Recensione
Se proprio bisognasse trovare un difetto a questo libro, l'unico che mi viene mente sarebbe che mentre il protagonista, il Jacob del titolo, è biondo, sulla copertina compare un adolescente castano dallo sguardo torvo.
Per il resto, anche se i legal thriller ambientati nelle aule di tribunale non mi risultano così coinvolgenti, la storia è ben costruita e ben scritta: mette insieme una serie di tematiche che non riguardano solo una vicenda di cronaca nera ma il mondo della famiglia e l'eredità che questa comporta in tanti sensi.
Il narratore che è il viceprocuratore distrettuale incaricato delle indagini sull'assassinio di Ben Rifkin, Andrew Barber, è anche il padre del principale indiziato, Jacob, un ragazzo difficile come lo possono essere tutti i quattordicenni. Ha avuto diverbi con la vittima, che era, al netto delle agiografie post-mortem, un bullo da scuole superiori, e una perizia psichiatrica ne certifica una sorta di immaturità psichico-emotiva e una tendenza alla crudeltà.
Il racconto è tutto incentrato su come il padre gestisce il processo e, prima di questo, il tema centrale è il dubbio sulla reale colpevolezza del figlio. La questione verte soprattutto sul, di per sè trito, argomento dell'educazione vs eredità genetica.
Nonostante il suo background di uomo della legge, Andy Barber proviene infatti da una stirpe di criminali che affonda le sue radici nel selvaggio west di fine '800: una volta finito nel turbine dell'indagine sulla morte di Ben Rifkin, Barber è costretto a raccontare questa parte della sua storia famigliare, che aveva tenuto nascosta, anche alla moglie Laurie e al figlio Jacob.
Se da un lato la voglia di essere giudicati per quello che si è e si fa e non per da dove si proviene è umanamente comprensibile, resta il fatto che almeno in parte la vita di coppia e poi di famiglia risulta poggiare su una dose di menzogna. Proprio questa slealtà contribuisce a creare la crepa nella reciproca fiducia che dovrebbe tenere insieme un gruppo in un momento difficile.
Jacob mostra il lato oscuro che, prima o poi a partire dall'adolescenza, ogni essere umano è chiamato ad affrontare e irreggimentare per entrare a far parte del consorzio civile, di cui le aule di tribunale costituiscono una tutela, ma nel suo caso si insinua il dubbio che la natura ereditaria di questo aspetto caratteriale lo renda ingovernabile.
Il lettore rimane letteralmente scisso nei due punti di vista legati a questo dilemma, quelli diversi della madre e del padre di Jacob, i quali seppur accomunati dal desiderio di difendere il loro figlio, tuttavia pervengono a posizioni diverse: mentre il padre appare del tutto irremovibile dalla fiducia nel figlio e, scettico anche sulle reali possibilità di comprensione della psichiatria, è tutto teso solo a evitare il carcere per garantire di riflesso anche a se stesso la fuga dalla condanna genetica, la madre Laurie sente più grave il fardello, anche solo ipotetico, di aver generato un mostro e di non averlo saputo o voluto riconoscere.
Se è vero che la narrazione è affidata solo alla voce paterna, però scaturisce da un momento in cui Andrew Barber ha superato quella fase perché la vicenda ha subito evoluzioni impreviste e il suo racconto si può considerare se non obiettivo quantomeno molto rispettoso anche di opinioni divergenti.
Chiamato ad affrontare i suoi fantasmi, l'ex vice procuratore distrettuale fa i conti non solo con il sistema della giustizia americano e i suoi aspetti mediatici, così lontani dal nostro modo di pensare, ma anche con il suo passato. L'incontro con il padre nel carcere, in cui è detenuto per omicidio, apre uno sviluppo della trama che sarà, per un certo verso, risolutivo, ma che qui è meglio non anticipare.
Per questo motivo e per il fatto che Andrew Barber parla da una posizione in qualche modo definitiva e super partes, 'In difesa di Jacob' si può considerare non un semplice giallo da tribunale alla Grisham ma un'immersione nel sommerso che ci circonda più da vicino, il lato oscuro della propria famiglia, e che in qualche misura concorre a delineare l'identità dell'individuo tra doti innate e smussature culturali.
Interessante, per esempio, è l'aspetto dell'alienazione adolescenziale legata alle tecnologie e ai social network: Facebook e vari altri aggeggi rivestono per i nativi digitali smanettoni come Jake insieme uno strumento di comunicazione e un mezzo per sfuggire al controllo degli adulti, rintanandosi in un solipsismo che non può non avere ricadute sulla crescita.
Se anche quest'analisi non scandaglia troppo in profondità e lascia forse troppi spiragli aperti al dubbio e all'ambiguità, Landay gestisce la trama in modo esemplare e tiene avvinto il lettore fino all'ultima pagina, infilando un paio di colpi di scena finali da vero maestro.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: In difesa di Jacob
- Titolo originale: Defending Jacob
- Autore: William Landay
- Traduttore: Sara Brambilla
- Editore: Time Crime
- Data di Pubblicazione: 2012
- Collana: Narrativa
- ISBN-13: 9788866880103
- Pagine: 544
- Formato - Prezzo: Brossura - euro 7,70
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