Buonasera a tutti i lettori,
torna oggi Angolotesti, una selezione di testi letterari o poetici nella loro interezza con una breve contestualizzazione perché possiate meglio apprezzarli. Nulla di specifico, come al solito, solo qualche accenno per i non addetti ai lavori.
Dopo Gautier rimaniamo nell'Ottocento, passando però dalla prosa romantica alla poesia simbolista di Giovanni Pascoli. Poeta notissimo (spesso tutt'altro che positivamente) a chi ha terminato la scuola dell'obbligo, come ogni autore imposto necessiterebbe di una rilettura a mente lucida e vergine dalla critica per poterne meglio apprezzare le caratteristiche meno 'accademiche'.
La turbata personalità del poeta romagnolo ha dato vita a numerose raccolte poetiche pervase dal tema degli affetti familiari, custoditi con morbosa gelosia, che si intreccia con la persistente ombra della morte, ora vista come necessaria nel ciclo naturale delle cose, ora come angoscioso nulla. L'assiuolo è tratto da Myricae, prima raccolta poetica dell'autore la cui edizione definitiva (del 1900) contiene circa centocinquantasei componimenti scritti nel corso di vent'anni di vita. In essa l'autore si immagina immerso in un paesaggio notturno così nebbioso da impedirgli di scorgere la luna, circondato da una moltitudine di impressioni soprattutto uditive; spicca tra le altre il verso di un assiolo (uccello popolarmente associato a disgrazie e trapassi), chiù, il quale da voce si trasforma in singulto e poi in pianto di morte.
Incombono dunque l'angoscia (un sussulto) e i ricordi (un grido che fu), mentre il frinire delle cavallette si trasfigura in sistri d'argento, antichi strumenti egizi che rimandano ai misteri dell'aldilà (le invisibili porte) che non possono essere spiegati né enunciati, ma a cui si può solo alludere (forse non s'aprono più).
La poesia che segue è un meraviglioso esempio di musicalità, perfettamente resa dallo schema rimico, dalle allitterazioni, dalle sinestesie e dalle onomatopee.
Dov’era la luna? ché il cielo
notava in un’alba di perla,
ed ergersi il mandorlo e il melo
parevano a meglio vederla.
Venivano soffi di lampi
da un nero di nubi laggiù;
veniva una voce dai campi:
chiù...
Le stelle lucevano rare
tra mezzo alla nebbia di latte:
sentivo il cullare del mare,
sentivo un fru fru tra le fratte;
sentivo nel cuore un sussulto,
com’eco d’un grido che fu.
Sonava lontano il singulto:
chiù...
Su tutte le lucide vette
tremava un sospiro di vento:
squassavano le cavallette
finissimi sistri d’argento
(tintinni a invisibili porte
che forse non s’aprono più?...);
e c’era quel pianto di morte...
chiù...
Giovanni Pascoli nacque nel 1855 in provincia di Forlì da famiglia agiata, quarto di dieci fratelli; ben presto la sua giovinezza fu funestata da una lunga serie di lutti: il padre (ucciso mentre rientrava a casa in carrozza), la madre, tre dei fratelli. Divenuto capofamiglia, Giovanni, dopo aver escluso dalla sua vita qualsiasi relazione sentimentale, tentò morbosamente di ricostruire un nucleo familiare insieme alle due amate sorelle, Ida e Maria, e dalla prima si sentì tradito quando si sposò contro la sua volontà. Personalità fragile e tormentata, Pascoli fece sempre rivivere in sé un fanciullino, la parte infantile soffocata in ogni uomo adulto, figura umile eppure superiore perché capace di vedere la vera realtà delle cose, osservandole con occhi nuovi e attraverso vie intuitive e a-razionali. Pascoli si fece portavoce della rivelazione di una realtà segreta cui può accedere solo il poeta, in quanto in grado di svelare l'universale nel particolare attraverso una catena di analogie simboliche. Il suo percorso poetico va dalle Myricae (1891), piena espressione della corrente poetica simbolista ma fortemente legata al classicismo carducciano, e in cui si intrecciano motivi familiari a motivi naturalistici, ai Poemi conviviali (1904), in cui si ravvede l'inizio della tendenza espressionista, passando per i Canti di Castelvecchio (1903), in cui viene meno il frammentismo che costituiva la più evidente caratteristica di Myricae.
Qualche mese dopo aver pronunciato il discorso La grande Proletaria si è mossa, inno al nazionalismo italiano e volto a incoraggiare pubblicamente l'impresa coloniale in Libia (il poeta, dopo una giovanile parentesi socialista, era nel frattempo approdato a un populismo conservatore), Pascoli morì di cancro al fegato, nel 1912, a Bologna.
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