Recensione
"[...]Ci volessero anche centocinquantacinque anni, ci libereremo di voi, sì, butteremo a mare ogni maledetto inglese, e allora" e galoppò furiosamente contro Fielding, "e allora" continuò, quasi baciandolo, "voi e io saremo amici".
"Perché non possiamo esserlo subito?" disse l'altro, stringendolo con affetto. "E' quello che voglio. E' quello che voi volete."
Ma i cavalli non volevano: scartarono di fianco; non voleva la terra, che balzava su in massi tra cui i cavalieri dovevano passare l'uno dietro l'altro; i templi, il lago, la prigione, il palazzo, gli uccelli, le carogne, la Foresteria, che apparvero alla vista quando loro uscirono dalla gola e scorsero Mau ai loro piedi. Non volevano, dissero con le loro cento voci: "No, non ancora", e il cielo disse: "No, non qui".
Questo è un romanzo che, come ogni buon classico, necessita di un breve background per poter essere compreso appieno. Rivolgiamoci quindi alla data di pubblicazione: il 1924, momento di giovinezza fisica per l'autore Edward Morgan Forster, ma decisamente non di giovinezza espressiva, dato che Passaggio in India corrisponde al punto più alto della sua parabola letteraria. Nel 1924 il processo di smantellamento delle colonie inglesi è ancora lontano: l'India sarà proclamata indipendente solo nel 1947 (ricordiamolo, dopo almeno due secoli e mezzo di monopolio coloniale inglese), eppure Forster si dimostra dotato di talento profetico. Lo scrittore britannico tinge un ritratto in nero di seppia dell'India d'anteguerra, che aveva avuto modo di conoscere personalmente durante due lunghi soggiorni nel paese, il secondo dei quali come segretario del Mahrajah di Dewas.
Dopo questa breve introduzione, possiamo passare al romanzo: Passaggio in India è ambientato nei primi anni '20, momento dei primi movimenti indiani d'indipendenza. La storia, modernista nei contenuti ma non nella forma, coinvolge i destini di diversi personaggi, tra cui spiccano gli indubbi protagonisti Fielding e Aziz: professore britannico il primo, installato in India da troppo poco tempo e di mentalità troppo aperta per aver introiettato il paradigma coloniale, e medico indiano il secondo, troppo informale e spontaneo per stereotipare la razza bianca. A Chandrapore, della cui scissione in due mondi (quello pulito e formale, britannico, e quello sporco e povero, indiano) il primo capitolo restituisce una splendida descrizione, giungono due intrepide donne inglesi: Adela Quested, giovane insegnante giunta in India per sposare il funzionario britannico con cui è fidanzata, e la madre di quest'ultimo, la vecchia Mrs Moore. Entrambe desiderano vedere la vera India, non quella trasformata e addomesticata dagli inglesi; il casuale incontro di Mrs Moore con il Dr. Aziz, in una moschea, e la subitanea simpatia reciproca che ne scaturisce, conduce a un té cosmopolita organizzato da Fielding all'Istituto Governativo, cui partecipano Aziz -che Fielding ha appena conosciuto-, Adela, Mrs Moore e un bramino, Godbole. Aziz si lascia scappare che inviterà le due donne a vedere le grotte Marabar, visibili dalla città di Chandrapore, e vincendo la naturale sfiducia britannica Adela riesce a convincere il fidanzato Ronny a lasciarla partecipare alla gita.
Purtroppo il gap culturale, i misteri dell'India, e un abisso di pregiudizi da ambo le parti trasformano la gita in tragedia: Adela, dopo essere uscita da una delle grotte in stato di shock, sostiene di essere stata aggredita da Aziz, il quale non ha la minima idea di cosa sia successo. E' questo l'ennesimo pretesto per uno scontro tra razze: gli inglesi vogliono metter su un processo esemplare per annichilire la popolazione indiana, mentre quest'ultima insorge per proteggere un suo membro dall'assurda accusa. Fielding si trova tra il fuoco incrociato, e dovendo scegliere si schiera contro i suoi connazionali; la sua è l’unica voce della ragione in un mondo di caos, poiché egli rifiuta di credere Aziz capace una simile nefandezza, ma anche Adela di aver mentito deliberatamente.
Cosa è successo veramente nelle grotte, dal momento che l’autore utilizza l’espediente dello iato narrativo? Se lo chiede il lettore, cimentandosi nelle interpretazioni più disparate, ma un sagace critico ha avuto la presenza di spirito di chiederlo direttamente all’autore quando ancora poteva rispondere:
«Nelle grotte c'è o un uomo o il soprannaturale o un'allucinazione. Se lo dico diventa, qualsiasi sia la risposta, un libro differente. [...] Non è una filosofia dell'estetica. È un espediente che ho ritenuto giustificato perché il mio vero tema era l'India».
Si ricordi comunque che, in fin dei conti, questo è un romanzo modernista, seppur molto legato alle convenzioni formali tardo-ottocentesche; non si cerchi pertanto un plot particolarmente strutturato, e ci si concentri piuttosto sulla vividezza (e precisione) emozionante e straordinaria con cui Forster dipinge paesaggi, usi e costumi indiani: il capitolo in apertura, nonché l'epilogo, sono tra i più indimenticabili in cui mi sia mai imbattuta. Meravigliosa anche l'abilità con cui sono affrescati i personaggi: l'impulsivo Aziz, bizzarro, emotivo e lunatico; Fielding, uomo di spirito, razionale, aperto, rispettoso verso la diversità etnica e culturale (indimenticabile una sua frase -che fa inorridire l'intero Circolo inglese- con cui insinua che la razza bianca non esiste, perché più che altro è grigio-rosea); Adela, moderna, emancipata, sempre pronta a scrutare i propri pensieri più intimi per analizzarli; Mrs Moore, inizialmente bonaria matrona simpatica e aperta, ma che il procedere del romanzo trasforma quasi in misteriosa divinità indiana, in connessione con una voce soprannaturale che solo lei può sentire; Ronny Heaslop, il prototipo del funzionario britannico, intimamente convinto della propria causa civilizzatrice e della superiorità della propria razza; Godbole, mistico bramino soggetto a imperscrutabili leggi, quasi estraneo al nostro patetico e rigido mondo.
Forster non si fa illusioni, e non esita a mettere in scena un’aspra critica verso il sistema coloniale, nonché il proprio disinganno: la coesistenza pacifica tra le due razze è impossibile; un indiano e un inglese riusciranno a essere amici solo quando l’ultimo occupante britannico avrà abbandonato il suolo indiano. L’autore si mostra voce tollerante e anticonformista, che constata e condanna la presenza di barriere e pregiudizi razziali, porgendo contemporaneamente un orecchio alla voce dell’alterità di cui lui pure, in quanto omosessuale in una società morigeratamente borghese, faceva parte.
Giudizio:
+5stelle+Dettagli del libro
- Titolo: Passaggio in India
- Titolo originale: A Passage to India
- Autore: Edward Morgan Forster
- Traduttore: Motti I.
- Editore: Mondadori
- Data di Pubblicazione: 2001
- Collana: Oscar Classici Moderni
- ISBN-13: 9788804492979
- Pagine: 341
- Formato - Prezzo: Brossura - 9,50
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