L'incipit in un libro è tutto. In pochi capoversi l'autore cattura l'attenzione del lettore e lo risucchia nel vortice della storia. Oppure con poche banali parole lo perde per sempre...
Quanti libri, magari meritevoli, giacciono abbandonati dopo poche righe sui comodini di ogni lettore? E quanti altri invece sono stati divorati in poche ore perché già dalle prime righe non siamo più riusciti a staccare gli occhi dalle pagine?
Anche questo mese vogliamo condividere con voi gli incipit dei libri che stiamo leggendo, perché alcuni di voi possano trarre ispirazione per le loro future letture e perché altri possano di nuovo perdersi nel ricordo di personaggi e atmosfere che già una volta li avevano rapiti...
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«IL GIORNALE DELLA SIGNORA WHEEMS
(BOLLETTINO SETTIMANALE DI WHISTLE STOP. ALABAMA)
12 giugno 1929
Apre un nuovo caffè
Il Caffè di Whistle Stop ha aperto la settimana scorsa, proprio di fianco a me alla posta, e le proprietarie, Idgie Threadgoode e Ruth Jamison, affermano che fin dal primo giorno gli affari sono andati a gonfie vele. Idgie dice che la gente non deve aver paura di restare avvelenata, perché non è lei che cucina ma due donne di colore, Sipsey e Onzell, mentre al barbecue c'è Big George, il marito di Onzell.
Se qualcuno non c'è ancora stato, Idgie dice che la colazione viene servita dalle 5.30 alle 7.30 e il menù prevede uova, farina di granturco, biscotti, pancetta affumicata, salsiccia, prosciutto, sugo di carne e caffè, il tutto per 25 centesimi. Per pranzo e cena: pollo fritto, braciole di maiale al sugo, pescegatto, pollo e gnocchi o barbecue e tre verdure a scelta, gallette o pane di granturco, bevande e dessert per 35 centesimi. Fra le verdure Idgie elenca: granturco alla panna, pomodori verdi fritti, gombo fritto, cavolo riccio, barbabietole, fagioli dell'occhio, patate dolci e fagioli di Lima.
Io e la mia metà, Wilbur, ci siamo stati, ed era tutto così buono che ora lui non vuole più mangiare a casa. Fosse vero! Passo le giornate a cucinare per quello zuccone, eppure sembra che non ne abbia mai abbastanza.
Per finire, Idgie dice che una delle sue galline ha deposto un uovo con dentro una banconota da dieci dollari.
Dot Weems»
«"Beh principe, quindi ora Genova e Lucca sono solo possedimenti di famiglia dei Buonaparte. Ma vi avverto, se direte ancora che questo non significa guerra, se ancora tentate di difendere le infamie e gli orrori di quell'Anticristo - davvero credo che egli sia l'Anticristo - non vorrò più avere nulla a che fare con voi, e voi non siete più il mio fedele servitore, come voi stesso vi definite. Ma benvenuto, benvenuto, vedo che vi ho spaventato, sedetevi e raccontate!"
Così diceva Anna Pavlovna Scherer damigella d'onore e amica personale dell'imperatrice Marja Fjòdorovna, accogliendo il grave e altolocato Principe Vasilij che era arrivato per primo al suo ricevimento. Da molto giorni Anna Pavlovna tossiva, aveva la grippe, come diceva le (la grippe allora era una parola nuova, usata da pochi). Nei biglietti d'invito, mandati la mattina tramite un lacchè in livrea rossa, era scritto, senza alcuna variante: "Se non avete nulla di meglio da fare Conte, (o Principe) e se la prospettiva di trascorre la serata con una povera invalida non vi sembra troppo terribile, sarò molto felice di vedervi stasera fra le 7 e le 10.
Annette Scherer»
«Venerdì 3 dicembre
Ottobre Rosso
Il capitano in prima della Marina sovietica Marko Ramius era vestito per il clima artico tipico di Poljarnij, base sottomarina della flotta settentrionale: cinque strati di lana e tela cerata. Un sudicio rimorchiatore stava voltando la prua del suo sommergibile verso nord, ossia verso l'uscita del canale. Il bacino che aveva ospitato il suo Ottobre Rosso per due interminabili mesi era ora una cella di cemento piena d'acqua, una delle tante appositamente costruite a protezione dei sottomarini strategici lanciamissili dalla crudezza delle condizioni atmosferiche. Sulla banchina, un gruppo misto di marinai e portuali osservava l'uscita del sottomarino con flemma tipicamente russa, senza agitar di mani né evviva.»
«Questo libro parla di un argomento che non è molto in voga in Occidente: si parla di Putin senza toni ammirati.
A scanso di equivoci, spiego subito perché tale ammirazione (di stampo prettamente occidentale e quanto mai relativa in Russia, dato che è sulla nostra pelle che si sta giocando la partita) faccia qui difetto. Il motivo è semplice: diventato presidente Putin - figlio del più nefasto tra i servizi segreti del Paese - non ha saputo estirpare il tenente colonnello del KGB che vive in lui, e pertanto insiste nel voler raddrizzare i propri connazionali amanti della libertà. E la soffoca, ogni forma di libertà, come ha sempre fatto nel corso della sua precedente professione.
Questo libro spiega inoltre come noi, che in Russia ci viviamo, non vogliamo che ciò accada. Non vogliamo più essere schiavi, anche se è quanto più aggrada all'Europa e all'America di oggi. Né vogliamo essere granelli di sabbia, polvere sui calzari altolocati - ma pur sempre calzari di tenente colonnello - di Vladimir Putin. Vogliamo essere liberi. Lo pretendiamo. Perché amiamo la libertà tanto quanto voi.»
«... e noi nell'ultima guerra abbiamo perso un amante. Avevamo un amante, e da quando è cominciata la guerra non lo si trova più, è sparito. Lui e la vecchia "Morris" di sua nonna. Da allora sono passati già più di sei mesi, e di lui non abbiamo saputo più nulla. Noi diciamo sempre: questo è un paese piccolo, una specie di grande famiglia, se uno ci si mette può scoprire legami persino tra le persone più lontane – e invece, come se si fosse spalancato un abisso, una persona è scomparsa senza lasciare traccia, e tutte le ricerche sono state inutili. Se fossi sicuro che è rimasto ucciso, rinuncerei. Che diritto abbiamo noi di ostinarci per un amante ucciso, quando c'è gente che ha perso tutto quello che aveva di più caro – figli, padri e mariti?»
«Nessuno pensa mai che potrebbe ritrovarsi con una morta tra le braccia e non rivedere mai più il viso di cui ricorda il nome. Nessuno pensa mai che qualcuno possa morire nel momento più inopportuno anche se questo capita di continuo, e pensiamo che nessuno se non chi non sia previsto dovrà morire accanto a noi.»
«Nel silenzio della casa percepisco un ronzio, che forse è dentro di me.
La parte più faticosa è sempre alzarsi, trovare il coraggio di liberarsi dalla cortina protettiva che ti avvolge suadente.
Trovare la forza di vincere l’inerzia del corpo adagiato e rinunciare definitivamente a pensieri senza meta. Ma quando ci riesco, è fatta. Nessuna nostalgia, un solo obiettivo da raggiungere metodicamente.
Mi alzo. Percorro a piedi nudi il breve tratto di gelida ceramica che conduce alla porta della camera. Sbircio nel corridoio.
Il ronzio continua, ormai chiaramente intrinseco al timpano, sembra quasi un fischio. La porta del bagno è socchiusa. Via libera.
Non si sente il consueto profumo di caffè: forse Fabio non è rientrato stanotte, si è fermato ancora da Milena. Sento un piacevole calore all’altezza dello stomaco, so che non c’ è cosa che potrebbe renderlo più felice.
Mi infilo defilata in bagno, serrando la porta e mi risveglio davvero, gettando acqua fredda sul viso.
Il mio viso allo specchio assume un aspetto credibile.
Mi chiamo Flaminia, Flaminia Malesani.»
«Partito ad esplorare il regno di mio padre, di giorno in giorno vado allontanandomi dalla città e le notizie che mi giungono sono sempre più rare.
Ho cominciato il viaggio poco più che trentenne e più di otto anni sono passati, esattamente otto anni, sei mesi e quindici giorni di ininterrotto cammino. Credevo, alla partenza, che in poche settimane avrei facilmente raggiunto i confini del regno, invece ho continuato ad incontrare sempre nuove genti e paesi; e dovunque uomini che parlavano la mia stessa lingua, che dicevano di essere sudditi miei.
Penso talora che la bussola del mio geografo sia impazzita e che, credendo di procedere sempre verso il meridione, noi in realtà siamo forse andati girando su noi stessi, senza mai aumentare la distanza dalla capitale; questo potrebbe spiegare il motivo per cui ancora non siamo giunti all'estrema frontiera.
Ma più sovente mi tormenta il dubbio che questo confine non esista, che il regno si estenda senza limite alcuno e che, per quanto io avanzi, mai potrò arrivare alla fine.»
«Quella di Raman era l'ultima casa di Ellaman Street; una piccola porta sul retro, preceduta da una striscia di sabbia, che si apriva sul fiume. Raman portava fuori le tavole di legno, coperte da una leggera mano di vernice bianca o nera, per lasciarle asciugare sulla sabbia. Era un luogo estremamente tranquillo per lavorare, visto che i gradini di granito dove si radunavano i bagnanti erano più in là, lungo il corso del fiume; a eccezione di qualche capraio, che di tanto in tanto dava un'occhiata oltre il muro, nessuno disturbava la sua pace.»
«1. Myriel
Nel 1815, monsignor Charles-Francois-Bienvenu Myriel era vescovo di Digne. Era un vecchio di circa settantacinque anni; occupava la sede di Digne dal 1806.
Benchèquesto particolare non rientri affatto in ciòche ci proponiamo di raccontare, tuttavia ci pare utile, non fosse che per amor d'esattezza, accennare qui ai giudizi e alle voci corse sul suo conto quando era arrivato nella diocesi. Vero o falso che sia, ciòche si dice degli uomini ha tanta importanza nella loro vita e soprattutto nel loro destino quanto ne hanno le loro azioni.»
«Nikolaj Hel guardò la foglia dell'acero cadere dal ramo, ondeggiare alla brezza leggera e posarsi dolcemente al suolo. Era bellissima.»
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