Recensione
E allora aveva visto il giorno in cui suo figlio l'avrebbe lasciata, se ne sarebbe andato, come fanno tutti, e aveva percepito alcune delle sensazioni che provava adesso, che affondavano in lei le zanne da predatore.
Come recensire un romanzo simile? Da dove iniziare? Di fronte a questo romanzo le dita si bloccano, la lingua si frena: come si può dire l'impronunciabile, esprimere l'inesprimibile?
La verità è che A un cerbiatto somiglia il mio amore, un romanzo che reca nel suo titolo, sapientemente scelto dal traduttore italiano, il Cantico dei Cantici, è un romanzo complesso, infinitamente coinvolgente, una spirale chiusa che ti stritola senza via di scampo. Un romanzo che finisce con l'esaltare la Vita, ma solo dopo averti trascinato per quasi ottocento pagine nel dolore più totale.
E' lo strazio di una madre che rispecchia lo strazio di un paese dilaniato da conflitti interminabili e apparentemente irrisolvibili. Lei, la madre, Orah, che in italiano significa luce, che compie un viaggio lungo Israele nel tentativo di proteggere il figlio, impegnato in un'azione militare in Cisgiordania. Lei, che riunisce in sé due anime distinte, figlie della stessa madre: Adam, figlio di Ilan, marito buono ma distante, e Ofer, il suo cerbiatto, figlio di Avram, amico-amante che la guerra ha mutilato, nel corpo e nello spirito. Entrambi, Adam e Ofer, che "si dipanavano dalla radice della sua anima avvolgendosi in due bobine distinte". I figli sono lo specchio inevitabile dei padri: di entrambi Orah sente la mancanza e di entrambi ha sempre incessantemente bisogno, sin dalla giovinezza durante la Guerra dei sei giorni, quando si nutriva "della presenza di Avram e dell'assenza di Ilan".
Avram, il ragazzo buono dalle troppe parole, colui che riesce a dire ciò che gli altri non riescono nemmeno a pensare. E Ilan, nei cui silenzi Orah trovava un'intima connessione. Sempre meravigliosamente Grossman descrive i modi e i tempi delle relazioni dei personaggi, e significativa è proprio una frase che si lascia quasi sfuggire, su Ilan e Orah:
"Stavano davanti al piano di lavoro, al lavello. Non si toccavano, guardavano la parete, le loro tempie pulsavano all’unisono."
E potrei ancora continuare su questa linea, proseguire a rievocare le sensazioni e le emozioni di questo romanzo denso, avvolgente, quasi soffocante, ma forse sarebbe meglio fermarsi, riprendere a respirare e passare ad un'analisi più lucida, fredda, razionale.
A un cerbiatto somiglia il mio amore è un romanzo denso, immenso, di quasi ottocento pagine. Un romanzo costituito, praticamente, da un dialogo ininterrotto, nel tipico stile di Grossman: dialoghi diretti liberi, senza virgolette né altro. La prima parte del romanzo, che racconta l'incontro dei tre protagonisti ancora giovani, è un intero dialogo a botta e risposta, scarno, scarificato, che rispecchia la confusione, l'assenza di dettagli che i tre stavano vivendo in quel momento, durante la loro quarantena. Il corpo centrale del romanzo resta comunque costituito dal continuo dialogare tra Orah e Avram, infarcito di descrizioni occasionali del sorprendentemente ricco scenario in cui agiscono, e intervallato di flashback, che si tratti di narrazione in prima persona da parte di Orah o di flashback distinti in terza persona.
Dal punto di vista stilistico, questo appare il romanzo maturo, approdo finale di un percorso di sperimentalismo che ha attraversato tutta la precedente produzione di Grossman, e che ora sembra fissarsi in un modello particolarmente ricco, ma anche malleabile, capace di adattarsi ad un romanzo immenso di ottocento pagine.
Ma tralasciamo le questioni tecniche, e veniamo finalmente al punto: immensa è la forza immaginativa di Grossman, quasi innaturale è la sua capacità di scavare a fondo nell'animo umano. La grande forza di questo romanzo sta nella costruzione dei rapporti tra i personaggi, nella cura dei minimi dettagli, dai vezzi fisici a quelli mentali; Grossman scolpisce tutto di ogni personaggio, l'aspetto, il carattere, i tic, le paure, i desideri inconsci, il modo di gesticolare, le inflessioni della voce, le contraddizioni più intime. Orah viene continuamente scolpita e demolita nei suoi ruoli di donna, moglie e madre: la sua è indubbiamente la caratterizzazione più intensa ed accecante abbia mai incontrato in un romanzo. Il modo con cui Grossman le fa descrivere i suoi figli, il suo rapporto con i figli, il suo essere madre... stupefacente, straordinario, e terribile.
E poi c'è la guerra, che Grossman conosce bene. Conosce bene il dolore per la perdita di un figlio, lui, proprio lui che durante la stesura del romanzo ne ha perso uno, durante la guerra in Libano nel 2006. Una settimana di lutto: è quanto si è concesso. E poi si è tuffato di nuovo nel romanzo, senza lasciarsi annebbiare dal dolore, ma continuando a descriverne lucidamente ogni aspetto, ogni particella.
Dove abbia trovato la forza di scrivere questo romanzo totale, romanzo definitivo, io, davvero, non lo so. Sono appena riuscito a leggerlo. Voi comunque provate, provateci. E scoprirete quant'è impossibile rimanere insensibili a questo grande romanzo, grande dolore, grande, grandissimo amore.
Giudizio:
+5stelle+Dettagli del libro
- Titolo: A un cerbiatto somiglia il mio amore
- Titolo originale: Ishà borachat mibsorà
- Autore: David Grossman
- Traduttore: A. Shomroni
- Editore: Mondadori
- Data di Pubblicazione: 2008
- Collana: Scrittori italiani e stranieri
- ISBN-13: 9788804582823
- Pagine: 781
- Formato - Prezzo: Rilegato, sovraccoperta - 22,00 Euro
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