Recensione
Il problema dei romanzi a tesi, è che se la tesi non ti convince proprio, beh, non puoi nemmeno consolarti con un bel romanzo. E' questo il caso di Il seme inquieto: un romanzo che, lo dico adesso e lo ribadirò più e più volte, fosse solo per dare la misura del mio sgomento, non sembra affatto scritto dalla stessa mano che ha concepito Arancia meccanica.
Eppure è lo stesso Burgess a rivendicare questo romanzo come un figlio del suo celebre capolavoro: lì il problema della delinquenza giovanile e la questione morale della scelta, nel bene e nel male; qui il problema del sovrappopolamento, della scarsità delle risorse alimentari e la questione morale della difesa della vita, a tutti i costi. E così costruisce un mondo distopico nel quale le autorità rispondono al problema del sovrappopolamento con l'esaltazione dell'omosessualità, il controllo delle nascite, l'uso pilotato dei conflitti bellici e persino il cannibalismo. Le premesse sono ottime: i risultati, piuttosto deludenti.
Innanzitutto non emerge chiaramente quella che vuole essere la tesi di fondo. E anche quel poco che Burgess lascia trapelare pare poco convincente e plausibile. Pericolosissima è soprattutto l'analogia tra l'omosessualità e il cannibalismo, analogia vista, oltretutto, nell'ottica di un imperante cristianesimo di ritorno.
Non convince granché nemmeno la caratterizzazione di questo mondo distopico: una trattazione confusa, sconnessa, a tratti superficiale, mentre altre volte Burgess indugia fin troppo in dettagli inutili in modo imbarazzante. La distopia da lui creata pare dunque un'accozzaglia di idee prese qua e là, un saccheggio, oserei dire, delle grandi distopie del novecento, da Orwell a Bradbury a Philip K. Dick.
I personaggi, ancora, paiono incomprensibili: tanto il punto di vista del protagonista quanto quello della moglie traditrice (perché mai Burgess abbia scelto una donna che tradisce il marito col cognato - e ne rimane pure incinta, in barba alle leggi sulla riproduzione - come simbolo della difesa della vita, è difficile da capire) non sono condivisibili, né tantomeno riescono a suscitare nel lettore un minimo di coinvolgimento.
Quale interpretazione, dunque? Poco appetibile è la tesi di fondo dell'autore, ed errata mi pare l'interpretazione, che altrove ho incontrato, della storia narrata come farsesca, volutamente surreale, parodica (di parodico, forse, c'è solo l'apparente lieto fine). Non basta nemmeno la chiave di lettura bellico-centrica dell'altrimenti ottima postfazione di Paul Fussel, contenuta in questa edizione, che pone l'accento sulla parte finale del romanzo, in cui l'arruolamento, su inganno, del protagonista, permette a Burgess delle lucidissime riflessioni sulla guerra, in particolare sulla sua esperienza della Grande guerra.
Nemmeno le colte citazioni letterarie (da Shakespeare a Petrarca!) riescono a salvare questo romanzo; e dolorosa mi pare l'occulta autocitazione di Arancia meccanica, che fa intravedere Alex e i suoi drughi intenti a picchiare uno sprovveduto barbone ubriaco. Piuttosto che calarmi in interpretazioni forzate, o lasciarmi convincere dalle tesi dell'autore, dunque, preferisco credere che questo romanzo non sia stato scritto davvero da Burgess, e lasciare così perfettamente immacolato il ricordo prezioso della lettura del suo grande e insuperato Arancia meccanica.
Giudizio:
+2stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Il seme inquieto
- Titolo originale: The Wanting Seed
- Autore: Anthony Burgess
- Traduttore: R. Romanelli
- Editore: Fanucci
- Data di Pubblicazione: 2002
- Collana: Collezione immaginario
- ISBN-13: 9788834708897
- Pagine: 298
- Formato - Prezzo: Brossura - 14,00 Euro
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