Con il titolo Palermo or Wolfsburg, da questo romanzo, il regista Werner Schroeter ha realizzato il film vincitore dell'Orso d'Oro al Festival di Berlino 1980.
Recensione
Michele Calafiore è un giovane siciliano in partenza. L'attende la Germania, che non è una meta ma solo lo stress di un viaggio in treno, e il resto delle giornate passate in fabbrica a risparmiare sugli straordinari e a calcolare quanta libertà d'acquisto abbia guadagnato rispetto agli amici, che si è lasciato a Palma di Montechiaro e che ormai sono solo nella sua testa. Il ragazzo è il più grande tra i fratelli, e deve saldare il debito accumulato dalla famiglia per comprare la terra che garantirà a generazioni sconosciute una posizione certa, al di là del sole, del mare, della fenomenologia dei cadaveri che nascono nei campi senza un perché, del caldo che fa tremare gli occhi. Il viaggio in treno rappresenta la continuità orizzontale che segna la vita del protagonista, povero in Sicilia, povero e solo in Germania, l'immobilità culturale fondata su valori usati.
Michele dimentica la sua armonica e non impara il tedesco, ein mark ein minute è l'unica frase che gli si imprime nel cervello, la stessa volontà di ferro con cui forgia sportelli per automobili. I piccoli loculi che sanno di piscio, dove per un marco dietro un vetro si alza una tendina e fioriscono donne nude sempre diverse, allo stesso ritmo di una catena di montaggio, per cui finito uno sportello se ne fa un altro e così fiori biondi e castani o neri con le dita sempre immerse, sono lo stupore di un bambino che non cresce perché muto, che scambia la fidanzatina di Palma con quella di Wolfsburg.
Non c'è ascesa o discesa, solo un camminare vacuo per seguire radici che si sono perdute nel sottosuolo, ma che si immaginano ancora sotto a seguire i propri passi. Non ci sono fatti storici sullo sfondo, date da ricordare, non c'è uno sfondo, le giornate si contano con le birre bevute o le parole spese con questo o quello emigrante che la sa sempre più lunga. L'autore stesso ci informa fin dall'inizio, Michele affronta la sua passione senza coraggio o viltà perché non c'è nulla per cui lottare. Uccidere i suoi rivali in amore ed essere processato da un popolo che non conosce non aggiunge nulla alla storia.
È solo la fine. La passione comincia dall'inizio: “Michele cominciò a scendere correndo la scalinata che portava al centro del paese. Alto, magro, con una nuvola di capelli neri, due occhi neri e ridenti che sembravano messi per sbaglio in quel viso selvatico. Era contento poiché aveva lavorato due giorni da manovale e ora aveva diciottomila lire in tasca.”
In “London Fields” Amis, prima di iniziare il racconto del racconto di un omicidio, riflette sulla scelta dello scrittore per il titolo: “...due classi, due ordini. I titoli del primo tipo si riferiscono a qualcosa che già esiste nella realtà. I titoli del secondo tipo sono onnipresenti: vivono e respirano, o tentano di farlo, in ogni pagina.”
"Passione di Michele” non è un titolo che vive o respira, Giuseppe Fava sigla un patto col lettore, un patto fondato sulla franchezza, un'intenzione da giornalista. Questo romanzo non lo si può leggere a prescindere dalla sua produzione giornalistica, che lo condannerà il 5 gennaio del 1984 a diventare uno dei tanti morti per mafia della Sicilia. L'aspro giudizio morale, in difesa di generazioni di disperati spremuti in onore della povertà senza nome, risuona più come un grido politico che letterario, sia per i cadaveri morti che per quelli che camminano e ancora stanno camminando.
Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Passione di Michele
- Autore: Giuseppe Fava
- Editore: Mesogea
- Data di Pubblicazione: 2009
- Collana: La piccola
- ISBN-13: 9788846920805
- Pagine: 256
- Formato - Prezzo: Brossura - 15,50 Euro
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