Recensione
Ancora agli esordi della sua carriera, Sir Arthur C. Clarke pubblica nel 1949 il racconto La sentinella, che narra della scoperta di un manufatto extraterrestre (una piramide di cristallo che sembra sfuggire alle regole della geometria canonica) sepolto sulla Luna, in attesa di esser rinvenuto dalla specie intelligente che avrebbe abitato il sistema solare. Stanely Kubrick, regista cult che non ci sarebbe davvero bisogno di presentare, legge questo racconto e ne rimane affascinato. Ecco che nasce il progetto 2001: Odissea nello Spazio, un progetto che viene portato avanti da Kubrick e Clarke insieme.
A ben vedere, 2001: Odissea nello Spazio è un'esperienza più vasta e trasversale, che non può esaurirsi nella sola visione del film o nella sola lettura del libro. Innanzitutto, i due prodotti sono inevitabilmente connessi per ragioni tecniche: la sceneggiatura è stata scritta dai due insieme, e ciò che non è stato possibile realizzare nel film ha poi trovato posto nel romanzo scritto dal solo Clarke. Ad esempio, secondo la sceneggiatura originaria il viaggio avrebbe dovuto terminare su Saturno, ma per le difficoltà tecniche nella realizzazione e anche per i ritardi della produzione si è preferito fermarsi su Giove. L'idea iniziale è quindi stata recuperata da Clarke nel suo romanzo. Ma non si tratta solo di questioni tecniche: laddove il film ha preferito lasciare in sospeso alcuni dubbi e domande, Clarke è successivamente intervenuto, rispondendo a tutte le principali domande (una su tutte: i motivi della follia del supercomputer HAL, che nel film viene lasciata volutamente inspiegata).
Il romanzo, dunque, emerge come un compendio fondamentale all'esperienza visionaria del film: ma è chiaro che riconoscervi un giudizio massimo non può che essere uno sgarbo nei confronti del film.
Detto questo, non resta che concentrarsi sul romanzo e dunque passare all'esame di quanto uscito direttamente dalla geniale testa di Clarke; dalle dissertazioni tecniche, sempre straordinariamente chiare, lucide, e all'avanguardia, alla cosmogonia legata ai Primogeniti, le caratteristiche dello scrittore emergono chiaramente. Forse la più apprezzata delle qualità del compianto scrittore è la sua capacità di anticipare invenzioni e sviluppi tecnologici con una lucidità fuori dall'ordinario: Clarke è stato il primo, è bene ricordarlo, ad avere scritto dei satelliti artificiali, molti anni prima che si iniziasse a pensare di costruirli. In questo romanzo di fine anni Sessanta Clarke intuisce persino l'invenzione del touch-screen. Ma non si tratta solo di abbondanza di dettagli tecnici e di invenzioni azzeccate: quello di Clarke è un romanzo di fantascienza realisticamente perfetto, che disdegna le esagerazioni del genere, riuscendo ad essere comunque visionario e sorprendente, sempre.
Di contro, inevitabilmente, scema un po' sulla caratterizzazione deipersonaggi, non tanto per mancanza di capacità quanto, forse, di interesse. Tanto più brillante deve apparire, allora, la caratterizzazione del supercomputer HAL, che conosce un conflitto interiore impensabile per un'intelligenza artificiale, portandolo poi nella totale nevrosi e follia.
Rimane, infine, il tema dell'origine della vita e dell'immortalità: già annunciata nel racconto La sentinella e in altri racconti minori, prende qui forma la sua personale filosofia dei Primogeniti, presunte divinità galattiche, un tempo umane e ora giunte al culmine massimo dell'evoluzione, dispensatrici di vita attraverso l'Universo intero. Si parla di origine della vita, di eternità, di divinità: quella di Clarke è quasi una religione laica, una religione (fanta)scientifica, che cerca nelle profondità ignote dello spazio la risposta alla domanda fondamentale: la vita, l'universo e tutto quanto, per citare Adams.
Tutte queste sono caratteristiche e tematiche che l'autore porta sempre con sé: a 2001: Odissea nello Spazio seguono altri tre romanzi, che approfondiscono suddetti temi, e ancora negli ultimi anni della sua produzione li si ritrova (così nella sua ultima e matura trilogia, scritta con Stephen Baxter). Ma una cosa è certa: non dimenticheremo mai il senso di totale smarrimento e di timore reverenziale che si prova di fronte al grande e impossibile monolito nero.
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