L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
***
«Al sedicesimo colpo l'uomo legato sul cavalletto sviene. La pelle è diventata gialla, quasi trasparente, e la testa penzola immobile dal bordo del tavolo. La luce della lampada a olio appesa alla parete fa intravedere un rivolo di lacrime sulle sue guance sporche e un filo d sangue che gli gocciola sul naso. Chi lo picchiava si ferma per un attimo, indeciso, il nerbo in una mano, mentre con l'altra si deterge dagli occhi il sudore che gli intride anche la camicia. Quindi si gira verso una terza persona che sta in piedi alle sue spalle, nell'ombra, appoggiata alla porta. L'uomo con il nerbo ora ha lo sguardo di un cane da presa che torna scornato dal padrone. Un mastino enorme, brutale, impacciato.»
«– E così il denaro sei riuscito a trovarlo? – chiede il ragazzo chiamato Corvo. Il modo di parlare è il solito, un po’ strascicato. Come di uno che si è appena svegliato dopo una lunga dormita e ha i muscoli della bocca ancora intorpiditi. Ma il suo è solo un atteggiamento: in realtà è perfettamente sveglio. Come sempre.
Io annuisco.
– Quanto?
Rifaccio un’altra volta il calcolo a mente, quindi rispondo: - Circa quattrocentomila yen in contanti. Poi c’è ancora qualcosa che posso prelevare con la carta. Naturalmente non credo che basti, ma almeno per ora dovrei farcela.
– Non è male, – dice il ragazzo chiamato Corvo. – Almeno per ora.
Io annuisco.
– Però questi soldi non li hai certo ricevuti da Babbo Natale, o sbaglio? – dice.
– No, – rispondo.
Il ragazzo chiamato Corvo si guarda intorno, storcendo leggermente le labbra in una smorfia ironica.
– Non sarà che provengono dal cassetto di qualcuno, qualcuno molto vicino?
Non rispondo. Lui sa benissimo di chi è quel denaro, è ovvio. Non sta cercando di strapparmi una confessione. Mi sta semplicemente prendendo in giro.
– Beh, pazienza, – dice il ragazzo chiamato Corvo. – Quei soldi ti servono davvero. Devi averli. Qualsiasi mezzo è lecito: chiederli, prenderli in prestito di nascosto, rubarli… In ogni caso sono soldi di tuo padre. Con quelli, almeno per ora, ce la farai. Ma quando avrai finito quei quattrocentomila yen, come hai intenzione di muoverti? I soldi non crescono spontaneamente nel portafogli come funghi di montagna. Avrai bisogno di mangiare, e di un posto per dormire. A un certo punto i soldi finiranno.
– Ci penserò quando sarà il momento, – dico.
– Ci penserò quando sarà il momento, – ripete il ragazzo, come soppesando le mie parole sul palmo della mano.
Io annuisco.
– Vuoi dire che cercherai un lavoro o qualcosa del genere?
– Forse, – dico.
Il ragazzo chiamato Corvo scuote la testa. – Ma quando imparerai qualcosa sulla vita? Come pensi che un ragazzo di quindici anni, in un posto lontano e sconosciuto, possa trovare un lavoro? Se non hai neanche finito la scuola! Chi ti darebbe un impiego?
Arrossisco leggermente. Sono uno che arrossisce subito. – Mah, lasciamo perdere, – dice il ragazzo chiamato Corvo. – Non è il caso di fare un elenco dei problemi, prima ancora di cominciare. Ormai hai fatto la tua scelta. Adesso si tratta solo di metterla in pratica. E comunque sia, è la tua vita. Alla fine, sei tu a dover decidere.
Sì, e comunque sia, questa è la mia vita.»
«La trovai sul divano. I capelli sciolti e scarmigliati le nascondevano la faccia. La testa era piegata sui cuscini in posizione innaturale. Le gambe puntavano verso il soffitto, nude e bianche, scoperte dalla gonna rovesciata intorno ai fianchi. Spalancai la bocca ed esclamai:
- Marina, cosa diavolo fai messa a quel modo?
Allora Marina, figlia del mio terzo marito e pertanto in via semiufficiale mia figliastra, ricompose la sua contorta figura per ritrovare la stazione eretta. Congestionata da quel sottosopra, rispose:
- Vedevo tutto all’incontrario.
- Mi ha fatto una gran brutta impressione trovarti così.
- Perché ti è tornata in mente la gente assassinata…
Quella bambina di otto anni, taciturna, discreta, intelligente, aveva il dono di leggermi nel pensiero con spaventosa facilità. Mi piantava addosso i suoi occhi azzurro chiaro e automaticamente sapeva qualunque cosa mi passasse per la mente. Ma quella sua virtù che mi costringeva a vivere con la guardia alzata non mi piaceva affatto. Mentii:
- Gente assassinata? Che idea! Non ho pensato proprio a niente del genere.
- E allora cos’è che ti ha fatto tanta impressione?
Improvvisai:
- Mi sei sembrata… un pollo appeso in una polleria!
Ci pensò su, cercando di trovare interessante l’idea di essere un pollo e probabilmente ci riuscì, perché con somma agilità si rimise gambe all’aria senza dire una parola.»
«tutto è più difficile nell'età adulta, tutto suona più falso un po' metallico come il rumore di due armi di bronzo una contro l'altra ci rimandano a noi stessi senza lasciarci uscire da niente è una bella prigione, viaggiamo con molte cose, un bambino che non abbiamo tenuto una piccola stella in cristallo di Boemia un talismano vicino alle nevi che guardiamo sciogliersi, dopo l'inversione della corrente del golfo preludio della glaciazione, stalattiti a Roma e iceberg in Egitto, non smette di piovere a Milano ho perso l'aereo avevo davanti a me millecinquecento chilometri di treno me ne restano cinquecento, stamattina le Alpi brillavano come coltelli, tremavo dallo sfinimento seduto al mio posto senza poter chiudere occhio come un drogato tutto indolenzito, ho parlato tra me a voce alta sul treno, o a voce bassa, mi sento vecchissimo»
«In una notte nera, sotto un cielo sereno e pieno di stelle, nella città di Berlino, nell'anno 2003, due giovani stavano cenando insieme. Si chiamavano Sophie e Patrick.
Si erano incontrati quel giorno per la prima volta. Sophie stava visitando Berlino con sua madre, Patrick con suo padre. La madre di Sophie e il padre di Patrick si erano frequentati per un po', parecchio tempo prima; niente di speciale, però. Per qualche tempo, quando andavano ancora a scuola, il padre di Patrick era stato addirittura innamorato della madre di Sophie, ma erano passati ventinove anni dall'ultima volta che si erano scambiati qualche parola.»
«Per arrivare fino in fondo al vicolo, i raggi del sole devono scendere diritti rasente le pareti fredde, tenute discoste a forza d'arcate che traversano la striscia di cielo azzurro carico.
Scendono diritti, i raggi del sole, giù per le finestre messe qua e là in disordine sui muri, e cespi di basilico e di origano piantati dentro pentole ai davanzali, e sottovesti stese appese a corde; fin giù al selciato, fatto a gradini e a ciottoli, con una cunetta in mezzo per l'orina dei muli.
Basta un grido di Pin, un grido per incominciare una canzone, a naso all'aria sulla soglia della bottega, o un grido cacciato prima che la mano di Pietromagro il ciabattino gli sia scesa tra capo e collo per picchiarlo, perché dai davanzali nasca un'eco di richiami e d'insulti.»
«Le notizie su Walter Berglund non vennero riprese dalla stampa locale - lui e Patty si erano trasferiti a Washington due anni prima, e ormai non contavano più niente per St Paul -, ma la nuova borghesia urbana di Ramsey Hill non era così leale alla propria città da non leggere il "New York Times". Secondo un lungo e assai poco lusinghiero articolo del "NYT", Walter, nella capitale della nazione, aveva mandato a rotoli la propria vita professionale. I suoi vecchi vicini avevano qualche difficoltà a conciliare la descrizione del quotidiano ("arrogante", "tirannico", "eticamente compromesso") con l'uomo generoso, sorridente e rubicondo dei loro ricordi, l'impiegato della 3M che risaliva Summit Avenue sulla sua bici da città nella neve di febbraio; sembrava assurdo che Walter, più verde di Greenpeace e cresciuto in campagna, fosse finito nei guai per connivenza con l'industria del carbone ai danni dei contadini. Ma nei Berglund, d'altra parte, c'era sempre stato qualcosa che non andava.»
«Non so se raccontarvi i miei sogni. Sono sogni vecchi, passati di moda, più adatti a un adolescente che a un uomo fatto. Sono pieni di dettagli e allo stesso tempo precisi, piuttosto lenti anche se molto colorati, come quelli che potrebbero fare un animo fantasioso ma in fondo semplice, un animo molto ordinato. Sono sogni che finiscono per stancare un po', perché chi li sogna si sveglia sempre prima della loro conclusione, come se l' impulso onirico si esaurisse nella rappresentazione dei particolari e si disinteressasse del risultato, come se l'attività di sognare fosse ancora ideale e senza scopo.»
«St Bertrand de Comminges è una cittadina decaduta sui contrafforti dei Pirenei, non molto distante da Tolosa e ancora più vicina a Bagnéres-de-Luchon. Era stata sede del vescovado fino alla Rivoluzione e ha una cattedrale che è visitata da numerosi turisti. Nella primavera del 1883 un inglese giunse in questo luogo d'altri tempi (non posso neanche dargli il titolo di città, perché non conta nemmeno un migliaio di abitanti). Era uno di Cambridge, venuto da Tolosa appositamente per vedere la chiesa di St Bertrand...»
«In tutta sincerità, mi sforzo di prendere la faccenda allegramente, anche se, a dispetto delle mie proteste, la maggior parte delle persone trova difficile credermi. Per favore, fidati di me. *Posso* davvero essere allegra. Posso essere amabile. Affettuosa. Affabile. E queste sono solo le parole che cominciano per A. Non chiedermi però di essere bella: essere bella non è da me.»
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