Per Nero, il grosso gatto di un vetturino che spadroneggia nel quartiere in cui si svolge questo romanzo, i frutti dell'epoca moderna non sono per niente malvagi: ha un pelo lucido e un'aria spavalda impensabili fino a qualche tempo fa per un felino di così umile condizione.
Per il protagonista di queste pagine, invece, un gatto dal pelo giallo e grigio, che i suoi simili sbeffeggiano chiamandolo «Senza nome», le cose non stanno così: dinanzi ai suoi occhi si dispiega tutta l'oscura follia che aleggia in Giappone all'alba del XX secolo.
Il nostro eroe vive a casa di un professore che si atteggia a grande studioso e che, quando torna a casa, si chiude nello studio fino a sera e ne esce raramente. Di tanto in tanto il gatto, a passi felpati, va a sbirciarlo e puntualmente lo vede dormire: il colorito giallognolo, la pelle spenta, una bava che gli cola sul libro che tiene davanti a sé.
Certo, il luminare a volte non dorme, e allora si cimenta in bizzarre imprese. Compone haiku, scrive prosa inglese infarcita di errori, si esercita maldestramente nel tiro con l'arco, recita canti nō nel gabinetto, tanto che i vicini lo hanno soprannominato il «maestro delle latrine», accoglie esteti con gli occhiali cerchiati d'oro che si dilettano a farsi gioco di tutto e di tutti raccontando ogni genere di panzane, spettegola della vita dissoluta di libertini e debosciati... Insomma, mostra a quale grado di insensatezza può giungere il genere umano in epoca moderna...
Pubblicato per la prima volta nel 1905, Io sono un gatto non è soltanto un romanzo raro, che ha per protagonista un gatto, filosofo e scettico, che osserva distaccato un radicale mutamento epocale. È anche uno dei grandi libri della letteratura mondiale, la prima opera che, come ha scritto Claude Bonnefoy, inaugura il grande romanzo giapponese all'occidentale.
Recensione
Per un amante delle piccole tigri domestiche quattrocentocinquanta e oltre pagine di gattitudine zen non sono neanche tante. Lo dico in anticipo: questa è una recensione di parte!
L'unica mancanza di questo gatto saggio è già scritta nel titolo: non ha nome, perciò ognuno può riconoscere nel suo sguardo, che segue le vicende narrative come una steadycam - solo un po' più bassa -, il proprio punto di vista.
Il ruolo del gatto nel folklore nipponico è molto importante: dai tradizionali 'manekineko', che salutano gli avventori nei sushi bar, ai gadget infestanti di HelloKitty, la loro presenza è una costante discreta e riservata, in accordo con i costumi nazionali del Sol Levante.
Questo gatto, di cui non resta neppure il nome, non è da meno.
Il suo sguardo felinamente attento segue le vicissitudini di un gruppo di persone che frequentano la casa di un insegnante di inglese di Tokyo durante il periodo Meiji, quello dell'occidentalizzazione del Giappone: Kushami, il professore pieno di idiosincrasie; Kangetsu, l'allievo ossequioso, Meitei; il collega ironico e sarcasticamente irriverente sono i protagonisti fissi insieme alla famiglia di Kushami; in più ci sono i vari visitatori occasionali, le seccature quotidiane, i vicini di casa e di quartiere, che permettono di dipingere un affresco variopinto e completo della vita quotidiana di una qualunque famiglia giapponese sul crinale tra XIX e XX secolo.
Di per sé, va detto, si tratta di episodi di vita quotidiana piuttosto banale: come delle bambine si inzaccherano mangiando; chi sia il miglior fidanzato per la figlia dell'arrogante e ricchissimo vicino di casa, che ha una moglie dal naso 'importante'; quali siano i vantaggi delle attività sportive praticate regolarmente dagli animali; i rimedi per la dispepsia di cui soffre il professor Kushami, piuttosto che il significato dei segni del vaiolo sul suo volto, tracce di un'identità non al passo coi tempi, o i suoi problematici rapporti con gli alunni irrispettosi di una scuola privata vicino casa.
Quello che rende queste vicende 'diverse' è il punto di vista: è quello di un felino, che ora guarda dall'alto, ora dal basso, comunque da osservatore esterno e non invitato, ma proprio per questo più attento e soprattutto capace di vedere la realtà in una prospettiva inusuale, cogliendone in perfetto stile zen l'essenza sotto le spoglie di uno stanco e ripetitivo divenire.
Così, accompagnato da quest'animula vagula blandula, ma illuminata, il lettore si avvicina ai cambiamenti vissuti dalla società nipponica nella rapidissima e convulsa modernizzazione che ha portato il Sol Levante dall'era feudale al futurismo dei manga per direttissima: la scoperta, condita dalle perle di saggezza di un gatto - il che ricorda che spesso dal più piccolo e inaspettato può venir fuori il meglio -, che lo spirito umano rimane lo stesso, sempre abbarbicato alle sue piccinerie, alle sue radici, come baluardi per difendere un fragile equilibrio di vita di fronte alle onde anomale del cambiamento.
In un paese così sospeso tra venerazione della tradizione e spinta alla modernità, chiuso tra le mura di una piccola casa, nutrito dalle chiacchiere di una ristretta cerchia di buffi "intellettuali", uno sparuto gatto senza nome è capace di lanciare uno sguardo acutissimo, attuale ancora oggi, e di predire le derive individualiste dell'uomo contemporaneo, il disfacimento della comunicazione e dell'arte e molto altro!
Nonostante riesca a prevedere che "valutando la tendenza della società attuale in una prospettiva a lungo termine si intuisce che in un futuro lontano il matrimonio non sarà più possibile" e che "il giorno in cui le parole scritte da te mi saranno incomprensibili e tu non capirai niente di quello che scrivo io fra me te non ci sarà più arte né un accidenti di niente" - parole che potrebbero essere state scritte anche pochi anni fa - il nostro gatto rimane saldamente ancorato alla sua natura animale.
Pur essendo capace di astrazioni raffinate ("l'insensibilità è la vera natura dell'uomo e coloro che non si sforzano di nasconderla sono onesti" o "da sempre ammirare qualcosa di enigmatico facendo mostra di capire è cosa piacevolissima") ogni tanto sente l'impulso di aggredire le gambe dei sui padroni o di esercitare l'arte della caccia con gli insetti.
Si comporta come se fosse sospeso tra essere e consapevolezza, partecipa alle disquisizioni letterarie degli intellettuali amici di Kushami ma ne riconosce, con un certo senso di ironia, la futilità. Il suo processo di umanizzazione si perfeziona nel senso di annichilimento che sopraggiunge quando, al termine di una interessante quanto inutile conversazione sul tema del 'dove andremo a finire di questo passo' emerge in lui la nostalgia del momento che fugge: il suo ubriacarsi per poi annegare, scioccamente potremmo quasi dire, in un barile di acqua piovana, vittima della curiosità che uccide il gatto, è anche l'atto sublime della coscienza che si consegna al nulla.
E poi, in fin dei conti, i gatti hanno sette vite anche in Giappone, no?
P.S.: nonostante nella recensione sulla quarta di copertina si parli di un 'gatto nero' - forse quello della foto in cover -, a tutela della dignità di un gatto bastava leggere i primi capoversi: il nostro gatto ha un manto giallo e marrone a macchie!
Giudizio:
+5stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Io sono un gatto
- Titolo originale: Wagahai wa neko de aru
- Autore: Natsume Soseki
- Traduttore: Antonietta Pastore
- Editore: Neri Pozza
- Data di Pubblicazione: 2009
- Collana: Le tavole d'oro
- ISBN-13: 9788873059271
- Pagine: 510
- Formato - Prezzo: Brossura - Euro 18,00
Non ho capito infatti la descrizione della Stampa e la copertina. Mai stato tutto così superficiale (non che abbia un'alta opinione della Stampa, tra l'altro). Io pensavo addirittura che il gatto nero arrivasse dopo e che quello a parlare all'inizio fosse un'altro. La tua recensione è ottima, approfondita e si vede che hai apprezzato, ne sono felice. Io però ho sofferto molto nel leggere la fine. Sai, ho anche un gatto nero in casa...