Recensione
Ciò che è fuori di te è una proiezione di ciò che è dentro di te, e ciò che è dentro di te è una proiezione del mondo esterno. Perciò spesso, quando ti addentri nel labirinto che sta fuori di te, finisci col penetrare anche nel tuo labirinto interiore. E in molti casi è un'esperienza pericolosa.
Questa la geniale intuizione alla base di Kafka sulla spiaggia, un romanzo dalle atmosfere oniriche, che coniuga lucidissime riflessioni psicologiche a suggestioni freudiane, inconsce ed orrorifiche. Così, è possibile avventurarsi in una foresta oscura, che allo stesso tempo è la foresta che ognuno ha dentro di sé, il luogo più intimo e prezioso dove il tempo non ha più importanza ed è possibile incontrare di nuovo le persone amate e perdute.
Kafka ha quindici anni, la maturità di un adulto, i bisogni di un bambino abbandonato, le domande di un adolescente. La sua narrazione, una lucida ed affascinante narrazione in prima persona, è un percorso di crescita a più livelli: è, soprattutto, una fuga che diviene un ritorno, un ritorno verso se stessi. Nakata è un vecchio un po' rincoglionito che non sa leggere, ma parla coi gatti. Nakata è il rovescio di Kafka: entrambi hanno perso qualcosa, entrambi sono tormentati da un'infanzia mutilata, entrambi, soprattutto, possiedono una mezza ombra. E' il rovescio di Kafka: tanto più adulto, maturo e complesso è il ragazzino, tanto sarà semplice, ingenuo e buono il vecchio. Nella sua semplicità sta però il segreto della sua forza: è l'ingenuità dei bambini, così potente da permettere di comprendere i misteri più impossibili, che si tratti di gatti parlanti, pietre magiche, foreste misteriose. E poi c'è la signora Saeki, anche lei ha perso qualcosa, ha perso un amore, e con esso la sua intera volontà di vivere. Che va avanti, giorno dopo giorno, solo per incontrare la morte. Tutti questi personaggi sembrano convergere in un unico punto: la morte. Ciò che Murakami ha creato, è un sogno ad occhi aperti, un sogno lucido, che mette a nudo l'animo umano. Con qualche aiutino di Sigmund Freud, cui deve tanto, a cominciare dall'ossessivo riferimento al complesso di Edipo. Magistrale è la connotazione psicologica, inconscia ed onirica, così come magistrale è tutta l'ambientazione, le descrizioni naturalistiche che quasi fanno pensare a Flaubert, con una natura che è essa stessa parte dell'Io, con tutto il ricchissimo - com'è tipico di Murakami - apparato di citazioni letterarie e musicali.E' un gran romanzo che alla fine ti lascia una piacevole sensazione di pace, serenità e liberazione.Cos'è, a questo punto, che non mi ha convinto del tutto? Tanto per cominciare, non mi ha fatto impazzire come altri suoi romanzi. Ma soprattutto ad infastidirmi parecchio è il dilagante buonismo di fondo che mi è parso eccessivo. C'è una netta divisione morale tra i personaggi, sembra quasi di leggere Dickens: ci sono personaggi cattivissimi, malvagi, come il padre di Kafka, la cui uccisione viene pertanto giustificata, mentre gli altri sono puri, innocenti, buoni, disponibili con tutti, a cominciare da Hoshino, altro importantissimo personaggio secondario, che abbandona tutto per seguire e sostenere il vecchio Nakata, senza un perché, mosso solo da un'esagerata ed improvvisamente riscoperta bontà.Giudizio:
+4stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Kafka sulla spiaggia
- Titolo originale: Umibe no Kafuka
- Autore: Haruki Murakami
- Traduttore: G. Amitrano
- Editore: Einaudi
- Data di Pubblicazione: 2009
- Collana: Super ET
- ISBN-13: 9788806199678
- Pagine: 518
- Formato - Prezzo: Brossura - 15,00 Euro
Quando succede così, cioè quando un libro riesce a rapirti completamente è sempre bellissimo! Questo romanzo mi ha preso ed affascinato, ma non incantato. Una sottile differenza, ma significativa, perché quello spiraglio di distacco realistico che mi ha lasciato, mi ha permesso di notare appunto quel buonismo di cui ho scritto. E' grazie soprattutto a Nakata: nel suo peregrinare, mi chiedevo sempre "Ma com'è possibile che incontra sempre gente buona pronta a lasciare tutto ed aiutarlo?". E' vero che alcuni personaggi sono "grigi", ma il buonismo si avverte anche nella misura in cui viene perdonato loro tutto, giustificato l'assassinio, e così via.
Grazie comunque del commento!
Tancredi
mi ha fatto venire in mente certe atmosfere sospese a metà tra Akira Kurosawa e Banana Yoshimoto...
credo che lo metterò in lista!
No, no, niente Yoshimoto, per carità. Qui siamo a un livello decisamente superiore.
Concordo, però qualcosina, magari... è che tutti i giapponesi sono fissati con le apparizioni notturne di fantasmi tra il sogno e la veglia. =_=
infatti... mi riferivo proprio alla vaghezza onirica del suo stile...
mi è capitato di leggere qualche punto di vista critico su Banana e devo dire che alla fine il suo stile è meno insulso di quanto appaia.
pur restando comunque un po' distante dai miei gusti!