Recensione di Sakura
Mañana en la batalla piensa en mì, y caiga tu lanza sin hilo; desespera y muere.
[Domani nella battaglia pensa a me, e cada la tua lancia senza filo; dispera e muori.]
Questa frase, in diverse varianti, ritorna ossessivamente lungo tutta la narrazione, ed è la chiave di lettura del romanzo di Javier Marías: il Riccardo III di Shakespeare, la notte prima della battaglia, viene visitato dagli spettri delle sue vittime, tra cui la moglie. La morte, la sua compresenza con la vita, l'ossessione che ne deriva, il modo in cui i morti perseguitano, o meglio, infestano i vivi: ecco il filo conduttore di una trama altrimenti carente.
Víctor Francés, scrittore e sceneggiatore negro (ossia ghost writer), ha un convegno amoroso con una donna sposata conosciuta pochi giorni prima; la serata non inizia sotto i migliori auspici: Marta Téllez, questo il nome della giovane donna, è nervosa, così come pure il figlio di appena tre anni che non le riesce di mettere a letto per dedicarsi al suo ospite. Quando finalmente i due si gettano sul letto per consumare l'adulterio, Marta si sente male, e senza che Víctor possa far nulla - dissuaso dalla donna dal chiamare un medico-, muore dopo una lunga agonia. Víctor, voce narrante, personaggio apatico e inerte, quasi più simile al lettore che a un personaggio agente, non può far altro che stringerla durante i suoi ultimi momenti, occuparsi del bambino addormentato nell'altra stanza, cancellare tutte le tracce della sua presenza e infine lasciare l'appartamento.
Potrebbe essere finito tutto lì, ma Víctor continua a essere ossessionato dalla strana e tragica serata che ha trascorso e dalla donna che gli è morta tra le braccia: telefona al marito di Marta, in viaggio d'affari a Londra, ma riattacca senza avere il coraggio di rivolgergli una parola; si reca ogni giorno davanti all'appartamento della donna nella speranza di scorgere un segno che indichi che il corpo -e soprattutto il bambino- siano stati ritrovati da un parente, ma non ha il coraggio di intervenire personalmente; infine, nella speranza di conoscere la vita di quella donna che lei non ha avuto modo né tempo di raccontargli personalmente, controlla ogni giorno il quotidiano cittadino finché non apprende dal necrologio la data del funerale di Marta, e vi si reca spiandone i pervenuti; non pago, infine, sfrutta l'amico Ruibérriz per mettersi in contatto col padre della defunta e, col pretesto di un importante lavoro, tenta in ogni modo di penetrare nella famiglia a lutto.
Un libro quasi indescrivibile per il suo narrare tutto e niente: il niente a livello di trama, privo com'è di avvenimenti sostanziosi e di rilevanti intrecci, ma l'immensità di un piccolo angolo dell'universo, quello di Víctor, in sole quattrocento pagine.
Lunghissime digressioni, continue fantasie su ciò che potrebbe essere stato e non è invece accaduto, continui giochi prospettici che confondono realtà e fantasia e interpretazioni possibili: una realtà, insomma, che si moltiplica all'insegna dell'inganno e dell'ambiguità, seguendo, in una narrazione che simula il racconto autobiografico, i lunghissimi flussi di pensiero del protagonista, ordinati dalla sola coscienza di Víctor e sgarbatamente interrotti, ogni tanto, da avvenimenti concreti.
Per Javier Marías, afferma lo stesso autore in un'intervista, lo scrittore ha il mondo davanti nel momento in cui prende in mano una penna, e procedendo seleziona di volta in volta strade che ne precludono altre, errando senza una bussola, fino a giungere all'unica alternativa possibile: vien difficile crederlo, leggendo questo romanzo dai contorni vaghi e indefiniti in cui manca una vera e propria conclusione e al cui termine il lettore arriva con la vaga sensazione di aver perso lui stesso la bussola e di non saper più distinguere i miraggi dalla realtà. Il risultato è comunque eccezionale, se si tiene in conto che Javier Marías è, a livello espressivo, uno degli scrittori migliori che mi sia capitato d'incontrare (e posso dirlo a ragion veduta perché ho letto, faticosamente, questo libro in originale): superba la sua perizia nell'uso della lingua per descrivere i minimi dettagli senza apparire lezioso, così come pure il suo modo di mettere nero su carta concetti palesi facendoli apparire straordinari - chi di noi non sa, pur forse non avendo mai formulato il concetto esplicitamente, che la morte può cogliere in ogni momento, e non una morte dignitosa, ma magari un'agonia lenta e dolorosa sul proprio letto matrimoniale con uno sconosciuto, mezza nuda, con il bambino nella stanza accanto? Javier Marías si concede una lunga digressione a proposito, proprio all'inizio del libro.
Come si può, in definitiva, catalogare Domani nella battaglia pensa a me? Come si può rinchiudere Marías in una gabbia di poche parole costruita con quel linguaggio umano che lui sa usare così bene? Non si può, semplicemente. C'è solo da arrendersi al suo flusso di coscienza, e vagare senza bussola.
Giudizio:
+4stelle+Recensione di Tancredi
Confesso sin da subito la molteplice inquietudine che questo romanzo mi ha causato e continua a causare. Una vicenda morbosa che mi ha causato disturbo e inquietudine. Un romanzo che, nonostante ciò, gode di un altissimo favore e apprezzamento. Infine, l'inquietudine di doverlo recensire negativamente.
Nella post-fazione, che l'autore chiama inspiegabilmente (ma anche inevitabilmente) Epilogo, Marías ricorda che il romanzo, attuale forma dominante della produzione letteraria, è in voga ormai da quattro secoli. Perché si continua a scrivere e leggere romanzi, a scrivere e leggere pura finzione, quando il mondo, con la sua storia, e le sei miliardi di vite umane hanno molto di più da offrire? La domanda è interessante, la risposta però mi sembra sbagliata. Cosa c'è di più vuoto e autoreferenziale e vuoto di un romanzo che s'interroga su se stesso? Scrivi un saggio, insomma, non un romanzo!
Ecco dunque che viene fuori un romanzo estremamente prolisso, ridondante, pesante, senza inizio né fine, inconcludente, oscenamente morboso, in cui la scrittura viene pervertita per fini che vanno ben oltre la comunicazione letteraria. Il risultato è un romanzo che contraddice se stesso.
La contraddizione che mi pare più estrema, è l'assenza totale di introspezione psicologica malgrado una narrazione in prima persona che, nel suo incedere e accanirsi su se stessa sfiora il flusso di coscienza. Narrazione piatta, statica, ripiegata su se stessa, priva di azione e fatta puramente di pensiero. Eppure, del protagonista noi non sappiamo nulla. Conosciamo tutto quello che gli passa per la testa, ma non lo comprendiamo. Presenzia agli eventi come testimone passivo, a volte agisce d'impulso, senza alcuna ragione (porta via con sé il reggiseno della morente Marta, le ruba i nastri della segreteria telefonica, poi, più tardi, ne pedina la sorella, le sporca il cappello strofinandolo a terra, pedina l'ex moglie e si intrufola persino a casa sua - tutto questo senza uno straccio di pensiero, di motivazione, il protagonista agisce come se avesse la segatura al posto del cervello). Degli altri personaggi sappiamo ancora meno. Eppure sono tutti ottimamente caratterizzati, nei vezzi, nelle abitudini, nei dialoghi, nelle scelte di vita. Com'è possibile scrivere così tanto e allo stesso tempo non dire nulla?
Lo stile è un'altra grave contraddizione. Marías ha una scrittura bellissima, è ineccepibile. Uno stile denso, ricchissimo; sottomesso, però, a una storia chiusa in se stessa risulta alla fine eccessivamente prolisso, gratuito nella sua ostentata e superflua abbondanza e ridondanza. Soprattutto le tantissime citazioni letterarie, la maggior parte, peraltro, nascoste e contraffatte, mentre l'esibita e ricorrente citazione del Riccardo III riesce nell'impresa impossibile di apparire ogni volta fuori luogo, inopportuna.
Se è vero che alcuni passi sono di una bellezza indiscutibile, ci sono interi capitoli che meritano di essere strappati via, il sollievo di dover leggere meno pagine ne sarebbe evidente guadagno, al quale la loro presenza nel romanzo non può contrapporre alcunché.
Il fallimento più grande, però, mi pare nella precisa volontà (o incapacità?) di trattare temi fondamentali che pure l'idea che apre il romanzo potrebbe generare. L'ingresso improvviso, oscenamente lento, a rallentatore, della morte nella vita di Víctor, inspiegabilmente non porta con sé alcuna conseguenza. Nessuna vera riflessione sulla vita e sulla morte, sulla condizione della vita umana: nulla di quanto ci si potrebbe aspettare. Così è anche per gli altri personaggi, non reagiscono. Víctor ossessivamente congestiona il proprio cervello, e dunque la pagina, di pensieri casuali, fantastica continuamente a occhi aperti, pensa tra sé e si distrae mentre gli altri parlano. Víctor, come gli altri, prende tempo: e ogni volta arriva sempre in ritardo. Questo vale per l'intero romanzo, le cui pagine sono sempre fuori posto. Ogni personaggio, ogni voce, ogni scena e ogni rivelazione arrivano in ritardo. E' questo che fa, Marias: prende tempo, temporeggia, distrae il lettore, lo annoia mortalmente. E quando sembra che finalmente il romanzo stia per iniziare, ti ritrovi all'ultima pagina. Con duecentottanta pagine trascorse che non ti hanno lasciato nulla, assolutamente nulla.
Giudizio:
+2stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Domani nella battaglia pensa a me
- Titolo originale: Mañana en la batalla piensa en mí
- Autore:Javier Marías
- Traduttore: G. Felici
- Editore: Einaudi
- Data di Pubblicazione: 2005
- Collana: Super Et
- ISBN-13: 9788806173104
- Pagine: 292
- Formato - Prezzo: Brossura - 11,50 Euro
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