguardo, spesso critico, che rivolgono al nostro paese. Li leggo volentieri.
Non sono infine così entusiasta degli scrittori nordici tanto gettonati negli ultimi anni, ma apprezzo, come al solito, quel che fanno intendere del loro assetto sociale, più imperfetto di quanto siamo abituati a pensare.
5. Il capitano Osvaldi, protagonista dei suoi racconti, è un personaggio particolare, la cui arguzia mentale è in qualche modo compensata dalla scarsa prestanza fisica. Cosa l'ha ispirata nella scelta del suo eroe? Cosa maggiormente le piace di Osvaldi e cosa invece non ama?
Nel primo romanzo non avevo usato un investigatore professionista: intorno ai delitti elucubravano a turno alcuni dei personaggi. Osvaldi e Pellicciotta hanno esordito insieme in “Barca d'epoca”, dove mi sembravano necessari dei militari in divisa. Il maresciallo non dispone di un modello in carne e ossa, mentre per Osvaldi non ho potuto fare a meno di ispirarmi a un capitano vero, conosciuto molti anni fa. Un omaccione, cuoco valente e, all'apparenza, abbastanza acculturato. Faceva il bagno nell'acqua bassa e in un'occasione mi chiese di porgergli la mano per passare dalla banchina alla barca perché soffriva di vertigini. Precauzione ridicola considerando la sperequazione fisica ma sufficiente a rassicurarlo. Mi è bastato caricare un po' i toni ed eccolo bello e pronto, almeno quanto all'immagine esteriore. In compenso l'ho dotato di mente sveglia, volontà tenace ed etica rigorosa.
Di Osvaldi apprezzo il lucido disinganno associato a un imperativo morale di stampo kantiano. Agisce come deve, ma non s'illude sui risultati: gli uomini continueranno a delinquere e il mondo ad essere ingiusto. Trovo un po' fastidiosa la pedanteria che lo induce a reiterare il suo mantra e buffo il timore dell'acqua, dove al contrario mi sento benissimo.
6. Un aspetto particolarmente bello dei suoi racconti è l’ambientazione marittima e l’ampio spazio dato alla navigazione. Questo riflette una sua passione personale?
Sono contenta che le piaccia. Mi ero preoccupata della reazione negativa dei lettori che non hanno familiarità con l'andare per mare. Ne parlo volentieri perché credo che il navigare, a vela beninteso, sia una bellissima pratica, e non soltanto per via dell'affascinante mutevolezza di cielo e acqua e della romantica contemplazione delle stelle. Il mare viene vissuto con “sapienza” e rispetto, i ritmi lenti favoriscono la riflessione, emergono aspetti inediti della personalità propria e dei compagni di barca. Si tratta inoltre di una disciplina intuitiva e complessa: semplici nozioni di base consentono tranquille uscite giornaliere, mentre la tattica di regata e le navigazioni “serie” richiedono un impegno intellettuale (e spesso fisico!) di tutto rispetto.
7. Maraglia, cittadina di fantasia in cui sono ambientati i racconti di “Mal di mare”, è un po’ una summa dei principali problemi italiani (corruzione, nepotismo, illegalità generalizzata) e mi è sembrato che lei ci tenesse a delineare fortemente il contesto sociale e politico in cui si svolgono le sue storie. Concorda con chi dice che in Italia manca il senso della legalità? Pensa che una maggiore diffusione di cultura possa aiutare a cambiare la mentalità del paese?
E' vero, tengo molto al contesto socio-politico delle mie storie. Il romanzo che ho appena finito ha quale fulcro un'agguerrita competizione elettorale. Parlo a mio modo, con ironico disincanto, delle tante colpe di governanti e governati perché sono una cittadina delusa nelle sue speranze giovanili di democrazia, giustizia sociale, etica condivisa. E trovo spesso miope e stupida la maniera in cui da noi si praticano la corruttela e l'ingiusto profitto. In Italia il senso della legalità quanto meno scarseggia. Spiegarne il perché ci porterebbe troppo lontano. Ma colpisce soprattutto, in questo ventennio, non tanto la sconfitta quanto lo sbeffeggio sistematico dei pochi che ne sono forniti. Testimonia una corruzione profonda, un deterioramento etico difficilissimo da sanare. La cultura, correttamente intesa, rappresenta di certo una sponda, ma molti “intellettuali” non brillano per coraggio. “La voce della ragione è debole”, diceva Kant.
8. A proposito di cultura, mi ha particolarmente divertito il racconto “Il danno della letteratura”, la cui protagonista è un recensore di un blog letterario un po’ troppo convinta del proprio sapere. Mi è sembrato evidente il contrasto con la cultura fine ma mai esibita del capitano Osvaldi. C’è un messaggio particolare in questa distinzione?
Mi sono divertita anch'io nello scriverlo. E' quello più giocoso e meno politico, con i tutori dell'ordine costretti a star dietro a soggetti strampalati o ridicoli. Il messaggio è in difesa del sapere autentico. Il quale non è mai erudita supponenza, vana e persino pericolosa per la sanità mentale, come accade alla mia dotta lavandaia. Siamo colti solo se ciò che ciò abbiamo imparato ha fatto di noi persone duttili, autocritiche, pronte a comprendere le ragioni degli altri quanto a difendere con argomenti non dogmatici le nostre.
9. Sempre parlando di blog letterari, negli ultimi anni stanno diventando una realtà sempre più affermata. Crede che questi blog possano offrire qualcosa di diverso rispetto alle recensioni proposte da critici professionisti tramite canali “ufficiali” (giornali, riviste..)?
Anche molti critici professionisti si avvalgono ormai, accanto a quelli tradizionali, dei mezzi offerti dal web. Consentono di raggiungere un più vasto pubblico, il quale interviene commentando. Senza contare che il giornale ha vita breve, mentre il pezzo messo in rete può (quasi sempre!) essere ripreso al bisogno dal lettore interessato.
Quanto ai blog letterari che conosco, alcuni sono per così dire multifunzione, nel senso che ne fa parte o vi si collega un forum dedicato al dibattito degli utenti. Quelli specializzati in presentazione e recensione di testi e/o novità librarie possono avvalersi esclusivamente di “penne” fisse oppure ospitare i giudizi di lettura di ospiti volenterosi.
Naturalmente si notano differenze qualitative tra i diversi blogger che scrivono di libri, non diversamente che nella carta stampata. Rispetto a questa, direi tuttavia che le recensioni dei blog presentano alcuni vantaggi. Oltre alla varietà degli interventi e dei commenti, nei siti letterari ho trovato, per esempio, una maggiore cura e attenzione per il lettore.
Sui maggiori giornali scrivono pochi critici paludati, spesso più intenti a farci sapere in qual brillante maniera essi hanno giudicato un libro che a fornirci elementi per decidere se può essere interessante per noi. Nei blog, invece, è facile imbattersi in una accurata disanima, con tutti gli elementi utili: genere, trama, personaggi, gradimento eccetera. Penso quindi che, nell'educazione e invito alla lettura, essi siano più efficaci dei canali ufficiali.
10. Una domanda che faccio a tutti gli esordienti: è stato difficile trovare una casa editrice interessata al suo libro? Più in generale che idea si è fatta del panorama editoria italiano?
In verità è stato facile, però avevo impiegato un po' di tempo per scegliere alcune editrici adatte. E' infatti un errore dell'esordiente quello di proporsi in modo indiscriminato. Autodafé ha preso contatto per prima, più interessata al sociale che al giallo, ma senza preclusioni di genere. Un panorama affollatissimo! Il mantra che ci siano più scrittori che lettori risuona da tempo, ma ora leggo che è divenuto realistico anche quest'altro: 'esistono più editori che scrittori', ovvero i piccoli editori si sono moltiplicati, per cui tanti esordienti provano la gioia insperata di vedersi pubblicati. E anche la delusione, da emergenti, di constatare l'insignificanza del risultato, perché i loro libri ben di rado accedono alla grande distribuzione, monopolizzata da un numero ristretto di soggetti. E non mi risulta che la vendita nel web o la diffusione degli epub abbiano fatto molta strada. Dunque? L'autore perseverante può solo sperare che il suo editore riesca a diventare almeno medio o... che un big sia accorga di lui!
11. Concludendo: so che potrebbe esserci un seguito alle avventure di Osvaldi, può dirci qualcosa di più?
Sì, ho scritto un romanzo, al vaglio di Autodafé cui spetta per contratto il diritto di prelazione. Al centro, come accennavo, una tornata elettorale. Siamo sempre a Maraglia con Osvaldi e i suoi collaboratori, non tutti impeccabili come nei racconti. Alle vicende marinaresche si intreccia la storia di una ricca famiglia emergente, con i suoi interessi e segreti. E ha un ruolo di primo piano un filosofo problematico, personaggio cui tengo molto. Mi fermo qui.
Grazie per aver accettato quest’intervista e in bocca al lupo per il futuro!
Ho apprezzato le domande impegnative. Spero di non aver appesantito troppo le risposte... Grazie a voi e buon lavoro!.
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