L'autore
Dario Piparo nasce a Varese nel 1988 da genitori siciliani. Già all'età di due anni si trasferisce ad Agrigento, dove tutt'ora vive e studia presso la facoltà di giurisprudenza. Il suo sogno è quello di entrare nel mondo del giornalismo e di scrivere per vivere. Innamorato della letteratura di Bukowski e Palahniuk, aspira a combinare nella sua scrittura i loro stili concisi e a effetto con la maestria dei thriller di Dennis Lehane. È un grande appassionato di telefilm e della musica di Franco Battiato, che gli è di ispirazione in ogni momento della sua vita.
Il libro
1971. Il popolo Ilois venne cacciato dalle isole Chagos. Esiliati alle Mauritius soffrirono la fame e l’emarginazione sociale. Ma alcuni di loro, ancora oggi, conservando un segreto, alimentano la speranza. Ai nostri giorni, Kevin Stanford, giovane giornalista statunitense, parte per una vacanza alle Maldive con gli amici. Ma una serie di scoperte sconvolge il loro viaggio: un manufatto, un messaggio cifrato, un’isola apparentemente deserta. Chi si nasconde dietro questo enigma? Perché Kevin e i suoi amici vengono coinvolti? Chi è e quali poteri ha il Guardiano? Una serie di indizi li porterà a imbattersi in occulte trame internazionali, in depistaggi della CIA e, naturalmente, nell’orgoglio ferito e nella “magia” del popolo Ilois, desideroso di riconquistare a ogni costo la sua isola.
L'intervista
"Renewal" scaturisce da quello che è il sogno di tanti, partire per un paradiso lontano per risolvere i propri problemi: a te è capitato di affrontare un viaggio con motivazioni simili? Credi sia possibile trovare “la Soluzione” lontano da casa, o piuttosto che i problemi ti seguano anche sulla vetta dell'Everest?
No, a dire il vero non mi è mai capitato fisicamente. Forse il romanzo, questo viaggio immaginario, è una deformazione di quello che hai appena descritto. Non ne sono sicuro. Io credo che i problemi siano ad interpretazione. Dipendono da persona in persona, dai parametri di giudizio e quindi dall'approccio al problema. Semmai il viaggio può rappresentare un modo per valutare la realtà da altre prospettive, modificando quindi l'approccio.
Hai scelto di far girare le vicende attorno a un numero impressionante di personaggi, tutti con un ruolo ugualmente importante: come ti sei trovato a gestirli tutti, mantenendo la loro individualità?
Non è stata una scelta particolarmente ponderata. Ho iniziato questo romanzo con grande ingenuità, per la pura voglia di esprimere qualcosa che ancora non capivo dove mi avrebbe portato, e soprattutto che significato potesse avere. Il fatto di trarre ispirazione a persone a me realmente vicine mi ha aiutato a dare una fisionomia particolarmente accurata per ognuno di essi.
In chi di loro ti riconosci maggiormente?
In nessuno di essi. C'è qualcosa di mio in tutti, ma non mi identifico totalmente in nessuno. Inizialmente il mio alter ego voleva essere Kevin Stanford, ma il risultato non è fedele.
I tuoi personaggi rappresentano una sorta di microcosmo delle relazioni: un amore finito, un rapporto in crisi, una storia di sesso in cui immancabilmente un partner si innamora dell'altro, la nascita improvvisa e inaspettata di un sentimento nuovo, l'amore segreto e non ricambiato. Nonostante l'argomento principale non siano i sentimenti, è possibile affermare che siano proprio questi il motore delle vicende che narri?
Assolutamente sì. I rapporti interpersonali sono il motore di qualsiasi cosa. E spero di aver prodotto un romanzo che non si basi su una serie di eventi meccanici, bensì da una serie di personaggi empatici a cui capitano cose strambe.
I protagonisti vengono loro malgrado coinvolti nella storia dolorosa degli Ilois: come sei venuto a conoscenza della loro situazione? Perché (o cosa) ti ha colpito in modo particolare?
Ho trovato la loro storia per caso sul web, e allora ho deciso che sarebbe stata la mia storia. Quello che mi ha colpito credo sia tangibile: non credo che si possa rimanere indifferenti di fronte a un fatto di cronaca come questo. Il problema è che non ne parla nessuno.
Un consiglio che si sente spesso, ma che forse è più un luogo comune, è quello di scrivere di qualcosa che si conosce, che si tratti di un luogo o di un evento particolare: influenzati da questo, potrebbe colpire la tua scelta di personaggi americani e di un'ambientazione esotica. Al di là di questa teoria non sempre condivisibile, mi sono comunque chiesta (e quindi chiedo a te) il perché di questa tua "esterofilia": mi ha colpito in particolare l'attaccamento del protagonista alle sue radici italiane e il tuo evidente legame con l'Italia, come se ci fosse un polo magnetico, un riferimento costante alla Penisola.
Guccini in una bellissima intro prima di una sua canzone diceva che "gli americani ci fottono con la lingua: quella sera partimmo John, Dean ed io sulla vecchia Pontiac del ’55 del padre di Dean e facemmo tutta una tirata da Omaha a Tucson. Quella sera partimmo sulla vecchia 1100 del babbo di Giuseppe e facemmo tutta una tirata da Piumazzo a Sant’Anna Pelago. Ecco, non è proprio la stessa cosa."
Ma ovviamente la mia è una battuta, come hai potuto notare l'attaccamento alla propria terra è tangibile, come un elastico che quando più ti spingi oltre più ti tira indietro. Anche se con la fantasia. Però è un fattore soggettivo. Ognuno dev'essere libero di parlare di ciò che vuole, basta che lo faccia bene.
In “Renewal” sono numerosi gli omaggi a Franco Battiato: da cosa nasce la tua passione per la sua musica?
E' stato un cantautore molto influente durante la mia crescita. Fa parte di quello che sono. In famiglia lo ascoltano da sempre, quindi non l'ho scoperto, è sempre stato là.
Lettura e scrittura si accompagnano volentieri alla musica, non solo come sottofondo, ma anche come sensazioni che la trama può suggerire: in “Renewal” ho fatto un po' di fatica ad “ascoltare” Battiato, piuttosto ho sentito maggiori affinità con un hard rock. Al di là dei gusti personali, ci sono dei punti di contatto tra il tuo romanzo e i lavori di Battiato? Idee, concetti, sonorità che ti hanno ispirato...
Per me la musica è fondamentale durante la stesura. Mi concentro molto sul linguaggio, anche, provo a studiare le strutture dei testi di Battiato, Capossela, De Andrè, Cohen, Dylan, nonostante sia un tipo di elaborazione completamente diversa. Ma la musica, come la letteratura e il cinema, riesce a darmi il materiale emotivo che poi riverso nella scrittura. In quel periodo mi sentivo particolarmente a Battiato, e forse ho dato un'impronta sul romanzo più su un piano di riconoscenza.
Franco Battiato, per quanto sia un grande autore, è decisamente legato al mondo della musica: quali sono invece le tue preferenze letterarie? A quali autori ti ispiri?
Potrei citarne tanti. Ma gli autori che sento più vicini a me sono Charles Bukowski e John Fante. Sempre accomunati ma estremamente diversi. Quando leggo loro mi sento a casa, protetto, e ascolto e leggo e vivo con loro. Per quanto riguarda le mie preferenze letterarie, sono un amante della narrativa emozionale, non romanzesca, quotidiana, vera, storie di suburre e di regge, storie di emozioni vere che escono dalla pagina. Non amo il fantasy, la fantascienza e, vi sembrerà strano, ma non sono un fanatico neanche del thriller. Ma poi, alla fin fine, il genere è solo una stupida catalogazione: un buon romanzo è un buon romanzo, e qualsiasi cosa riesca a darmi quello che cerco è bene accetta. Anche se parla di alberi parlanti.
Concludo con la domanda di rito: quali sono i tuoi progetti per il futuro?
Come può trasparire, ho abbandonato il thriller. La mia strada è la narrativa. Farò di tutto per cercare di diventare un bravo scrittore. Ne ho bisogno. Se succederà, se ne accorgerà qualcuno. Altrimenti farò i provini per il Grande Fratello. Grazie mille per l'opportunità, un grande in bocca al lupo!
Grazie a te, Dario!
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